Braccia parla di lavoro. Una parola infida, abusata e strumentalizzata, che può comunicare soddisfazione e felicità, o al contrario precarità e tormento. Più precarietà e tormento, negli ultimi tempi.
Labor, travail: fatica, travaglio.
Braccia prende lo slancio dalla tragedia di Marcinelle del 1956 ma non vuole raccontare solo i minatori, non vuole essere un affresco storico consolatorio e innocuo. Il testo desidera parlare al presente, dialogare con questi tempi e provocare il pubblico a una riflessione non su una catasfrofe del passato ma sull’oggi, sul sacrificio di tutti quelli che in nome di una ricostruzione o di una disuguaglianza sempre più feroce hanno perso e continuano a perdere la dignità.
Braccia parla anche di migranti, vuole denudare il Re della globalizzazione. Questi sono anni in cui l’emigrazione italiana, in particolare dal Sud Italia, aumenta costantemente. Uomini e donne sono costretti a lasciare la propria terra per poter vivere una vita coerente con le proprie aspettative. Allo stesso tempo, mai come negli ultimi due decenni in Italia sono giunti lavoratori dal cosiddetto Terzo Mondo. Terra di partenza e di accoglienza insieme, di disillusione e di speranza, il nostro Paese vive sulla propria pelle l’esperienza dello sradicamento.

Anno di stesura: 2021

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Numero pagine: 54

Numero personaggi: 4

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Testo già rappresentato: NO

SINOSSI

Colangelo e Ventura, giovani minatori, sono prigionieri nelle viscere della terra da giorni. L’incidente li ha imprigionati, seppellendoli in quello stesso luogo che è stata la fonte del loro sostentamento. I due sono diversi: uno è porione, responsabile di un gruppo di minatori, fedele ai datori di lavoro, dice di amare il Belgio e si ostina a cercare una via di fuga; l’altro, senza vincoli famigliari e più scettico nei confronti dello sfruttamento, sembra aver accettato di non avere speranze.

Ma alternata a questa storia viene raccontata un’altra storia. Una storia dal piglio satirico, più direttamente legata al presente, meno obbediente al gusto naturalista, più votata a un umorismo nero. Manager e Ministro, vere e proprie maschere che compiono lo stesso percorso à rebours, attraversano le ragioni storiche e socio-economiche che portano al fenomeno migratorio capitalistico e lo svilupparsi del concetto di lavoro dalla società industriale all’odierno assetto post-industriale, restituendo al pubblico la prospettiva cinica dei padroni.

Braccia prende lo slancio dalla tragedia di Marcinelle del 1956 ma non vuole raccontare solo i minatori, non vuole essere un affresco storico consolatorio e innocuo. Il testo desidera parlare al presente, dialogare con questi tempi e provocare il pubblico a una riflessione non su una catasfrofe del passato ma sull’oggi, sul sacrificio di tutti quelli che in nome di una ricostruzione o di una disuguaglianza sempre più feroce hanno perso e continuano a perdere la vita.

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