«Ci sono infinite vite diverse di un solo uomo, infinite traiettorie del Tempo, che passano per un solo momento prima di intersecare la linea principale della sua esistenza. Essere qui e in infiniti altrove, è scheletro, è biologia». Così scrive Federica Rosellini nel suo Carne blu. Un Orlando, pubblicato lo scorso anno da Giulio Perrone Editore, e diventato ora un monologo interpretato e co-diretto – insieme a Fiona Sansone – dalla stessa autrice, in scena al Piccolo Teatro Studio Melato fino al 30 aprile, e poi ancora il 13 e il 14 maggio nell’ambito del Festival Presente Indicativo.
Sono allora le innumerevoli declinazioni dell’esistere a essere esplorate nella pièce di Rosellini, in un viaggio avventuroso che – come in ogni fiaba che si rispetti – viene innescato dal sentimento della mancanza. Il piccolo Orlando protagonista non ha smarrito il senno come il suo “antenato” ariostesco: questa volta è la dimensione esperienziale e corporea a essere ricercata tra i valloni della luna.
Scritto durante il primo lockdown, Carne blu prende infatti le mosse dall’esperienza dell’isolamento e – come afferma la stessa regista – l’intero spettacolo si propone come un’operazione di «carotaggio dell’anima e del corpo»: di atto in atto il pubblico si trova ad assistere a una graduale e perturbante «discesa in verticale» verso un abisso carnale e sanguigno.
La fisicità di Rosellini appare dunque impalpabile – con il casco da astronauta-palombaro che le copre il volto e la voce registrata fuori campo –, fin quando la vernice che le colora braccia e gambe non viene ossessivamente grattata via: minuscole cellule-particelle blu si mescolano infatti alla polvere e alla “regolite” sul palcoscenico, per dare il via a una lenta riappropriazione dell’espressività corporea, attraverso molteplici ibridazioni con il mondo vivente e minerale. A essere ricca di complesse contaminazioni è la stessa forma del romanzo – costellato da canzoni e illustrazioni realizzate dalla stessa autrice –, così come quella dello spettacolo: la scena (a opera di Paola Villani) appare in continuo mutamento, quasi a seguire le fasi lunari, disseminata di luci, ombre, suoni, gesti, videoproiezioni.
L’immaginario creato da Rosellini è un immaginario liquido: il cuore di Orlando è un pesciolino custodito in una tasca esterna, è un cuore esposto, a contatto con l’altro. E a ogni battere di coda, avviene una metamorfosi che fluidifica ogni confine e dicotomia sussistente tra maschile e femminile e che – andando oltre l’Orlando di Virginia Woolf – fa crollare ogni barriera anche tra uomo e animale.
«La vitalità non organica è il rapporto tra il corpo e delle forze o potenze impercettibili che se ne impadroniscono o di cui esso s’impadronisce, come la luna s’impadronisce del corpo di una donna», scrive il filosofo francese Gilles Deleuze in Critica e clinica (1993). E proprio in questi termini, Orlando diviene-donna, diviene-animale e persino creatura post-umana: si ritrova ad avere un corpo nudo, vulnerabile, con i pezzi in disordine. Quello che potrebbe definirsi, sempre deleuzianamente, un «corpo senza organi», «affettivo, intensivo e anarchico».
Il trasformarsi del protagonista è sempre e soltanto un divenire minoritario, perché solo in questo modo è possibile sottrarsi alla logica dominante: a quella concezione antropocentrica, essenzialistica e immutabile dell’uomo che legittima rapporti gerarchici, di oppressione e sfruttamento tra i generi e le specie.
Se «il corpo non è un dato biologico, ma un campo di iscrizioni di codici socio-culturali», la pelle può allora diventare il luogo dove scoprire connessioni, affinità e alleanze inedite con ciò che è altro da noi, per costruire nuove soggettività desideranti e resistenti.
Nell’andamento poetico, ritmico e visionario del racconto, Federica Rosellini perlustra allora le potenzialità intrinseche alla nozione di corpo, «in un mondo contemporaneo dove la posta in gioco è la sopravvivenza globale» e dove – secondo le parole di Donna Haraway – possiamo essere «antropologi di sé possibili» e «tecnici di futuri realizzabili».
Nasce a Brescia nel 1994. Dopo un periodo trascorso a Monaco di Baviera, si laurea in Scienze Filosofiche all’Università di Padova, approfondendo il pensiero estetico di Adorno. Si diploma al Master in Critica giornalista presso l’Accademia Silvio D’Amico di Roma con una tesi dedicata al teatro di Pasolini nella visione di Antonio Latella. Attualmente scrive di teatro, cinema e letteratura sulle riviste online Tre Sequenze e Bookciak Magazine.