In uno scritto intitolato Teatro Novecento: ovvietà a firma dello studioso Ferdinando Taviani, si legge: «Il XX secolo è il secolo in cui l’essenza stessa del teatro s’è sentita minacciata. È pertanto un’età d’oro». Il sentore di minaccia, rilevato e analizzato da Taviani nel teatro del Novecento, è estendibile oltre i confini temporali di un’epoca. L’estinzione – o il suo indebolimento – è connaturata all’esperienza del teatro in quanto tale, palesandosi nell’avvicendamento di ogni nuova fase che lo attraversi, sia essa di ordine poetico, storico o politico. Il suo essere espressione artistica dell’umano determina l’assoggettamento del teatro alle trasformazioni sociali e culturali.
Se la pratica laboratoriale novecentesca ha frantumato i codici preesistenti, intervenendo innanzitutto sulla dimensione relazionale e autoriale dei processi artistici, ci troviamo oggi al cospetto di un ribaltamento – le motivazioni sono innumerevoli, per obbligo di sintesi ci si concentrerà su uno degli aspetti rilevabili – che vede nella distrazione del pubblico il proprio seme. La fruizione, esplosa a fronte della pressoché infinita produzione di contenuti, artistici e non, capace di raggiungerci in ogni dove e in ogni quando, non sempre rappresenta il beneficio di un input.
Più spesso, obbliga alla selezione, alla scelta frenetica – e distratta – di ciò che ci interessa: meglio, che ci attrae. E l’attrazione è un atteggiamento istintuale, conclama ciò che avvicina e repelle senza obbligo di approfondimento. Il teatro, sintesi delle arti, molteplicità di intenti, richiede un’esplorazione che ha i tratti dell’inabissamento: infrangere la superficie, sfidare il buio. Dunque, il teatro è in crisi? Parafrasando Taviani: il XXI secolo è il secolo in cui l’essenza stessa del teatro s’è sentita minacciata. È pertanto un’età d’oro.
Di tramutare l’impasse in possibilità si sta occupando, tra gli altri, un’intera generazione di autrici e autori teatrali che ha beninteso come la drammaturgia non sia la sola arte di scrivere drammi e opere per il teatro. Il dramatos ergon – vale a dire il lavoro, la costruzione dell’azione – etimo della parola drammaturgia, ne risolve l’immediata assimilazione al contesto puramente letterario. Riferirsi alla drammaturgia significa guardare alle caratteristiche narratologiche di un sistema di relazioni, elementi formali, connessioni, codici che plasmano la partitura dell’evento performativo. E significa anche avere tra le mani un metro da sarto, con cui misurare le storture e gli slanci delle porzioni di mondo e dei frammenti di tempo che si abitano. Sta nella capacità di tenere assieme l’impalcatura spettacolare – con le sue plurime, possibili espressioni – e di leggere il presente, l’interesse ineludibile verso la drammaturgia. Ma chi sono le drammaturghe e i drammaturghi oggi?
L’errore è dietro l’angolo: figurarsi l’autore come colui che chino sulla scrivania verga ciò che ha intorno, osservandolo dalla propria torre d’avorio, è obsoleto. Primo, perché tale immagine presupporrebbe un elitarismo della ricerca intellettuale inconciliabile con gli intrecci relazionali di cui si è detto e da cui il drammaturgo, nell’esercizio della professione, non può esimersi; secondo, perché l’avorio è un materiale pregiato. E qui, oltre alla proposta artistica, di pregevole v’è poco. Basti pensare alle ingerenze produttive e consumistiche del sistema spettacolo che relegano la drammaturgia contemporanea a una minima percentuale da inserire in cartellone, spesso in sala piccola, quando non alla sostanziale impossibilità di incontrare le tavole di un palcoscenico. Senza contare la totale assenza di inquadramento professionale della figura dei drammaturghi all’interno del CCNL, con la conseguente arbitrarietà dei rapporti di lavoro.
E poi il ritardo. L’endemico ritardo dell’emersione dell’autrice o dell’autore teatrale che, fino ai quarant’anni, può giocarsi la partita ed essere l’artista su cui scommettere, per diventare, allo scoccare dei quarantuno, quella, quello che non ce l’ha fatta. O almeno non in tempo. Allora, per interrogarsi seriamente sullo stato di salute della drammaturgia contemporanea occorre innanzitutto dedicarsi a un’analisi approfondita delle condizioni di lavoro di chi scrive professionalmente per la scena. Perché il malessere di una condizione può risultare osmotico e dunque, influire sul valore della stessa operazione drammaturgica.
Con Omissis – Osservatorio drammaturgico, progetto dell’impresa culturale Theatron 2.0, proponiamo un tentativo collettivo che muove in questa direzione. Omissis trova i suoi presupposti in una ricerca diffusa, allargata, compartecipata da autrici e autori, nella volontà di contrastare l’atomizzazione della categoria, di sottolinearne le urgenze e amplificarne la voce, interrogando e intervenendo sugli aspetti più problematici della questione, secondo una prospettiva artistica e giuslavoristica. «Chi siamo? Come stiamo? Cosa vorremmo?» si chiedono le drammaturghe e i drammaturghi che ci coadiuvano nel processo. «Per quanto ancora dovrete sgomitare per farvi spazio, barattare l’esistenza col compenso, abbandonare la professione se non diventa tale? Per quanto ancora potremo giustificarci dicendoci distratti?», domandiamo noi.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Attivare culturalmente un territorio utilizzando la scuola come presidio, coinvolgere studentesse e studenti in un percorso di promozione attiva delle arti è quanto determina l’intera fisionomia del progetto Concentrica Open School. Ideato dal Teatro della Caduta di Torino, organizzato con Torino Open Lab e diversi partner nazionali, Concentrica Open School mette in connessione il mondo del teatro con quello della scuola, in una prospettiva di arricchimento trasversale per tutte le parti in gioco.
Se da un lato i ragazzi e le ragazze si mettono alla prova con una proposta formativa dinamica e interattiva attraverso gli strumenti dello storytelling, del videomaking e del digitale; dall’altro, incontrando il teatro, scoprono loro stessi, si predispongono al dialogo. Docenti e genitori imparano a conoscere i propri allievi e figli, innescando un processo virtuoso di educazione relazionale. La scuola, campo base dell’esperienza creativa degli studenti per due settimane, apre le sue porte al pubblico ospitando gli spettacoli di giovani compagnie pluripremiate. A beneficiare dell’intervento di Concentrica Open School è la comunità tutta, sia essa del centro città o della periferia.
Ne abbiamo parlato con Massimo Betti Merlin e Lorena Senestro, fondatori di Concentrica e direttori artistici di Teatro della Caduta.
Come nasce Concentrica, quali sono gli obiettivi principali del progetto?
Massimo Betti Merlin: Concentrica è nato dalla necessità di fare un lavoro di rete. Nel 2011, dopo un decennio di lavoro a testa bassa sul nostro progetto, abbiamo sentito il bisogno di entrare in relazione con l’esterno, anche oltre i confini della città di Torino, per cui abbiamo creato il network piemontese che poi si è esteso anche alla Liguria e alla Valle d’Aosta. Prima abbiamo dialogato con tanti partner teatrali, poi abbiamo verificato che un lavoro di partnership inter-settore risultasse ancora più efficace. Concentrica ha fatto da ponte per l’introduzione e il rafforzamento in Piemonte di una serie di sistemi di rete, tra cui In-Box, Smart che abbiamo importato dal Belgio, C.r.e.S.c.o., Risonanze. Ci siamo posti come dei connettori tra l’offerta culturale del territorio e quella nazionale.
Con Concentrica Open School avete realizzato un’importante azione di intervento artistico e culturale in ambito scolastico. Durante quest’esperienza, gli studenti hanno la possibilità di scoprire i mestieri dello spettacolo e di proiettarsi nel mondo del lavoro, come è strutturata la proposta formativa?
M.B.M: Oggi più che in ogni altra epoca, il gap generazionale è fortissimo. Open School ha risposto innanzitutto a una nostra necessità: interfacciarci con il nuovo pubblico e metterlo in rapporto con le nuove generazioni di artisti che promuoviamo. Il teatro è una folgorazione solo se hai l’opportunità di incontrarlo. Noi portiamo il teatro nelle scuole e stiamo a vedere cosa accade, non solo dal punto di vista degli spettatori ma anche degli artisti. I ragazzi e le ragazze che coinvolgiamo sono un termometro fondamentale per misurare la risposta del pubblico alle proposte artistiche contemporanee. Alcune cose che per noi adulti sono straordinarie non smuovono affatto i giovani e viceversa altre cose che per noi sono acerbe possono attivare in loro urgenze, istanze. Ecco, il teatro che risulta capace in questo va sostenuto, è una responsabilità anche di noi programmatori. Si tratta di formazione per noi, una formazione contemporanea.
A proposito del piano formativo, abbiamo scelto di non mettere più al centro soltanto il teatro ma gli strumenti del fare artistico in senso ampio: Francesco Giorda, impronta la conduzione dei suoi percorsi formativi sulla pratica artistica, tu metti in connessione i ragazzi con il mondo della comunicazione culturale e del giornalismo. Quello di usare gli smartphone e i social per coinvolgerli è un trucco, ma è molto efficace perché emancipa i social dalla narrazione di strumenti diabolici e ne fornisce un uso consapevole. Il tema dell’orientamento è emerso in corso d’opera. Ci siamo resi conto che stavamo operando per legittimare le figure professionali del nostro settore. Il progetto Make-A-Fest di Tool – Torino Open Lab vuole di fatto formare i nuovi professionisti. Portiamo la cultura al centro sul territorio nazionale dove non hanno ancora capito che è la nostra salvezza. Quindi è bene cominciare da piccoli.
Oltre a un’offerta formativa diversificata, il progetto prevede la programmazione di spettacoli presso gli istituti e i teatri del territorio, aperti non solo agli studenti ma a tutta la comunità. In questo senso, il progetto ha un’incidenza più ampia che travalica il mondo scuola. Qual è stata la risposta delle comunità in cui avete operato?
Lorena Senestro: C’è parecchia curiosità, le persone si sentono coinvolte, sono contente di parlare con ragazzi giovani, stanno al gioco: si prestano a fare le interviste, li ascoltano durante le visite, si divertono durante gli sketch. Quella degli adolescenti è una fascia generazionale con cui è difficile avere contatti e vedere questi ragazzi che si aprono è attrattivo. Scoprire cosa c’è nella testa dei giovani ha un effetto teatrale, come quando andiamo a teatro e scopriamo tutto quello che l’altro generosamente ci offre. I genitori scoprono delle cose dei figli. Credo che questo sia uno degli impatti più belli e inaspettati del progetto. Open School ci consente di attraversare le comunità e realizzare un coinvolgimento attivo del pubblico tout-court, dall’infanzia fino alle persone più adulte.
M.B.M: Pur nella sua efficacia è un progetto che ha alcune criticità: la burocrazia non ci consente di realizzare tutte le attività che abbiamo in mente e la scuola non mostra sempre totale apertura e disponibilità. Per i professori è un aggiornamento pazzesco, conoscerebbero molto meglio i loro ragazzi, ne guadagnerebbero nel loro ruolo di docenti. Un lavoro formativo per i docenti ed educativo alla relazione per il territorio. Abbiamo tentato di coinvolgere le istituzioni per un intervento collettivo di sviluppo territoriale, con l’idea di incontrare altri professionisti con cui amplificare l’effetto che produciamo.
Ci piacerebbe tentare la via di un’esperienza residenziale a scuola in cui invitare artisti e compagnie per dei laboratori permanenti per gli studenti, allo scopo non solo di offrire una formazione teatrale ma anche di alimentare il processo creativo degli artisti stessi. Volendo dare una prospettiva sul futuro di Open School, stiamo immaginando di modificare il format, aprirci di più alla rigenerazione urbana, a delle azioni che abbiamo notato che servono nelle scuole. Sarebbe interessante dare ai ragazzi la possibilità di essere parte attiva nel ripensamento degli spazi della scuola.
In qualità di artisti e curatori, che valore ha per voi fare da tramite per le nuove generazioni nella scoperta del teatro?
L.S: Nel nostro lavoro, io e Massimo ci siamo sempre occupati di ciò che stavamo vivendo anche nel privato. Forse, dunque, Open School nasce anche dall’esigenza di affrontare nella quotidianità del lavoro il rapporto con i nostri figli. Adesso che sono adolescenti, ci siamo dedicati a questa fascia d’età anche per capire che senso avesse ciò che stavamo facendo per loro.
M.B.M: Ci siamo discostati dalla fascinazione giovanile dell’arte per l’arte e abbiamo deciso di lavorare su un piano pratico, investendo in qualcosa che potesse riverberare nella vita delle persone. Crediamo nella potenza del teatro non fine a se stessa, riusciamo ancora a percepirne l’effetto che riscuote anche sui giovani che lo incontrano per la prima volta. Sul piano artistico, però, ciò che ci ha guidati è stata la volontà di non restare incastrati nei confini, nei limiti, nelle etichette. Abbiamo sempre tentato di creare dei contesti, delle condizioni favorevoli e anche Open School va in questa direzione.
Il progetto è realizzato in collaborazione con Theatron 2.0, Cubo teatro e Giobbe Onlus, sostenuto dal Comune di Torino, Fondazione Compagnia di San Paolo, Regione Piemonte, Ministero della Cultura, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
In occasione della ripresa delle molteplici attività invernali che lo storico Teatro dei Colori, conduce sul territorio della Marsica fin dal 1987, anno della sua fondazione, abbiamo discusso con Valentina Ciaccia, regista in pectore della compagnia, dell’azione di presidio culturale connaturata al Teatro di base, di figura e per i ragazzi.
Abbiamo più volte raccontato la moltitudine di attività che interessano il Teatro dei Colori. Un aspetto sul quale mi piacerebbe che ci concentrassimo è questa doppia natura, affatto scontata, della compagnia che da un lato è impegnata a investire risorse ed energie nella pratica e dunque nella produzione artistica e dall’altro nella promozione e circuitazione dello spettacolo dal vivo. Prima di addentrarci nello specifico delle vostre azioni progettuali, vorrei chiederti cosa significa per una compagnia assumersi la responsabilità di incidere culturalmente sul proprio territorio di riferimento con una proposta così ampia e continuativa?
Tutte le compagnie di teatro di base, nascono a partire dagli anni ‘70 proprio con l’intenzione di attivare i territori e le comunità. Con la passata riforma del Fondo Unico per lo Spettacolo, l’indicazione di “compagnie di produzione” ha in parte , credo, snaturato il nostro lavoro, dimenticando la grande funzione di servizio culturale nella programmazione territoriale. tutti noi abbiamo coniugato il nostro modo di operare con la necessità dei territori che abitiamo e che ci chiedono di garantire una molteplicità di linguaggi e di offerta culturale che non si può esaurire solamente con la proposta di spettacoli della nostra compagnia. Il teatro di base, in particolare teatro di figura, per ragazzi e teatro di strada, ha garantito la circuitazione e diffusione di diversi linguaggi in ogni parte d’Italia con l’istituzione di una vera e propria rete informale di compagnie.
Siamo, inoltre, in fortissima relazione con il mondo della scuola. Quando si hanno relazioni preferenziali con il mondo della scuola, occorre anche rispondere ai desiderata di docenti, ragazzi, presidi. Quindi si crea un circolo virtuoso in cui se uno spettacolo risulta particolarmente interessante a livello didattico, si generano connessioni e possibilità di circuitazione anche per altre realtà non del territorio, con cui siamo in dialogo.
Lavorare sul territorio ha sempre fatto parte del nostro DNA sin dall’inizio, dall’87 quando è stato fondato il Teatro dei Colori. a livello tecnico, il Teatro dei Colori si pone sempre come ente di formazione, per docenti ed operatori, oltre che per i bambini ed i ragazzi e come ente di coprogettazione in relazione con le varie ammministrazioni. Ci facciamo portatori di progettualità costruite a misura sulla necessità del territorio ma anche sulle esigenze specifiche di apprendimento per l’infanzia, senza mai dimenticare l’obiettivo di fondo, garantire un livello culturale ed artistico molto elevato, cercando sempre di alzare l’asticella un po’ più su. Avendo una relazione così forte con le scuole, in base alla composizione delle classi, si offrono spettacoli che affrontano le tematiche più urgenti: inclusione sociale, l’accoglienza delle varie diversità e finalmente si comincia a parlare anche dei linguaggi adatti alle neurodivergenze, aspetto sul quale siamo molto sensibili.
Ancora in merito a meccanismi di sistema, mi piace inoltre sottolineare come nonostante l’iperproduzione imperante, le compagnie di teatro di base, figura e ragazzi hanno un repertorio che resiste nel tempo. Noi abbiamo spettacoli di repertorio che sforano i 30 anni, perché una volta realizzati si tesaurizzano, massimizzando le poche economie derivanti dai finanziamenti pubblici. Le nostre opere hanno una vita media di minimo cinque anni, garantendo peraltro continuità lavorativa anche agli artisti che vengono coinvolti nelle produzioni. Il pubblico dei bambini e dei ragazzi non è un pubblico clemente, loro sono la vera prova del teatro: solo uno spettacolo che sia arrivato a maturazione grazie anche a un’esperienza di palcoscenico rilevante può dirsi riuscito.
Io consiglio a tutti gli attori in fase di formazione di fare almeno un anno di teatro per ragazzi per rendersi conto di cosa voglia dire avere a che fare con un pubblico che se non riesci a portare un discorso culturale e artistico elevato, non ti dedica occhi e orecchie. Quando ti ritrovi di fronte a 800 ragazzi, se non riesci a convincerli, diventano la ola dello stadio. Abbiamo una grande responsabilità culturale, che mette alla prova gli attori ma soprattutto ci fa essere sempre pronti e sempre in grado di leggere come il pubblico si trasforma nel tempo. Negli ultimi anni il pubblico sta cambiando profondamente anche per l’impatto dei nuovi media.
Ancora a proposito del discorso territoriale, sento sempre più spesso parlare di Rigenerazione Urbana, un tema caldo che ci interessa moltissimo. La Rigenerazione Urbana ha molto a che fare con le compagnie che si occupano di teatro di base, di teatro di strada, di teatro di figura, di circo, perché noi rappresentiamo la prima linea, siamo quelli che devono arrivare per primi al pubblico, in modo tale da condurlo anche verso altri tipi di spettacolo. Quando prende avvio la stagione domenicale nel grande Teatro Dei Marsi, un teatro meraviglioso da 800 posti, la prima cosa che io dico ai bambini è “questa è casa vostra, questo teatro è vostro”. E lo dico perché è la verità, quel teatro è stato costruito anche con le tasse dei loro genitori e alla comunità va restituito.
I bambini devono imparare a stare nei luoghi istituzionali con un altro livello di socialità che non sia solo quello della famiglia, della scuola, in cui fare gruppo, condividere delle esperienze importanti dal punto di vista formativo, emotivo, culturale. Noi facciamo in modo di abitare i luoghi tutti, dal parco con gli alberi, alla strada, alla palestra, fino al grande teatro da 800 posti, trattandoli come dei contenitori che poi vengono caratterizzati con la nostra offerta culturale.
Il discorso degli spazi programmati dalle compagnie, è un argomento molto sensibile, perché la gestione diretta dei luoghi è qualcosa che ti condiziona e che ti definisce anche per il livello di riconoscimento ministeriale, ma spesso non è legata alla capacità degli operatori, quanto alle caratteristiche intrinseche delle regioni dove si vive, con il rischio che coloro i quali si assumono nella realtà il maggior rischio culturale non si vedano poi mai riconosciuti gli sforzi, e chi invece è più fortunato, ovvero riesca a creare collaborazioni virtuose nella propria regione, venga premiato. Se volessimo mettere insieme le capienze di tutti quanti i luoghi in cui il Teatro dei Colori programma in Abruzzo, la cifra sarebbe di gran lunga superiore al numero di posti che vengono richiesti per un grande centro di produzione.
Occorrerebbe un’attenzione in più, soprattutto per riconoscere lo sforzo delle compagnie che da sole fanno un’attività di rigenerazione del territorio. Investono tempo e denaro su spazi polifunzionali che per altro, in modo estremamente trasparente, ricoprono una funzione pubblica. Dal PNRR non è uscita neanche una linea di credito che riguardasse gli spazi polivalenti, polifunzionali. Esiste un solo bando del Ministero per la rigenerazione degli spazi urbani, che sta dando dei bellissimi frutti e che speriamo venga ulteriormente potenziato, ma non esiste altro che aiuti una compagnia a riattivare un luogo e metterlo a disposizione della comunità, mentre di anno in anno il numero dei teatri chiusi ed abbandonati cresce in ogni parte d’Italia.
Tutto è affidato al buon cuore delle amministrazioni locali che devono fare i conti con una grandissima povertà, con problemi sociali. In questo senso, vorrei spezzare una lancia per i colleghi di Instabili Vaganti di Bologna, che hanno gestito uno spazio per 15 anni che gli era stato assegnato e poi gli è stato tolto. In quel luogo avevano costruito una storia. Il lavoro culturale non si può mettere solo a bando, trattandoci come semplici fornitori di beni o servizi, il lavoro culturale va costruito nel tempo, e non ci entra nulla parlare della rotazione dei soggetti per garantire trasparenza. Bisogna finirla di applicare al mondo della cultura le logiche aziendaliste, l’arte è in perdita, fatevene una ragione, per questo l’articolo 9 la tutela, perché la ricchezza che crea è un’altra. Andrebbe fatto un check delle modalità legislative, che eviti lo sradicamento improvviso di tante, valide storie culturali, che peraltro creano posti di lavoro, versano contributi, pagano tasse, etc etc.
In che misura la produzione artistica e il lavoro di organizzazione e programmazione si influenzano nell’intera proposta progettuale del Teatro dei colori? Come si delinea, in questo duplice intervento, la vostra linea artistica?
Una novità del 2025 è che stiamo finendo di preparare lo spazio museale del Teatro dei Colori. Mettiamo a disposizione del nostro pubblico, ma soprattutto dei bambini e delle scuole, la possibilità di venire a vedere, toccare, giocare con tutto il nostro archivio storico di pupazzeria, di maschere, di costumi, di scenografie e questo è molto importante. Aiuta a far venire fuori una parte sostanziale soprattutto del teatro di figura: una stretta correlazione con le arti visive, in particolare per noi, con le arti visive della modernità, con i nuovi linguaggi, ma in generale con la scultura, con la pittura e tutte le arti applicate. Negli anni, ci tengo a ricordarlo, abbiamo avuto la fortuna immensa di collaborare con il grandissimo Bartolomeo Giusti, costumista e pupazzaro del Teatro dei Colori. Nella formazione delle professionalità di Teatro di Figura, è importante fare in modo che gli allievi imparino oltre alle varie tecniche della manipolazione, anche quelle della realizzazione degli oggetti e dei pupazzi.
È un artigianato artistico di altissimo livello e raccoglierlo in un archivio storico è una grande responsabilità perché ne conserva la memoria e aiuta a tramandarne le tecniche. La dispersione di questo sapere sarebbe un grande danno per tutta la Scena. UNIMA Italia si sta facendo carico di questo aspetto, in un modo molto accurato, e noi da soci siamo impegnati in questo, la tutela dei manufatti, e l’impegno nel garantire la continuità delle tecniche di figura.
Entrando invece nel dettaglio delle vostre attività, quali sono i progetti all’attivo e quali in arrivo nei prossimi mesi?
Le nostre progettualità sul territorio continuano a tendere verso l’attivazione di tutti quanti i nostri luoghi fondamentali. Passi sulla scena e Itinerari dell’arcobaleno, sono le due rassegne storiche che compiono 38 anni di programmazione ininterrotta nei teatri, nei centri polivalenti, nelle biblioteche, nelle scuole di tutti i comuni della Marsica, la parte della zona interna montuosa abruzzese. Continuano poi Le Domeniche da Favola ed il Progetto Scena Aperta, e molte altre piccole rassegne ed appuntamenti speciali. Abbiamo un rapporto molto lungo con l’amministrazione del Comune di Avezzano, dove ha sede il nostro Centro di produzione di ricerca e pedagogia. Altre relazioni importanti sono con il Comune di Tagliacozzo, con il meraviglioso Teatro Talia, e con il Comune di Pescina, dove hanno sede il Teatro San Francesco e il Centro Studi Internazionale Ignazio Silone, con cui collaboriamo da sempre, con il Comune di Celano, dove il cuore batte un po’ di più anche per motivi familiari, negli spazi dell’Auditorium e del bellissimo Teatrio, un teatro integrato nella scuola, un vero modello di architettura innovativa.
A Pescina poi abbiamo dedicato tanto impegno per la candidatura a Capitale della cultura che ci ha visto nella rosa delle dieci città finaliste. Pur non avendo vinto, partiranno numerose attività anche di ricerca, che ci vedranno coinvolti e che integrano dalla programmazione abituale In tutti questi luoghi, attiviamo anche i nostri percorsi di laboratorio teatrale. Questa estate poi, a conclusione di una edizione trionfale di Fiabe al Parco a Pineto festival giunto al ventesimo anno di programmazione, abbiamo deciso di potenziare la nostra attività anche nel tempo invernale anche nei territori della costa.
A livello progettuale, il Teatro dei Colori si configura sempre di più come un teatro di figura di ricerca, che si dedica ai bimbi ma anche agli adulti, è sempre strano per noi specificare questo, dato che i nostri spettacoli sono da sempre pensati tout public. Ovviamente andando nella direzione dell’arte visiva , la nostra caratteristica distintiva che quindi ci permette di giocare con linguaggi molteplici, fino alle nuove tecnologie.
Quali delle vostre produzioni sono in fase di circuitazione e quali gli appuntamenti della tournèe di Teatro dei Colori che intendete segnalare?
In questo momento sta circuitando lo spettacolo La Sinfonia dei Giocattoli,che ha debuttato lo scorso anno con un grandissimo successo, che è stato ospite del festival Arrivano dal Mare,e ha chiuso i lavori per la Giornata internazionale della marionetta a Lecce. Viene molto richiesto proprio per la capacità di ingaggiare un pubblico da 0 a 99 anni, ed è caratterizzato dalla nostra tecnica principale il teatro nero, ed è dedicato alla grande artista Sonia Terk Delaunay Siamo in fase di preparazione del nuovo capitolo che celebrerà i vent’anni di vita del nostro Storie di Kirikù, premiato quest’estate all’ EuroPuppetFest Valsesia Ci stiamo dedicando anche ad un grande progetto Escher. Escher è stato un grande affezionato dell’Abruzzo, anche per questo sentiamo un legame fortissimo, e sta avviandosi a diventare una vera e propria linea di ricerca a sé stante della compagnia, caratterizzata da più produzioni teatrali.
Prosegue chiaramente il lavoro sulla multimedialità e vanno avanti solidamente tutti i nostri spettacoli di tenitura, tra cui ci tengo moltissimo a ricordarlo La Cerva Fatata tratta da Il Cunto de li Cunti di Basile, un lavoro di scrittura drammaturgica che va in direzione di una valorizzazione del patrimonio favolistico e letterario del Sud Italia. Ovviamente non possono poi mancare i grandi monologhi del nostro Direttore Artistico, che porta in scena Il Segreto di Luca ed Uscita di Sicurezza dal grande Ignazio Silone, nostro vero nume tutelare.
Principali date della prima parte della tourneè 24-25 TEATRO DEI COLORI
OTTOBRE – DICEMBRE 2024
28 – 29 ottobre Teatro Grandinetti- Lamezia Terme
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
9 novembre CRC Antella – Bagno a Ripoli
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
10 novembre Teatro Corsini – Barberino Di Mugello
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
17 – 18 novembre Nuovo Teatro delle Commedie – Livorno
STORIE DI KIRIKU’
23 novembre Teatro Francesco Stabile – Potenza
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
8 – 9 Dicembre – Teatro delle spiagge – Firenze
CARNAVAL
GENNAIO2025
11 – 12 gennaio Teatro Casa di Pulcinella – Bari
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
19 – 20 gennaio Centrale Preneste – Roma
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
26 gennaio Teatro Arcobaleno – Fiumicello
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
31 gennaio Teatro Comunale – Nardò
IL SEGRETO
1 febbraio Teatro Comunale – Nardò
IL SEGRETO
FEBBRAIO 2025
4 – 5 febbraio Teatro dei Fabbri – Trieste
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
6 – 7 febbraio Teatro Cinema Esperia – Padova
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
14 – 15 febbraio Teatro dei Piccoli Napoli
STORIE DI KIRIKU’
16 – 17 febbraio Teatro dei Piccoli Napoli
STORIE DI KIRIKU’
21 – 22 febbraio Teatro del Cerchio – Parma
STORIE DI KIRIKU’
21 – 22 febbraio Teatro Comunale – Gambettola
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
23 gennaio Teatro degli Astrusi – Montalcino
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
MARZO 2025
2 marzo Teatro Vittoria- Frosinone
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
8 marzo Teatro Studio – Lanciano
USCITA DISICUREZZA
16 marzo Teatro Comunale Verdi – Pollenza
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
18 marzo Teatro Comunale Pedrazzoli – Fabbrico
LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI
21- 22 marzo Teatro Roots – Catania
IL SEGRETO
25 marzo Spazio Teatro Invito – Lecco
LA CERVA FATATA
26 marzo Teatro Società Operaia – Chiavenna
LA CERVA FATATA
30 – 31 marzo Teatro dei Monelli – Cagliari
LA CERVA FATATA
APRILE 2025
1 aprile Teatro dei Monelli – Cagliari
LA CERVA FATATA
6 aprile Teatro Tieffeu – Perugia
STORIE DI KIRIKU’
12 aprile Teatro Don Bosco – Molfetta
USCITA DI SICUREZZA
13 aprile Teatro Don Bosco – Molfetta
STORIE DI KIRIKU’
15 aprile Teatro dei Marsi – Avezzano
IL PICCHIO ROSSO
30 aprile Auditorium E. Fermi – Celano
IL PICCHIO ROSSO
Programmazione del Teatro dei Colori, STAGIONE 2024 – 2025, TEATRO COMUNALE DEI MARSI – AVEZZANO “LE DOMENICHE DA FAVOLA” TEATRO PER RAGAZZI E FAMIGLIE 12a edizione
24 novembre 2024 ore 17,00
LA FONTEMAGGIORE – LA BELLA E LA BESTIA
Regia di Massimiliano Burini
22 dicembre 2024 ore 17,00
TEATRO DEI COLORI -LA CERVA FATATA
da “Lo cunto de li cunti” di G. Battista Basile
Spettacolo vincitore Euro Puppet 2023
Regia di Valentina Ciaccia
19 gennaio 2025 ore 17,00 –
TEATRO DEL DRAGO-ATTICREP (TEXAS) – IL MAGICO CERCHIO DI PROSPERO
da “La tempesta” di William Shakespeare
Regia: Roberto Prestigiacomo, Mauro Monticelli
9 febbraio 2025 ore 17,00 – TEATRO DEL CERCHIO
IL LUPO E LA CAPRA (storia di un’amicizia in una notte di temporale)
Tratto dal racconto di Yuiki Kimura
Progetto e regia di Mario Mascitelli
23 febbraio 2025 ore 17,00 – MARIONETTE CARLO COLLA E FIGLI
TESTE DI LEGNO MARIONETTE MUSICAL
Regia di Franco Citterio e Giovanni Schiavolin
15 marzo 2025 ore 17,00 –TEATRO DEI COLORI E FALAUT FLUTE ORCHESTRA
LUPI, GNOMI E BABA JAGHE
dai “Quadri di una esposizione di Modest Musorgskij”
Regia di Gabriele Ciaccia – Direzione orchestra Paolo Totti.
“PASSI SULLA SCENA” 31° edizione
LETTERATURA, STORIA, TEATRO PER I GIOVANI
11 dicembre 2025 ore 11,00 Sport e civiltà
TEATRI D’IMBARCO – LA LEGGENDA DEL PALLAVOLISTA VOLANTE
con il Campione Andrea Zorzi , regia Nicola Zavagli
27 gennaio 2025 ore 11,00 Giornata della memoria
ERRARE PERSONA – LE CARLOTTINE dal libro di Elsa Morante
Scrittura e ricerca sul Lager di Terenzin, regia di
Progetto NOSTOS-RITORNO.
Regia Damiana Leone, Olimpia Ferrara
15 aprile 2025 ore 11,00
Giornata della Storia, della Legalità e della Giustizia
TEATRO DEI COLORI – IL PICCHIO ROSSO dal libro di Renzo Paris
La storia delle lotte per la terra nel Fucino e l’eccidio di Celano.
Regia di Gabriele Ciaccia
Programmazione del Teatro dei Colori, STAGIONE 2024 – 2025, ITINERARI DELL’ARCOBALENO -PROGETTO SCENA APERTA CELANO 19 -20 novembre 2024 ore 10 ,30 – Scuole dell’infanzia – TEATRO DEI FONDI
I COLORI DELL’ARCOBALENO
28 novembre 2024 ore 10 ,30 Auditorium E. Fermi – TEATRO INVITO
LEAR E IL SUO MATTO
19 dicembre 2024 ore 14,3020 dicembre ore 10,30 TeAtrio Scuola D’Annunzio – LA BOTTEGA TEATRALE
LA NOSTRA VERA STORIA DI NATALE 15 gennaio 2025 ore 10 ,30 – TeAtrio Scuola D’Annunzio – GLI ALCUNI
Il GATTO SENZA STIVALI 19 febbraio 2025 ore 10 ,45 – Auditorium E. Fermi – PILAR TERNERA
ARTEMISIA GENTILESCHI, PITTRICE. CRONACA DI UN PROCESSO PER STUPRO
25 febbraio 2025 ore 14,30-26 febbraio ore 10 ,30 – TeAtrio D’Annunzio – CENTOPERCENTO TEATRO
UN DUE TRE 10 marzo 2025 ore 14,30-11 marzo ore 10 ,30 – TeAtrio D’Annunzio – LA CONTRADA
I MUSICANTI DI BREMA
18 marzo 2025 ore 14 ,30-19 marzo ore 10 ,30 – TeAtrio D’Annunzio – TEATRO ACTORES ALIDOS, PAURA FATTI SOTTO! – dal libro “Il mostro peloso” di Henriette Bichonnier 9 APRILE 2025 ore 10 ,30 – Auditorium E. Fermi – LA CASA DI CRETA
SEMPRE TUA spettacolo e riflessione sul femminicidio Teatro d’attore – 30 APRILE 2025 ore 10 ,30 – Auditorium E. Fermi –TEATRO DEI COLORI
IL PICCHIO ROSSO
dal libro di Renzo Paris, sulla storia delle lotte per la terra del Fucino e l’eccidio di Celano.
Programmazione del Teatro dei Colori, STAGIONE 2024 – 2025, ITINERARI DELL’ARCOBALENO al Teatro San Francesco di Pescina
10 novembre 2024 ore 17,30 – Teatro con le famiglie – RUOTALIBERA 11 novembre ore 17,30 Teatro Scuola
LE STELLE DI SOTTO, UNO GNOMO CHIAMATO CUCUZZOLO 7 dicembre 2024 ore 18,00 – Teatro con le famiglie – GOMMALACCA TEATRI
IL DIARIO DI SOFIA 16 dicembre 2024 ore 10 ,45 – Teatro Scuola – TEATRO DEL LAVORO
MARIONETTE IN CERCA DI MANIPOLAZIONE 18 gennaio 2025 ore 17 ,30 – Teatro con le famiglie – TEATRO DEL DRAGO
Il MAGICO CERCHIO DI PROSPERO da W.Shakespeare 2 aprile 2025 ore 10,45 – Teatro Scuola – GRANTEATRINO
BUON COMPLEANNO GIULIO CONIGLIO
Programmazione del Teatro dei Colori, STAGIONE 2024 – 2025, ITINERARI DELL’ARCOBALENO al Teatro Talia di Tagliacozzo
23 novembre 2024 ore 17,30 Teatro con le famiglie – LA FONTEMAGGIORE
LA BELLA E LA BESTIA
29 novembre 2024 ore 10 ,45 Teatro Scuola – TEATRO INVITO
LEAR E IL SUO MATTO 2024 da W. Shakespeare
12 dicembre ore 10 ,45 Teatro Scuola – TEATRI D’IMBARCO
LA LEGGENDA DEL PALLAVOLISTA VOLANTE con il Campione Andrea Zorzi
28 gennaio 2025 ore 10 ,45 – Teatro Scuola – ERRARE TEATRO
Giornata della memoria – LE CARLOTTINE dal libro di Elsa Morante
Scrittura e ricerca sul Lager di Terenzin, Progetto NOSTOS-RITORNO.
13 febbraio 2025 ore 10 ,45 – Teatro Scuola – RUOTALIBERA
PINOLO
18 febbraio 2025 ORE 10 ,45 – Teatro Scuola PILAR TERNERA
ARTEMISIA GENTILESCHI, PITTRICE. CRONACA DI UN PROCESSO PER STUPRO
28 febbraio 2025 ORE 10 ,45, Teatro Scuola NOVE TEATRO
UN CURIOSO ACCIDENTE di Carlo Goldoni – Teatro d’attore
8 aprile 2025 ore 10,45 Teatro Scuola – CASA DI CRETA di Catania
SEMPRE TUA spettacolo e riflessione sul femminicidio – Teatro d’attore
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
L’abbaglio del tempo (edizione a cura de La Nave di Teseo, con i testi di Marco Belpoliti e Igort) di Ermanna Montanari – attrice, autrice, scenografa e fondatrice insieme a Marco Martinelli del Teatro delle Albe – è un libro che sfugge alle classiche categorie letterarie. Nella prefazione viene presentato come un romanzo, ma la prosa di questi scritti è un magma, una lava incontenibile, non indirizzabile. Il nucleo centrale è dedicato alle memorie d’infanzia di Ermanna Montanari collezionate a Campiano, suo paese d’origine. Seguendo un andamento temporale ciclico, il volume si apre con il racconto di una recente visita di Ermanna insieme a un produttore cinematografico a Campiano; prosegue con la sezione Miraggi che racchiude le miniature campianesi e termina con dei “dialoghi a voce sola”, in cui l’autrice riporta conversazioni del presente con i propri genitori.
Un primo tema che emerge dalla lettura de L’abbaglio del tempo è quello della compresenza: parole che si ripetono, vanno e poi ritornano. Sono parole-mondo, si trascinano dietro intere galassie di pensiero: concetti, rimandi, sensazioni che si staccano dal foglio e si attaccano al corpo. Parole che nella loro messa in relazione assumono una postura dicotomica, come se l’una fosse correlata a un’altra che è il suo opposto: c’è la luce. Quella dell’abbaglio, quella riflettente della neve bianca; la luce della stufa che fa da nutrice al mondo animale e umano insieme; e poi c’è il buio. Quello del pozzo, della notte agitata, dei fremiti e delle inquietudini dell’infanzia, quello della camera da ricevere – la stanza incellofanata, sempre intonsa per gli ospiti che verranno. Uno spazio che è reale e fittizio insieme, come il teatro. Il primo teatro in cui Ermanna Montanari abbia mai messo piede. E vi è la dicotomia del dentro e del fuori. Con il dentro che è lo spazio della casa – immobile, con l’aria viziata, custode dell’infelicità dei rapporti familiari – e il fuori – la terra coltivata, i filari, il cimitero, il letamaio –, luoghi di vita, di scoperta, di libertà dove si consolida l’amore per gli affetti più cari.
Ermanna Montanari ci dona una poesia delle cose di pasoliniana memoria, insieme a lei vediamo e tocchiamo tutto. Afferriamo e ricollochiamo. Eppure, è proprio nell’attaccarsi addosso di queste parole-mondo che l’idea della dicotomia, dell’opposto, si rivela inadeguata: la potenza della narrazione sta nella compresenza, nella capacità di essere contemporaneamente. Di tenere assieme ricordi, confessioni, segreti che non si profanano nel disvelamento.
L’abbaglio del tempo custodisce le macerie di un mondo agricolo, primitivo, negli istinti e nel linguaggio. Un mondo scomparso. Il nonno paterno è il primo a cui Ermanna dedica un racconto: in Bianco neve, come in Renzo Montanari, è un uomo tutto d’un pezzo, un lavoratore instancabile, che vive in comunione con la natura. Il nonno padre, il nonno amico, il nonno confidente, il nonno da abbracciare sul gradino della porta d’entrata. Il nonno patriarca, da cui Ermanna cerca insistentemente attenzione e approvazione, il nonno che la difese quando a vent’anni decise di sposarsi con Marco Martinelli e fare teatro. Il nonno che a scriverne le tira fuori una poesia dolcissima e feroce a un tempo. E questo mondo scomparso è primitivo come le figure che lo infestano, la violenza e la morte tra tutte, che non si palesa come concetto ma come elemento tattile: i gattini ammazzati, le tensioni omicide, i fiori appassiti, Ermanna che porta il nome di uno zio morto in circostanze violente e rinnegato – perché un’incidente stradale non è una morte degna per una famiglia in cui la morte, come molte altre cose, acquistano dignità solo attraverso il lavoro.
L’Ermanna dell’infanzia è una bambina dall’udito largo: sente, sente tutto e questo la affatica. Campiano la affatica, con il suo dialetto, la sua lingua impregnata di terra, che sempre puntella il discorso e che riserva alcuni tra gli squarci poetici più alti. Una provenienza che scaturisce vergogna – l’italiano imparato a scuola –, un’appartenenza da ripudiare ma che affiora, inaspettatamente, ogni volta che Ermanna si fa teatro. Campiano è una di quelle crisi della presenza, tipiche del mondo primitivo – rese note dagli studi dell’antropologo Ernesto De Martino –, che si manifestano quando agli individui pare di perdere coscienza per via di un dolore insostenibile. Perdere la coscienza del proprio sé per scoprire coscienze nuove. Con L’abbaglio del tempo Ermanna Montanari raccoglie e conserva, posiziona tutto questo dentro a delle minuscole fotografie, componendo e offrendo a noi altri un vecchio album di famiglia dai bordi sfilacciati.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Oltre a rappresentare il patrimonio materiale e immateriale di un paese, la cultura è un termometro capace di misurarne la temperatura politica. In questo senso, i radicali cambiamenti che hanno investito l’Italia, l’avvenuto passaggio di testimone e di bandiera, hanno fatto trapelare una volontà di restaurazione che interessa in maniera sfaccettata le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini e delle cittadine. E il comparto culturale non ne è affatto escluso. Con un Codice dello Spettacolo ancora in attesa, un nuovo Decreto Ministeriale alle porte e delle assegnazioni che hanno fatto gridare all’allarme – fatto salvo per dei reintegri che confermano i meccanismi di funzionamento finora vigenti –, a un passo dal nuovo triennio ministeriale nel settore artistico-culturale regna l’incertezza. Quali sono, dunque, gli scenari futuri che ci attendono?
Abbiamo provato a fare chiarezza in questa conversazione con Francesca D’Ippolito, Presidente di C.Re.S.Co – Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, una delle realtà più attive a livello nazionale in materia di raccolta di istanze collettive e interlocuzioni istituzionali.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a uno spostamento radicale dell’assetto politico italiano che ha lasciato prefigurare una ridefinizione del settore culturale. Quali sono gli scenari futuri?
Pensando agli ultimi anni, mi ha colpito tantissimo il ricorso quasi quotidiano al termine identitario. Anche per mezzo delle direttive europee, delle opportunità offerte dai bandi, il pensiero artistico e culturale è stato plasmato positivamente in termini di inclusione, di modalità di ingaggio, di sviluppo di pratiche innovative, mantenendosi in apertura e in dialogo con altre nazioni, con altri mondi. Questo riferirsi continuamente, come si trattasse di una sorta di mantra, a tutto ciò che è identitario, che rafforza la nazione, mi sembra – tanto in fatto di ripercussioni politiche, quanto a livello culturale e artistico – un’inversione di marcia molto pericolosa.
Le artiste e gli artisti hanno dimostrato che la contaminazione è sempre una risorsa e non un limite, sicuramente mai un pericolo: si pensi all’ibridazione tra i generi (danza, teatro, circo), o alla diffusione dell’utilizzo del digitale e delle nuove tecnologie, che ha offerto ad esempio la possibilità di moltiplicare le connessioni artistiche. Ecco, se dovessi sintetizzare la tendenza che più mi spaventa sarebbe questa: l’idea di cultura unicamente come espressione di una nazione e non più di mondi da esplorare.
Quali scenari futuri? Il migliore possibile è quello in cui il settore culturale insorge artisticamente, continuando a mettere in circolo linguaggi e pratiche inedite, in grado di elaborare questo presente così veloce. La paura, invece, è che per intercettare finanziamenti, favori o per entrare nelle corti del Re, si inciampi. Speriamo che gli artisti e le artiste, a differenza di come alle volte è avvenuto in tempi passati, non si pieghino a certi claim da campagna elettorale, da propaganda.
Che tipo di interlocuzione politica avete condotto in funzione del nuovo Decreto Ministeriale?
Il mese di luglio è stato molto positivo perché la Direzione Generale Spettacolo ha indetto tre incontri tecnici in cui erano presenti Agis, Federvivo e C.Re.S.Co, a riprova che l’interlocuzione con il direttore Parente e con il livello tecnico non si è mai interrotta. Sembravamo essere giunti alle soglie della pubblicazione del D.M.: si era parlato di un lavoro di confronto tra Direzione Generale e parte politica nel mese di agosto ed eravamo sicuri che a settembre avremmo visto circolare delle bozze. Dalle dimissioni del Ministro Sangiuliano in poi, non abbiamo saputo più nulla e temiamo che i tempi si prolungheranno ancora. L’aggravante è che a una tardiva la pubblicazione del D.M. potrebbe corrispondere un ritardo nei termini della domanda, con inevitabili ripercussioni sulle assegnazioni e quindi sugli operatori, che si troverebbero ad affrontare un nuovo triennio senza sapere per tempo su che tipo di dispositivo normativo improntare la progettualità triennale. Questa condizione rende il sistema ancora più fragile, più insicuro. Come organizzatrice, la parola che sto sentendo circolare più spesso tra le colleghe e i colleghi è prudenza. La prudenza, quando è sinomino di incertezza e timore, non può generare innovazione né sostegno al rischio culturale, diventando un freno che rischia di impattare fortemente sulla salute del sistema, e dunque su artisti e artiste.
Dal punto di vista del Codice dello Spettacolo, la situazione è ancora più paradossale. Riferendomi all’esperienza di C.Re.S.Co, posso dire che già nel 2016 abbiamo dedicato l’Assemblea Nazionale alle idee degli operatori per una legge di settore, lo abbiamo fatto ancora in pandemia nel 2020, poi appena è finita l’emergenza pandemica siamo tornati a parlarne nel 2021 a Torino: mille incontri e nessuna bozza di testo ad oggi, contrariamente a quanto era stato annunciato durante la primavera. Siamo quasi al mese di ottobre e non è accaduto nulla. Per giunta, non possiamo non segnalare che le modalità di consultazione avvenute lo scorso marzo non hanno permesso un vero confronto con le sigle: la possibilità di dialogo è stata infatti molto risicata, con incontri svolti in presenza di centinaia di operatori provenienti da mondi diversi, dalla moda al gaming e allo spettacolo del vivo, includendo grandi soggetti privati, piccole realtà, senza creare un terreno comune di confronto. Lo trovo abbastanza preoccupante.
Se posso aggiungere un altro dettaglio rispetto al reintegro, nel momento in cui tutti hanno cominciato a preoccuparsi giustamente dei tagli, come C.Re.S.Co.abbiamo cercato di fare chiarezza: il problema per noi era ed è politico, come dimostra una riduzione totale dei contributi di oltre 7 milioni. Per la prima volta negli ultimi dieci anni non solo le risorse stanziate nel bilancio statale 2024 per il FNSV non state pari all’anno precedente ma addirittura in significativa diminuzione.In aggiunta, abbiamo dichiarato una forte preoccupazione per l’entità delle dotazioni in alcuni settori e per alcune valutazioni di Qualità Artistica da parte delle Commissioni, che hanno penalizzato maggiormente i settori a più alto tasso di innovazione e sperimentazione: ad oggi il reintegro è stato annunciato verbalmente, ma non c’è un documento certo che ne attesti modalità e tempi. C’è un impegno da parte del Governo, di cui tutti ci fidiamo, ma sono ormai trascorsi diversi mesi. Al momento abbiamo tra le mani soltanto una promessa.
Quali sono le principali proposte integrative o di modifica avanzate da C.Re.S.Co. in vista del nuovo D.M.?
Tralasciando gli aspetti più tecnici, l’istanza fondamentale che abbiamo avanzato non ha riguardato principalmente le singole tipologie di soggetto come ad esempio Teatri Nazionali, Tric, Centri di produzione. Abbiamo lavorato sull’impianto generale, su tutti i meccanismi e le regole del sistema previste dal Capo 1 del D.M., chiedendo innanzitutto una semplificazione dell’impianto normativo poiché negli anni, in assenza del Codice dello Spettacolo, si sono stratificate tante modifiche che hanno trasformato il D.M. in un piccolo Arlecchino con tante toppe colorate su un vestito ormai logoro.
L’accumulazione di vincoli, norme, lacci, impedisce chiarezza, trasparenza e semplificazione. Abbiamo lavorato per una maggiore predisposizione del sistema all’innovazione e alle nuove generazioni, facendo inoltre fortemente leva sul riequilibrio territoriale, un tema rilevante guardando all’attuale fotografia del sistema del finanziamento pubblico e ai divari tra nord, centro, sud e isole, ma ancora di più tra capoluoghi e aree interne o di provincia. E ci siamo occupati dell’iperproduzione, nell’ottica di aumentare gli spazi di programmazione, di far sì che le produzioni possano avere un reale mercato e una circuitazione sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico. Volendo riassumere i temi cardine della nostra proposta: semplificazione, trasparenza, permeabilità, riequilibrio territoriale, ricambio generazionale, contrasto all’iperproduzione attraverso un sistema sano di programmazione in rete, una logica di filiera.
In merito ai possibili cambiamenti che interesseranno il settore, che grado di consapevolezza hai rilevato nel comparto artistico? Ritieni che vi sia una volontà di aggiornamento volta a comprendere le dinamiche incombenti nell’ottica di essere pronti, meglio preparati ai tempi che verranno?
In questi anni, non mi è parso sempre questo l’istinto più diffuso, anche alla luce della situazione in cui siamo. Forse perché, vivendo una condizione di costante precarietà, abbiamo la tendenza come comparto a pensare al singolo caso e sempre meno in ottica di sistema. Se dovessi raccontare uno dei progetti che ho più a cuore dei miei ormai quattro anni di presidenza di C.Re.S.Co., parlerei sicuramente di C.Re.S.Co. Studia. Nel realizzarlo, ho pensato che l’unico modo per creare in primis dentro di me una coscienza e poi una consapevolezza che potesse farsi collettiva, fosse maneggiare i dispositivi normativi, prendere confidenza anche con questioni molto ostiche come leggi e regolamenti per poter intrattenere un dialogo alla pari con i burocrati. Lorenzo Milani diceva che è la lingua che fa uguali. Abbiamo bisogno anche di conoscenze tecniche, se si conoscono poco i propri diritti si fa fatica a reclamarli.
Prestare attenzione a capire in quale punto si genera l’equilibrio tra le cose, in virtù di un benessere collettivo, può sembrare un’utopia ma in realtà è l’unico mezzo per giungere a una reale riforma di sistema. Il rischio che si corre altrimenti – ed è lo stesso rischio che stiamo correndo con il D.M. in arrivo – è che si tratti dell’ennesima collezione di minuscole e parziali risoluzioni che potrebbero frammentare ancora di più un comparto già totalmente disomogeneo come il nostro.
L’1 e il 2 ottobre si terrà a Prato l’assemblea nazionale 2024 di C.Re.S.Co, dal titolo “I nostri giorni felici”. Perché avete scelto di indagare il tema della felicità con i vostri promotori, ponendovi in controtendenza con la cupa incertezza delle manovre politiche in attuazione?
In un tempo di strazianti e molteplici crisi come il nostro, siamo consapevoli che sia molto rischioso intitolare in questo modo un’assemblea. Qual è il principio che ha ispirato questa scelta? Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo reciprocamente chiesti “come stai?”. Le risposte hanno sempre a che fare con la stanchezza, con la demotivazione, con la frustrazione. Allora ci siamo detti che forse l’unico modo per rispondere a criticità importanti è provare a farlo attraverso la felicità personale e collettiva. Non può dirsi felice un pianeta che non gestisce il cambiamento climatico, che lascia morire i migranti in mare. Allo stesso modo non può dirsi felice un sistema in cui tutte le lavoratrici e i lavoratori hanno la stanchezza e il burn out come compagni di viaggio quotidiani.
L’idea è di concederci il rischioso privilegio di fermare tutto per due giorni e riservarci il tempo per costruire insieme il decalogo di una politica culturale sana, equa… e quindi anche felice. Il titolo scelto per l’edizione di quest’anno del Festival Contemporanea è L’emozione prima della sommossa. Voglio prenderlo in prestito e adeguarlo per spiegare il tema della nostra assemblea: felicità come presa di coscienza, una felicità propedeutica alla sommossa. È come dire che per fare la rivoluzione bisogna essere in salute perché ci sarà tanto da fare. Proviamo a ritemprarci per approcciare a tutte le riforme di sistema anche con uno sguardo più visionario, per evitare di concentrarci unicamente sulle urgenze del presente senza progettare un futuro più sostenibile. In fin dei conti, l’unico modo per farlo ci sembrano proprio la felicità e il benessere.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.
Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti per garantirti la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. These cookies ensure basic functionalities and security features of the website, anonymously.
Cookie
Durata
Descrizione
cookielawinfo-checkbox-analytics
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics".
cookielawinfo-checkbox-functional
11 months
The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional".
cookielawinfo-checkbox-necessary
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary".
cookielawinfo-checkbox-others
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other.
cookielawinfo-checkbox-performance
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance".
viewed_cookie_policy
The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data.
Functional cookies help to perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collect feedbacks, and other third-party features.
Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.
Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.
Advertisement cookies are used to provide visitors with relevant ads and marketing campaigns. These cookies track visitors across websites and collect information to provide customized ads.