L’intervento curatoriale di Strabismi: fare comunità, costruire il futuro

L’intervento curatoriale di Strabismi: fare comunità, costruire il futuro

Da più di 10 anni il collettivo che anima la direzione artistica di Strabismi, interviene in maniera sostanziale sull’offerta culturale umbra.
Diverse sono le attività condotte da Strabismi, associazione nota per la realizzazione di spettacoli e per l’organizzazione di un festival multidisciplinare che nel corso del tempo ha fatto emergere e sostenuto il percorso di talenti oggi affermati sulle scene nazionali.
Questo processo di cura, però, si estende ben oltre il periodo festivaliero e caratterizza tutte le iniziative proposte, segno di una sensibilità artistica che intercetta nella proposta culturale uno strumento fondamentale per lo sviluppo della comunità e del territorio di riferimento. 

Rafforzare il senso civico e lo spirito critico delle giovani generazioni e creare concrete opportunità per percorsi artistici in fieri sono le matrici del nuovo corso inaugurato da Strabismi: da un lato il ritorno del Festival che inaugurerà a Perugia la sua XI edizione con una conformazione del tutto rivoluzionata, dall’altro un progetto di scoperta delle arti performative rivolto a studentesse e studenti delle scuole medie. 

Ne abbiamo parlato con Alessandro Sesti, regista, performer, direttore artistico di Strabismi.

Perché avete scelto di connotare il vostro lavoro con una simile visione curatoriale, cosa significa assumersi la responsabilità di un simile intervento? 

Quando abbiamo dato vita a Strabismi nel 2015 eravamo molto giovani, per il panorama teatrale italiano direi dei bambini, ma nonostante ciò avevamo percepito  un vuoto nella nostra regione per ciò che riguardava cura, sostegno e programmazione di giovani artisti.
La nostra intenzione iniziale fu di riempire quel vuoto creando un contenitore per ospitare e dare l’occasione di mostrare il proprio percorso artistico a tutti gli artisti emergenti che faticavano a trovare un’occasione quando muovono i primi passi. Pertanto tutte le nostre iniziative, da lì in avanti, hanno avuto tale unico vettore.
Ci siamo resi conto, edizione dopo edizione, che limitare il concetto di “emergente” al confine anagrafico dei 35 anni fosse un errore in quanto il percorso artistico non è sempre direttamente proporzionale all’età. Allo stesso modo ci siamo a lungo interrogati su cosa dovesse essere Strabismi in termini di ricaduta sociale sul territorio dove operavamo. 

Dopo i primi anni un po’ nomadi, finalmente abbiamo trovato casa in un piccolo paese umbro e lì abbiamo potuto esprimere al meglio ciò in cui credevamo: abbiamo dato vita a progetti di Direzione artistica Partecipata, progetti scolastici come StraBimbi, abbiamo creato un focus sui “giovani maestri” ovvero su quegli artisti che nonostante la giovane età hanno già un percorso artistico ben definito e soprattutto abbiamo potenziato il sostegno ai giovani artisti attraverso residenze autosostenute – Strabismi non ha mai fatto parte delle residenze artistiche nazionali – e collaborazioni con molte realtà artistiche del territorio nazionale. 

Una delle parole chiave che associo a Strabismi è continuità, proprio perché credo sia la grande assente per la nostra generazione. Siamo cresciuti e continuiamo ad invecchiare coscienti che “oggi sei utile, ma domani ci occorre qualcosa di più nuovo del nuovo”. Ogni anno assistiamo ad una proliferazione di bandi che cercano opere nuove, lavori inediti, concorsi che chiedono esclusive, insomma un meccanismo fagocitante dove a farne le spese è l’artista che probabilmente è stato confuso per una macchina a gettoni. Come si può costruire un percorso artistico di reale ricerca se cerchiamo sempre qualcosa di nuovo? Ed ecco che nascono e muoiono i famosi progetti “da bando” dove anche l’artista è costretto a perdersi per avere occasioni. 

Con Strabismi vogliamo che l’artista percepisca un senso di certezza, seppur piccolo, che lo spinga ad andare avanti sapendo che l’anno successivo presenterà ancora un suo lavoro nel nostro festival in Umbria, con un cachet adeguato e operatori partner per intercettare nuove occasioni. Anche per questo motivo abbiamo interrotto il meccanismo del bando e iniziato un processo di recupero di tutte le compagnie che avevano catturato il nostro interesse, ma che non eravamo riusciti a programmare. 

Crediamo che, oggi come oggi,  assumersi questa responsabilità sia necessario. Dare fiducia e occasioni a quelli che mi piace immaginare come “maestri del futuro” è però, credo, anche una vocazione: sull’under 35, da parte del Ministero abbiamo visto più e più volte delle modifiche nei piani organizzativi, ma se la mission è di sostenere i giovani vai avanti lo stesso, offrendo un servizio fondamentale per le nuove generazioni, perché sei cosciente che questo “non è un paese per giovani”. 

A proposito del Festival Strabismi. Le ultime edizioni hanno segnato un cambio di passo importante. Con lo spostamento dalla storica location di Cannara, il Festival ha assunto una nuova conformazione pur mantenendo le specificità che lo connotano fin dalla sua fondazione. In occasione della prossima edizione avete costruito il festival intorno a una serie di nuclei tematici di grande rilevanza sociale. Perché questa scelta e quali sono le aspettative riguardo all’impatto di queste iniziative sulla comunità perugina?

Le ultime due edizioni sono state di transizione, le abbiamo realizzate con l’ospitalità del Piccolo Teatro degli Instabili di Fulvia Angeletti e di Fontemaggiore, che ringraziamo. Abbiamo cercato di mantenere la nostra azione di sostegno alle giovani compagnie, ma altro non potevamo prevedere. Da quest’anno abbiamo potuto riprendere ad immaginare il futuro grazie alla collaborazione con Spazio Mai – Movement Art Is, che ci ha accolto nei propri spazi, in un progetto di residenza permanente. Spazio Mai è una realtà che da molti anni opera su Perugia e con la quale abbiamo trovato grande sintonia. 
Quindi possiamo finalmente dirlo, che dopo due anni di incertezze e difficoltà, oggi Strabismi Festival rinasce nel capoluogo della Regione, Perugia. 
Il motivo per cui abbiamo trasformato il festival in qualcosa di differente è relativo al territorio di riferimento, ma anche agli anni di Strabismi. Diciamo che ci eravamo dati come obiettivo quello di svecchiare il festival e di provare a immaginare qualcosa di differente in primis perché ciò che funzionava a Cannara, con ogni probabilità, non funzionerebbe a Perugia, ma soprattutto perché un festival di teatro (sia anch’esso multidisciplinare) inteso come una rassegna di eventi compressa in pochi giorni, oggi come oggi, a mio avviso è anacronistico e non in ascolto con il cambiamento che stiamo vivendo. 

Ciò cui abbiamo assistito negli ultimi 15-20 anni è stato un progressivo aumento di “festival vetrina” che sono certamente utili, ma non possono essere l’unica possibilità. Sono aumentati esponenzialmente anche i concorsi e i famigerati bandi per residenze e sostegni produttivi. Ciò che abbiamo perso nel tempo è il contatto con lo spettatore, ma non inteso come cittadino che acquista un biglietto e assiste a ciò che proponiamo, ma come fruitore attivo dell’offerta culturale. Abbiamo dimenticato la necessità di intendere il teatro come un veicolo utile a ricostruire una comunità di cittadini attivi e partecipi. 
Non ci sono colpe, è una constatazione dei fatti. Giriamo festival da artisti o da operatori e ci ritroviamo, ci riconosciamo fra di noi. Sono rari e preziosi gli esempi di luoghi dove questo non accade.
Perciò abbiamo cercato di creare un progetto che mantenga il sostegno alle giovani realtà, ma che richiami a sé la cittadinanza e soprattutto i giovani, di cui Perugia è grande attrattore essendo anche un’importante città universitaria. 

Quindi dopo il momento dedicato agli emergenti che prende il nome di Exotropia, inizierà il festival vero e proprio che avrà una durata di circa tre mesi, con eventi lontani fra loro nel tempo. Poiché crediamo anche che, al netto delle condizioni economiche sempre più precarie nel nostro Paese, c’è anche l’aspetto della mancanza di tempo per se stessi, che le nuove generazioni percepiscono molto chiaramente. Non siamo più disposti a “sospendere” la nostra vita per rincorrere una programmazione bulimica di eventi, questo credo valga per ogni manifestazione, non solo per il teatro. 
Riguardo i contenuti dell’XI° edizione di Strabismi festival, la prima a Perugia, abbiamo deciso di affrontare il tema dell’inquinamento ambientale e del cambiamento climatico, l’aumento dei casi di depressione e suicidi nei giovani adulti, la violenza di genere e la dipendenza affettiva e infine il bullismo e il bullismo omotransfobico nella dimensione scolastica. 

Di volta in volta intorno a questi argomenti costruiremo delle conferenze, dei panel in cui cittadini, studenti universitari, associazioni di categoria e rappresentanti delle amministrazioni cittadine e regionali possano confrontarsi, avere un dialogo, realizzare un documento utile a portare un cambiamento concreto nella dimensione sociale. Facile? Non lo credo affatto, ma se non puntiamo a qualcosa di ambizioso, in fondo, perché lo stiamo facendo?
Per entrare nello specifico della programmazione aspettiamo ancora un po’, ma una cosa possiamo già anticiparla. A Giugno, grazie alla collaborazione con Dance Gallery, storica realtà della città di Perugia, realizzeremo una Strabismi Festival Preview dove ospiteremo lo spettacolo vincitore del Premio Cantiere Risonanze 2024. 

Proprio con il Festival Strabismi avete avviato da diverso tempo un percorso di Direzione Artistica Partecipata che affida a giovani spettatori e spettatrici la selezione di alcuni degli spettacoli programmati, ma che si sostanzia soprattutto in un processo di avvicinamento alle arti performative. Avete poi esteso questa traiettoria a studenti e studentesse delle scuole di diverso grado del territorio. Qual è l’obiettivo principale della Direzione Artistica Partecipata (DAP) e come si è evoluta nel tempo, in particolare con l’inclusione degli alunni delle scuole medie nel processo di selezione e valutazione degli spettacoli?

Le DAP sono uno strumento che ormai tantissimi festival creano, curano e rendono parte integrante della propria progettualità. All’interno di Risonanze Network di cui Strabismi è partner, sono tantissime le realtà che considerano le DAP la normalità. Noi stessi l’abbiamo creata dopo aver conosciuto e visto questa pratica già attiva in altri festival come ad esempio Dominio Pubblico a Roma. Anche la DAP, purtroppo, è stata vittima del nostro addio a Cannara, poiché nel pieno di un processo di cambiamento obbligato non riesci a dedicare la giusta cura a un progetto così stratificato e complesso, ma ora siamo già a lavoro per costruire un nuovo gruppo che unisca i membri veterani con uno proveniente dal territorio perugino.

L’idea di estendere il progetto di DAP ai giovani delle scuole medie mi è venuta durante la pandemia. Allora c’era un grande affanno, tutti a trovare il modo di continuare a fare pur di non fermarsi. Ho vissuto quel periodo con particolare confusione e senso di inadeguatezza. Non mi sentivo a mio agio nel parlare di teatro attraverso un dispositivo, né tantomeno a chiamarlo con il suo nome. Quella cosa è stata un’altra cosa. 

Però, e qui l’idea, ci sono stati dei giovanissimi che hanno in un certo senso “saltato” due anni scolastici ritrovandosi catapultati dalla quinta elementare, in seconda media. Questi studenti appartengono alla Glass generation o alla Z generation, sono nati nell’epoca in cui tutto è smart e a differenza nostra non hanno vissuto il passaggio dall’analogico al digitale. Non è un caso o un lapsus il fatto che spesso chiamino “film” uno spettacolo visto attraverso uno schermo.
Da questi pensieri e ragionamenti ho strutturato un progetto di “Educazione alla visione”, che trasforma le alunne e gli alunni delle classi seconde nelle direttrici e nei direttori artistici della rassegna che sarà realizzata nella loro città. 

Il meccanismo è semplice: i giovani vedono una serie di spettacoli, di volta in volta, dopo la visione, si crea un dibattito in merito alla tematica, agli aspetti più tecnici e logistici legati all’ospitalità di quel progetto. Al termine sono chiamati a selezionarne uno o più, a seconda delle  disponibilità di Strabismi, e qui entriamo in gioco noi garantendo loro un rischio di impresa “protetto”. Loro scelgono come fossero dei direttori, ma è Strabismi a investire nelle loro scelte e offrire alla città quegli spettacoli, in replica mattutina per le studentesse e gli studenti e in replica serale per la cittadinanza. 

Qual è il ruolo curatoriale degli studenti nella scelta degli spettacoli da portare in scena, e in che modo questa partecipazione attiva contribuisce a rafforzare il loro senso di appartenenza alla comunità?

Credo che un simile processo crei un senso di responsabilità importante nei giovani e che soprattutto li porti a scoprire i meccanismi con cui si organizza una stagione teatrale o un festival, a dare meno cose per scontate e anche se il mondo gli ricorda ogni giorno che devono correre ed essere al passo con la “società dello spettacolo” possono anche fermarsi e confrontarsi per trovare “il meglio” da offrire alla propria città, ma in tempistiche lente e dilatate. Gli spettacoli selezionati infatti vengono poi portati dal vivo nel successivo anno scolastico, per necessità logistiche, ma anche per contrapporre il teatro alla pessima abitudine del tutto e subito.

Quest’anno stiamo già operando su Norcia, presso l’istituto De Gasperi – Battaglia (con il quale stiamo curando anche un progetto di teatro, legalità e musica, ma ne parlerò più in là) e stiamo sottoponendo loro spettacoli legati ai temi d’attualità più critici, notando, di anno in anno, quanto i giovani siano molto più consapevoli e inclusivi rispetto le generazioni precedenti.

Qui e altrove. La rifrazione social dell’esistenza in RMX

Qui e altrove. La rifrazione social dell’esistenza in RMX

Lo vediamo accadere tutti i giorni: i confini tra reale e virtuale sono sempre più labili. Stare al mondo, oggi, corrisponde a essere qui e altrove contemporaneamente: a farci dono dell’ubiquità sono gli smartphone con cui documentiamo la nostra esistenza e spiamo il vivere altrui. Dunque è possibile costruire il proprio essere sociale prescindendo dalla rifrazione social di ciò che siamo? E cosa accade se reel, selfie, loop abdicano allo schermo per irrompere nella costruzione drammaturgica di una performance?

Se lo chiedono Pietro Angelini, attore e regista, e Karlo Mangiafesta, artista multimediale e performer, ideatori del concept di RMX, rilettura contemporanea del mito di Narciso, portata in scena dai danzatori Francesca Santamaria e Vittorio Pagani. Uno studio sulle declinazioni del corpo e della sua immagine nell’epoca digitale, nutrito dalla cooperazione tra giovani artisti dalla spiccata cifra autoriale.

Ne abbiamo parlato con Pietro Angelini, regista di RMX che il 1° marzo incontrerà il pubblico del Teatro del Lido di Ostia. 

RMX affronta la permeabilità tra il mondo virtuale e quello reale, a partire da una rilettura del mito di Narciso. La nostra è una società bifronte che costruisce la propria narrazione di sé online e offline, con strumenti di comunicazione e di relazione che, seppur difformi, rintracciano nel protagonismo una fonte comune. In quale specchio d’acqua riflette l’immagine dei personaggi di RMX?

Se nel mito di Narciso lo specchio d’acqua era naturale, quello di RMX è digitale: la superficie touch screen dello smartphone in cui, attraverso la telecamera frontale, i personaggi vedono la loro immagine rappresentata. Da qui comincia il loro viaggio che li porta a sprofondare in questo lago fatto di pixel, risucchiati alla stessa maniera in cui il dispositivo risucchia il nostro tempo e la nostra attenzione. Un viaggio generativo di estetiche ed effetti ipnotici. 

Nel lavorare a RMX avete riunito artisti che conducono, in maniera individuale e in questo caso collettiva, una ricerca di stampo fortemente autoriale. In che modo le diverse autorialità sono state poste al servizio del processo creativo?

RMX è l’incontro di più artisti differenti, il concept originale è nato da me e Karlo Mangiafesta durante una residenza creativa nel contesto di Playtime a Spazio Mensa, a cura di Gaia Petronio e Sebastiano Bottaro, il cui obiettivo era far incontrare per una settimana di residenza un artista performativo (in questo caso io) e uno che si occupasse di arte visiva (Karlo Mangiafesta) e capire cosa potesse nascere. Il successivo trasferimento di Karlo a Madrid ci ha portato poi a proseguire a distanza il lavoro iniziato durante la residenza, continuando sempre a confrontarci ma da quel momento ho preso in mano io il timone della regia, decidendo anche di non essere più in scena, come previsto inizialmente. 

Il lavoro vede in scena Francesca Santamaria e Vittorio Pagani, abbiamo deciso di lavorare con questi due bravissimi danzatori per dare spazio al lavoro sul corpo che infatti domina la prima parte dello spettacolo e riesce a controbilanciare così la seconda parte, in cui si assiste a una vaporizzazione del corpo con le immagini che prendono il sopravvento. Ognuno con le sue competenze è stato fondamentale nel processo creativo, sicuramente il dispositivo digitale che domina la seconda parte l’abbiamo esplorato molto io e Karlo sin dall’inizio e il contributo dei danzatori in questo è stato necessario per amalgamare, legare, far reagire i loro corpi a quel dispositivo, mentre la prima parte è stata interamente creata dai danzatori con la mia supervisione.

Come è intervenuto sulla scrittura l’utilizzo degli smartphone come dispositivo drammaturgico?

Gli smartphone sono collegati in tempo reale al computer attraverso un programma di mirroring che si chiama Reflector, tutto quello che accade sullo smartphone è specchiato su un computer legato a un proiettore. Attraverso questo circuito abbiamo scoperto per esempio che se si proietta con lo smartphone ciò che viene ripreso si crea un loop,  o quello che nella videoarte degli anni 70 prende il nome innesco, vale a dire che nell’immagine si crea un buco infinito, come fosse uno specchio davanti a uno specchio. Questo effetto, così come anche il riverbero, il rewind e tutti gli escamotage tecnici hanno contribuito alla scrittura di RMX che è una scrittura per immagini.

La specificità della creazione performativa, coreutica e multimediale che determina i vostri percorsi artistici trova una sintesi corale in RMX. Da cosa deriva la scelta di adottare tali, molteplici linguaggi?

Ci sono sicuramente più specificità che si sintetizzano in RMX in maniera corale, siamo singoli artisti ma lavoriamo spesso insieme, ci coinvolgiamo a vicenda nei nostri lavori, c’è una stima reciproca e un’amicizia. La scelta di adottare molteplici linguaggi è stata una scelta naturale legata alla mia formazione altrettanto molteplice, utilizzare il video a teatro per me è ormai imprescindibile perché fa così tanto parte della nostra vita che è come domandarsi perché usare la musica o le luci in scena, sono tutti elementi che oggi abitano nello stesso spazio sia a teatro che fuori. 

In The third wave il sociologo Alvin Toffler inventa il neologismo prosumer, una crasi tra produzione e fruizione quali atteggiamenti coesistenti nel consumatore che nell’epoca dei social network ha dato vita a un genere mediale inedito, quello dei contenuti generati dagli utenti. Il pubblico, fruitore di RMX, che ruolo ha? Detiene una parte attiva?

Sì, siamo partiti proprio dal concetto di prosumer, infatti i nostri personaggi prima di agire in scena con la tecnologia, la subiscono. Ci interessava, nella loro traiettoria, contrapporre l’utilizzo passivo e attivo del mezzo. Il pubblico di RMX osserva e fa il suo viaggio, è uno spettacolo ipnotico così come lo è lo smartphone per gli esseri umani, quindi si ricrea quella dinamica. 

La drammaturgia contemporanea nell’epoca della distrazione

La drammaturgia contemporanea nell’epoca della distrazione

In uno scritto intitolato Teatro Novecento: ovvietà a firma dello studioso Ferdinando Taviani, si legge: «Il XX secolo è il secolo in cui l’essenza stessa del teatro s’è sentita minacciata. È pertanto un’età d’oro».
Il sentore di minaccia, rilevato e analizzato da Taviani nel teatro del Novecento, è estendibile oltre i confini temporali di un’epoca. L’estinzione – o il suo indebolimento – è connaturata all’esperienza del teatro in quanto tale, palesandosi nell’avvicendamento di ogni nuova fase che lo attraversi, sia essa di ordine poetico, storico o politico. Il suo essere espressione artistica dell’umano determina l’assoggettamento del teatro alle trasformazioni sociali e culturali.

Se la pratica laboratoriale novecentesca ha frantumato i codici preesistenti, intervenendo innanzitutto sulla dimensione relazionale e autoriale dei processi artistici, ci troviamo oggi al cospetto di un ribaltamento – le motivazioni sono innumerevoli, per obbligo di sintesi ci si concentrerà su uno degli aspetti rilevabili – che vede nella distrazione del pubblico il proprio seme. La fruizione, esplosa a fronte della pressoché infinita produzione di contenuti, artistici e non, capace di raggiungerci in ogni dove e in ogni quando, non sempre rappresenta il beneficio di un input.

Più spesso, obbliga alla selezione, alla scelta frenetica – e distratta – di ciò che ci interessa: meglio, che ci attrae. E l’attrazione è un atteggiamento istintuale, conclama ciò che avvicina e repelle senza obbligo di approfondimento. Il teatro, sintesi delle arti, molteplicità di intenti, richiede un’esplorazione che ha i tratti dell’inabissamento: infrangere la superficie, sfidare il buio. Dunque, il teatro è in crisi? Parafrasando Taviani: il XXI secolo è il secolo in cui l’essenza stessa del teatro s’è sentita minacciata. È pertanto un’età d’oro.

Di tramutare l’impasse in possibilità si sta occupando, tra gli altri, un’intera generazione di autrici e autori teatrali che ha beninteso come la drammaturgia non sia la sola arte di scrivere drammi e opere per il teatro. Il dramatos ergon – vale a dire il lavoro, la costruzione dell’azione – etimo della parola drammaturgia, ne risolve l’immediata assimilazione al contesto puramente letterario. Riferirsi alla drammaturgia significa guardare alle caratteristiche narratologiche di un sistema di relazioni, elementi formali, connessioni, codici che plasmano la partitura dell’evento performativo. E significa anche avere tra le mani un metro da sarto, con cui misurare le storture e gli slanci delle porzioni di mondo e dei frammenti di tempo che si abitano. Sta nella capacità di tenere assieme l’impalcatura spettacolare – con le sue plurime, possibili espressioni – e di leggere il presente, l’interesse ineludibile verso la drammaturgia. Ma chi sono le drammaturghe e i drammaturghi oggi?

L’errore è dietro l’angolo: figurarsi l’autore come colui che chino sulla scrivania verga ciò che ha intorno, osservandolo dalla propria torre d’avorio, è obsoleto. Primo, perché tale immagine presupporrebbe un elitarismo della ricerca intellettuale inconciliabile con gli intrecci relazionali di cui si è detto e da cui il drammaturgo, nell’esercizio della professione, non può esimersi; secondo, perché l’avorio è un materiale pregiato. E qui, oltre alla proposta artistica, di pregevole v’è poco.
Basti pensare alle ingerenze produttive e consumistiche del sistema spettacolo che relegano la drammaturgia contemporanea a una minima percentuale da inserire in cartellone, spesso in sala piccola, quando non alla sostanziale impossibilità di incontrare le tavole di un palcoscenico. Senza contare la totale assenza di inquadramento professionale della figura dei drammaturghi all’interno del CCNL, con la conseguente arbitrarietà dei rapporti di lavoro.

E poi il ritardo. L’endemico ritardo dell’emersione dell’autrice o dell’autore teatrale che, fino ai quarant’anni, può giocarsi la partita ed essere l’artista su cui scommettere, per diventare, allo scoccare dei quarantuno, quella, quello che non ce l’ha fatta. O almeno non in tempo.
Allora, per interrogarsi seriamente sullo stato di salute della drammaturgia contemporanea occorre innanzitutto dedicarsi a un’analisi approfondita delle condizioni di lavoro di chi scrive professionalmente per la scena. Perché il malessere di una condizione può risultare osmotico e dunque, influire sul valore della stessa operazione drammaturgica.

Con Omissis – Osservatorio drammaturgico, progetto dell’impresa culturale Theatron 2.0, proponiamo un tentativo collettivo che muove in questa direzione. Omissis trova i suoi presupposti in una ricerca diffusa, allargata, compartecipata da autrici e autori, nella volontà di contrastare l’atomizzazione della categoria, di sottolinearne le urgenze e amplificarne la voce, interrogando e intervenendo sugli aspetti più problematici della questione, secondo una prospettiva artistica e giuslavoristica.
«Chi siamo? Come stiamo? Cosa vorremmo?» si chiedono le drammaturghe e i drammaturghi che ci coadiuvano nel processo. «Per quanto ancora dovrete sgomitare per farvi spazio, barattare l’esistenza col compenso, abbandonare la professione se non diventa tale? Per quanto ancora potremo giustificarci dicendoci distratti?», domandiamo noi.

Concentrica Open School, a scuola di relazione 

Concentrica Open School, a scuola di relazione 

Attivare culturalmente un territorio utilizzando la scuola come presidio, coinvolgere studentesse e studenti in un percorso di promozione attiva delle arti è quanto determina l’intera fisionomia del progetto Concentrica Open School.
Ideato dal Teatro della Caduta di Torino, organizzato con Torino Open Lab e diversi partner nazionali, Concentrica Open School mette in connessione il mondo del teatro con quello della scuola, in una prospettiva di arricchimento trasversale per tutte le parti in gioco. 

Se da un lato i ragazzi e le ragazze si mettono alla prova con una proposta formativa dinamica e interattiva attraverso gli strumenti dello storytelling, del videomaking e del digitale; dall’altro, incontrando il teatro, scoprono loro stessi, si predispongono al dialogo. Docenti e genitori imparano a conoscere i propri allievi e figli, innescando un processo virtuoso di educazione relazionale. 
La scuola, campo base dell’esperienza creativa degli studenti per due settimane, apre le sue porte al pubblico ospitando gli spettacoli di giovani compagnie pluripremiate.  A beneficiare dell’intervento di Concentrica Open School è la comunità tutta, sia essa del centro città o della periferia.

Ne abbiamo parlato con Massimo Betti Merlin e Lorena Senestro, fondatori di Concentrica e direttori artistici di Teatro della Caduta. 

Come nasce Concentrica, quali sono gli obiettivi principali del progetto?

Massimo Betti Merlin: Concentrica è nato dalla necessità di fare un lavoro di rete. Nel 2011, dopo un decennio di lavoro a testa bassa sul nostro progetto, abbiamo sentito il bisogno di entrare in relazione con l’esterno, anche oltre i confini della città di Torino, per cui abbiamo creato il network piemontese che poi si è esteso anche alla Liguria e alla Valle d’Aosta. Prima abbiamo dialogato con tanti partner teatrali, poi abbiamo verificato che un lavoro di partnership inter-settore risultasse ancora più efficace.
Concentrica ha fatto da ponte per l’introduzione e il rafforzamento in Piemonte di una serie di sistemi di rete, tra cui In-Box, Smart che abbiamo importato dal Belgio, C.r.e.S.c.o., Risonanze. Ci siamo posti come dei connettori tra l’offerta culturale del territorio e quella nazionale.

Con Concentrica Open School avete realizzato un’importante azione di intervento artistico e culturale in ambito scolastico. Durante quest’esperienza, gli studenti hanno la possibilità di scoprire i mestieri dello spettacolo e di proiettarsi nel mondo del lavoro, come è strutturata la proposta formativa?

M.B.M: Oggi più che in ogni altra epoca, il gap generazionale è fortissimo. Open School ha risposto innanzitutto a una nostra necessità: interfacciarci con il nuovo pubblico e metterlo in rapporto con le nuove generazioni di artisti che promuoviamo. Il teatro è una folgorazione solo se hai l’opportunità di incontrarlo. Noi portiamo il teatro nelle scuole e stiamo a vedere cosa accade, non solo dal punto di vista degli spettatori ma anche degli artisti. I ragazzi e le ragazze che coinvolgiamo sono un termometro fondamentale per misurare la risposta del pubblico alle proposte artistiche contemporanee. Alcune cose che per noi adulti sono straordinarie non smuovono affatto i giovani e viceversa altre cose che per noi sono acerbe possono attivare in loro urgenze, istanze. Ecco, il teatro che risulta capace in questo va sostenuto, è una responsabilità anche di noi programmatori. Si tratta di formazione per noi, una formazione contemporanea. 

A proposito del piano formativo, abbiamo scelto di non mettere più al centro soltanto il teatro ma gli strumenti del fare artistico in senso ampio: Francesco Giorda, impronta la conduzione dei suoi percorsi formativi sulla pratica artistica, tu metti in connessione i ragazzi con il mondo della comunicazione culturale e del giornalismo. Quello di usare gli smartphone e i social per coinvolgerli è un trucco, ma è molto efficace perché emancipa i social dalla narrazione di strumenti diabolici e ne fornisce un uso consapevole. Il tema dell’orientamento è emerso in corso d’opera. Ci siamo resi conto che stavamo operando per legittimare le figure professionali del nostro settore. Il progetto Make-A-Fest di Tool – Torino Open Lab vuole di fatto formare i nuovi professionisti. Portiamo la cultura al centro sul territorio nazionale dove non hanno ancora capito che è la nostra salvezza. Quindi è bene cominciare da piccoli.

Oltre a un’offerta formativa diversificata, il progetto prevede la programmazione di spettacoli presso gli istituti e i teatri del territorio, aperti non solo agli studenti ma a tutta la comunità. In questo senso, il progetto ha un’incidenza più ampia che travalica il mondo scuola. Qual è stata la risposta delle comunità in cui avete operato?

Lorena Senestro: C’è parecchia curiosità, le persone si sentono coinvolte, sono contente di parlare con ragazzi giovani, stanno al gioco: si prestano a fare le interviste, li ascoltano durante le visite, si divertono durante gli sketch. Quella degli adolescenti è una fascia generazionale con cui è difficile avere contatti e vedere questi ragazzi che si aprono è attrattivo. Scoprire cosa c’è nella testa dei giovani ha un effetto teatrale, come quando andiamo a teatro e scopriamo tutto quello che l’altro generosamente ci offre. I genitori scoprono delle cose dei figli. Credo che questo sia uno degli impatti più belli e inaspettati del progetto.
Open School ci consente di attraversare le comunità e realizzare un coinvolgimento attivo del pubblico tout-court, dall’infanzia fino alle persone più adulte.

M.B.M: Pur nella sua efficacia è un progetto che ha alcune criticità: la burocrazia non ci consente di realizzare tutte le attività che abbiamo in mente e la scuola non mostra sempre totale apertura e disponibilità. Per i professori è un aggiornamento pazzesco, conoscerebbero molto meglio i loro ragazzi, ne guadagnerebbero nel loro ruolo di docenti. Un lavoro formativo per i docenti ed educativo alla relazione per il territorio. Abbiamo tentato di coinvolgere le istituzioni per un intervento collettivo di sviluppo territoriale, con l’idea di incontrare altri professionisti con cui amplificare l’effetto che produciamo. 

Ci piacerebbe tentare la via di un’esperienza residenziale a scuola in cui invitare artisti e compagnie per dei laboratori permanenti per gli studenti, allo scopo non solo di offrire una formazione teatrale ma anche di alimentare il processo creativo degli artisti stessi.
Volendo dare una prospettiva sul futuro di Open School, stiamo immaginando di modificare il format, aprirci di più alla rigenerazione urbana, a delle azioni che abbiamo notato che servono nelle scuole. Sarebbe interessante dare ai ragazzi la possibilità di essere parte attiva nel ripensamento degli spazi della scuola.

In qualità di artisti e curatori, che valore ha per voi fare da tramite per le nuove generazioni nella scoperta del teatro?

L.S: Nel nostro lavoro, io e Massimo ci siamo sempre occupati di ciò che stavamo vivendo anche nel privato. Forse, dunque, Open School nasce anche dall’esigenza di affrontare nella quotidianità del lavoro il rapporto con i nostri figli. Adesso che sono adolescenti, ci siamo dedicati a questa fascia d’età anche per capire che senso avesse ciò che stavamo facendo per loro. 

M.B.M: Ci siamo discostati dalla fascinazione giovanile dell’arte per l’arte e abbiamo deciso di lavorare su un piano pratico, investendo in qualcosa che potesse riverberare nella vita delle persone. Crediamo nella potenza del teatro non fine a se stessa, riusciamo ancora a percepirne l’effetto che riscuote anche sui giovani che lo incontrano per la prima volta. Sul piano artistico, però, ciò che ci ha guidati è stata la volontà di non restare incastrati nei confini, nei limiti, nelle etichette. Abbiamo sempre tentato di creare dei contesti, delle condizioni favorevoli e anche Open School va in questa direzione. 

Il progetto è realizzato in collaborazione con Theatron 2.0, Cubo teatro e Giobbe Onlus, sostenuto dal Comune di Torino, Fondazione Compagnia di San Paolo, Regione Piemonte, Ministero della Cultura, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Teatro dei Colori, fare cultura nei luoghi

Teatro dei Colori, fare cultura nei luoghi

In occasione della ripresa delle molteplici attività invernali che lo storico Teatro dei Colori, conduce sul territorio della Marsica fin dal 1987, anno della sua fondazione, abbiamo discusso con Valentina Ciaccia, regista in pectore della compagnia, dell’azione di presidio culturale connaturata al Teatro di base, di figura e per i ragazzi.

Abbiamo più volte raccontato la moltitudine di attività che interessano il Teatro dei Colori. Un aspetto sul quale mi piacerebbe che ci concentrassimo è questa doppia natura, affatto scontata, della compagnia che da un lato è impegnata a investire risorse ed energie nella pratica e dunque nella produzione artistica e dall’altro nella promozione e circuitazione dello spettacolo dal vivo. Prima di addentrarci nello specifico delle vostre azioni progettuali, vorrei chiederti cosa significa per una compagnia assumersi la responsabilità di incidere culturalmente sul proprio territorio di riferimento con una proposta così ampia e continuativa?

Tutte le compagnie di teatro di base, nascono a partire dagli anni ‘70 proprio con l’intenzione di attivare i territori e le comunità. Con la passata  riforma del Fondo Unico per lo Spettacolo, l’indicazione di “compagnie di produzione” ha in parte , credo, snaturato il nostro lavoro, dimenticando la grande funzione di servizio culturale nella programmazione territoriale. tutti noi abbiamo coniugato il nostro modo di operare con la necessità dei territori che abitiamo e che ci chiedono di  garantire una molteplicità di linguaggi e di offerta culturale che non si può esaurire solamente con la proposta di spettacoli della nostra compagnia. Il teatro di base, in particolare teatro di figura, per ragazzi e teatro di strada, ha garantito la circuitazione e diffusione di diversi linguaggi in ogni parte d’Italia con l’istituzione di una vera e propria rete informale di compagnie. 

Siamo, inoltre, in fortissima relazione con il mondo della scuola. Quando si hanno relazioni preferenziali con il mondo della scuola, occorre anche rispondere ai desiderata di docenti, ragazzi, presidi. Quindi si crea un circolo virtuoso in cui se uno spettacolo risulta particolarmente interessante a livello didattico, si generano connessioni e possibilità di circuitazione anche per altre realtà non del territorio, con cui siamo in dialogo.

Lavorare sul territorio ha sempre fatto parte del nostro DNA sin dall’inizio, dall’87 quando è stato fondato il Teatro dei Colori. a livello tecnico, il Teatro dei Colori si pone sempre come ente di formazione, per docenti ed operatori, oltre che per i bambini ed i ragazzi e come ente di coprogettazione in relazione con le varie ammministrazioni. Ci facciamo portatori di progettualità costruite a misura sulla necessità del territorio ma anche sulle esigenze specifiche di apprendimento per l’infanzia, senza mai dimenticare l’obiettivo di fondo, garantire un livello culturale ed artistico molto elevato, cercando sempre di alzare l’asticella un  po’ più su.  Avendo una relazione così forte con le scuole, in base alla composizione delle classi, si offrono spettacoli che affrontano le tematiche più urgenti: inclusione sociale, l’accoglienza delle varie diversità e finalmente si comincia a parlare anche dei linguaggi adatti alle neurodivergenze, aspetto sul quale siamo molto sensibili. 

Ancora in merito a meccanismi di sistema, mi piace inoltre sottolineare come nonostante l’iperproduzione imperante, le compagnie di teatro di base, figura e ragazzi  hanno un repertorio che resiste nel tempo. Noi abbiamo spettacoli di repertorio che sforano i 30 anni, perché una volta realizzati si tesaurizzano, massimizzando le poche economie derivanti dai finanziamenti pubblici. Le nostre opere hanno una vita media di minimo cinque anni, garantendo peraltro continuità lavorativa anche agli artisti che vengono coinvolti nelle produzioni. Il pubblico dei bambini e dei ragazzi non è un pubblico clemente, loro sono la vera prova del teatro: solo uno spettacolo che sia arrivato a maturazione grazie anche a un’esperienza di palcoscenico rilevante può dirsi riuscito. 

Io consiglio a tutti gli attori in fase di formazione di fare almeno un anno di teatro per ragazzi per rendersi conto di cosa voglia dire avere a che fare con un pubblico che se non riesci a portare un discorso culturale e artistico elevato, non ti dedica occhi e orecchie. Quando ti ritrovi di fronte a 800 ragazzi, se non riesci a convincerli,  diventano la ola dello stadio. Abbiamo una grande responsabilità culturale, che mette alla prova gli attori ma soprattutto ci fa essere sempre pronti e sempre in grado di leggere come il pubblico si trasforma nel tempo. Negli ultimi anni il pubblico sta cambiando profondamente anche per l’impatto dei nuovi media.

Ancora a proposito del discorso territoriale, sento sempre più spesso parlare di Rigenerazione Urbana, un tema caldo che ci interessa moltissimo. La Rigenerazione Urbana ha molto a che fare con le compagnie che si occupano di teatro di base, di teatro di strada, di teatro di figura, di circo, perché noi rappresentiamo la prima linea, siamo quelli che devono arrivare per primi al pubblico, in modo tale da condurlo anche verso altri tipi di spettacolo.
Quando prende avvio la stagione domenicale nel grande Teatro Dei Marsi, un teatro meraviglioso da 800 posti, la prima cosa che io dico ai bambini è “questa è casa vostra, questo teatro è vostro”. E lo dico perché è la verità, quel teatro è stato costruito anche con le tasse dei loro genitori e alla comunità va restituito.

I bambini devono imparare a stare nei luoghi istituzionali con un altro livello di socialità che non sia solo quello della famiglia, della scuola, in cui fare gruppo, condividere delle esperienze importanti dal punto di vista formativo, emotivo, culturale. Noi facciamo in modo di abitare i luoghi tutti, dal parco con gli alberi, alla strada, alla palestra, fino al grande teatro da 800 posti, trattandoli come dei contenitori che poi vengono caratterizzati con la nostra offerta culturale.

Il discorso degli spazi programmati   dalle compagnie, è un argomento molto sensibile, perché la gestione diretta dei luoghi è qualcosa che ti condiziona e che ti definisce anche per il livello di riconoscimento ministeriale, ma spesso non è legata alla capacità degli operatori, quanto alle caratteristiche intrinseche delle regioni dove si vive, con il rischio che coloro i quali si assumono nella realtà il maggior rischio culturale non si vedano poi mai riconosciuti gli sforzi, e chi invece è più fortunato, ovvero riesca a creare collaborazioni virtuose nella propria regione, venga premiato.   Se volessimo mettere insieme le capienze di tutti quanti i luoghi  in cui il Teatro dei Colori programma in Abruzzo, la cifra sarebbe di gran lunga superiore al numero di posti che vengono richiesti per un grande centro di produzione. 

Occorrerebbe un’attenzione in più, soprattutto per riconoscere lo sforzo delle compagnie che da sole fanno un’attività di rigenerazione del territorio. Investono tempo e denaro su  spazi polifunzionali che per altro, in modo estremamente trasparente, ricoprono una funzione pubblica. Dal PNRR non è uscita neanche una linea di credito che riguardasse gli spazi polivalenti, polifunzionali. Esiste un solo bando del Ministero per la rigenerazione degli spazi urbani, che sta dando dei bellissimi frutti e che speriamo venga ulteriormente potenziato, ma non esiste altro che aiuti una compagnia a riattivare un luogo e metterlo a disposizione della comunità, mentre di anno in anno il numero dei teatri chiusi ed abbandonati cresce in ogni parte d’Italia. 

Tutto è affidato al buon cuore delle amministrazioni locali che devono fare i conti con una grandissima povertà, con problemi sociali. In questo senso, vorrei spezzare una lancia per i colleghi di Instabili Vaganti di Bologna, che hanno gestito uno spazio per 15 anni che gli era stato assegnato e poi gli è stato tolto. In quel luogo avevano costruito una storia. Il lavoro culturale non si può mettere solo a bando, trattandoci come semplici fornitori di beni o servizi, il lavoro culturale va costruito nel tempo, e non ci entra nulla parlare della rotazione dei soggetti per garantire trasparenza. Bisogna finirla di applicare al mondo della cultura le logiche aziendaliste, l’arte è in perdita, fatevene una ragione, per questo l’articolo 9 la tutela, perché la ricchezza che crea è un’altra. Andrebbe fatto un check delle modalità legislative, che eviti lo sradicamento improvviso di tante, valide storie culturali, che peraltro creano posti di lavoro, versano contributi, pagano tasse, etc etc.

In che misura la produzione artistica e il lavoro di organizzazione e programmazione si influenzano nell’intera proposta progettuale del Teatro dei colori? Come si delinea, in questo duplice intervento, la vostra linea artistica?

Una novità del 2025 è che stiamo finendo di preparare  lo spazio museale del Teatro dei Colori. Mettiamo a disposizione del nostro pubblico, ma soprattutto dei bambini e delle scuole, la possibilità di venire a vedere, toccare, giocare con tutto il nostro archivio storico di pupazzeria, di maschere, di costumi, di scenografie e questo è molto importante. Aiuta a far venire fuori una parte sostanziale soprattutto del teatro di figura: una stretta correlazione con le arti visive, in particolare per noi, con le arti visive della modernità, con i nuovi linguaggi, ma in generale con la scultura, con la pittura e tutte le arti applicate. Negli anni, ci tengo a ricordarlo, abbiamo avuto la fortuna immensa di collaborare con il grandissimo Bartolomeo Giusti, costumista e pupazzaro del Teatro dei Colori. Nella formazione delle professionalità di Teatro di Figura, è importante fare in modo che gli allievi imparino oltre alle varie tecniche della manipolazione, anche quelle della realizzazione degli oggetti e dei pupazzi.

È un artigianato artistico di altissimo livello e raccoglierlo in un archivio storico è una grande responsabilità perché ne conserva la memoria e aiuta a tramandarne le tecniche. La dispersione di questo sapere sarebbe un grande danno per tutta la Scena. UNIMA Italia si sta facendo carico di questo aspetto, in un modo molto accurato, e noi da soci siamo impegnati in questo, la tutela dei manufatti, e l’impegno nel garantire la continuità delle tecniche di figura.

Entrando invece nel dettaglio delle vostre attività, quali sono i progetti all’attivo e quali in arrivo nei prossimi mesi?

Le nostre progettualità sul territorio continuano a tendere verso l’attivazione di tutti quanti i nostri luoghi fondamentali. Passi sulla scena e Itinerari dell’arcobaleno, sono le due rassegne storiche che compiono 38 anni di programmazione ininterrotta nei teatri, nei centri polivalenti, nelle biblioteche, nelle scuole di tutti i comuni della Marsica, la parte della zona interna montuosa abruzzese. Continuano poi Le Domeniche da Favola ed il Progetto Scena Aperta, e molte altre piccole rassegne ed appuntamenti speciali. Abbiamo un rapporto molto lungo con l’amministrazione del Comune di Avezzano, dove ha sede il nostro Centro di produzione di ricerca e pedagogia. Altre relazioni importanti sono con il Comune di Tagliacozzo, con il meraviglioso Teatro Talia, e con il Comune di Pescina, dove hanno sede il Teatro San Francesco e il Centro Studi Internazionale Ignazio Silone, con cui collaboriamo da sempre, con il Comune di Celano, dove il cuore batte un po’ di più anche per motivi familiari, negli spazi dell’Auditorium  e del bellissimo Teatrio, un teatro integrato nella scuola, un vero modello di architettura innovativa. 

A Pescina poi abbiamo dedicato tanto impegno per la candidatura a Capitale della cultura che ci ha visto nella rosa delle dieci città finaliste. Pur non avendo vinto, partiranno numerose attività anche di ricerca, che ci vedranno coinvolti e che integrano dalla programmazione abituale In tutti questi luoghi, attiviamo anche i nostri percorsi di laboratorio teatrale. Questa estate poi, a conclusione di una edizione trionfale di Fiabe al Parco a Pineto  festival giunto al ventesimo anno di programmazione, abbiamo deciso di potenziare la nostra attività anche nel tempo invernale anche nei territori della costa.

 A livello progettuale, il Teatro dei Colori si  configura sempre di più come un teatro di figura di ricerca, che si dedica ai bimbi ma anche agli adulti, è sempre strano per noi specificare questo, dato che i nostri spettacoli sono da sempre pensati tout public.  Ovviamente andando nella direzione dell’arte visiva , la nostra caratteristica distintiva che quindi ci permette di giocare con linguaggi molteplici, fino alle nuove tecnologie.

Quali delle vostre produzioni sono in fase di circuitazione e quali gli appuntamenti della tournèe di Teatro dei Colori che intendete segnalare?

In questo momento sta circuitando lo spettacolo La Sinfonia dei Giocattoli,che ha debuttato lo scorso anno con un grandissimo successo, che è stato ospite del festival Arrivano dal Mare,e ha chiuso i lavori per la Giornata internazionale della marionetta a Lecce. Viene molto richiesto proprio per la capacità di ingaggiare un pubblico da 0 a 99 anni, ed è caratterizzato dalla nostra tecnica principale il teatro nero, ed è dedicato alla grande artista Sonia Terk Delaunay Siamo in fase di preparazione del nuovo capitolo   che celebrerà i vent’anni di vita del nostro Storie di Kirikù, premiato quest’estate all’ EuroPuppetFest Valsesia   Ci stiamo dedicando anche ad un grande progetto Escher. Escher è stato un grande affezionato dell’Abruzzo, anche per questo sentiamo un legame fortissimo, e sta avviandosi a diventare una vera e propria linea di ricerca a sé stante  della compagnia, caratterizzata da più produzioni teatrali. 

Prosegue chiaramente il lavoro sulla multimedialità e vanno avanti solidamente tutti i nostri spettacoli di tenitura, tra cui ci tengo  moltissimo a ricordarlo La Cerva Fatata tratta da Il Cunto de li Cunti di Basile, un lavoro di scrittura drammaturgica che va in direzione di una valorizzazione del patrimonio favolistico e letterario del Sud Italia. Ovviamente non possono poi mancare i grandi monologhi del nostro Direttore Artistico, che porta in scena Il Segreto di Luca ed Uscita di Sicurezza dal grande Ignazio Silone, nostro vero nume tutelare. 

Principali date della prima parte della tourneè 24-25 TEATRO DEI COLORI 

OTTOBRE – DICEMBRE   2024

28 – 29 ottobre Teatro Grandinetti-  Lamezia Terme

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

9 novembre CRC Antella – Bagno a Ripoli 

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

10 novembre  Teatro Corsini   – Barberino Di Mugello 

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI

17 – 18  novembre Nuovo Teatro delle  Commedie – Livorno

STORIE DI KIRIKU’     

23 novembre  Teatro Francesco Stabile  – Potenza 

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI

8 – 9  Dicembre – Teatro delle spiagge – Firenze

CARNAVAL  

GENNAIO 2025

11 – 12 gennaio Teatro Casa di Pulcinella –  Bari

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

19 – 20 gennaio Centrale Preneste – Roma

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

26   gennaio  Teatro Arcobaleno – Fiumicello

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

31  gennaio Teatro Comunale – Nardò 

IL SEGRETO 

1  febbraio Teatro Comunale – Nardò 

IL SEGRETO 

FEBBRAIO 2025

4 – 5 febbraio Teatro dei Fabbri –  Trieste

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

6 – 7 febbraio Teatro Cinema Esperia –  Padova

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

14 – 15 febbraio  Teatro dei Piccoli Napoli

STORIE DI KIRIKU’     

16 – 17 febbraio  Teatro dei Piccoli Napoli

STORIE DI KIRIKU’     

21 – 22 febbraio Teatro del Cerchio  – Parma

STORIE DI KIRIKU’     

21 – 22 febbraio Teatro Comunale – Gambettola

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI

23 gennaio Teatro degli Astrusi  – Montalcino

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI

MARZO 2025 

2   marzo    Teatro Vittoria-  Frosinone

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

8   marzo     Teatro Studio  – Lanciano

USCITA DISICUREZZA 

16  marzo   Teatro Comunale Verdi – Pollenza

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI 

18  marzo   Teatro Comunale Pedrazzoli – Fabbrico

LA SINFONIA DEI GIOCATTOLI

21- 22 marzo Teatro Roots – Catania  

IL SEGRETO

25   marzo Spazio Teatro Invito – Lecco  

LA CERVA FATATA 

26   marzo Teatro Società Operaia – Chiavenna  

LA CERVA FATATA 

30 – 31   marzo Teatro dei Monelli – Cagliari   

LA CERVA FATATA 

APRILE 2025

1   aprile  Teatro dei Monelli – Cagliari   

LA CERVA FATATA 

6  aprile Teatro Tieffeu – Perugia

STORIE DI KIRIKU’     

12  aprile Teatro Don Bosco  – Molfetta

USCITA DI SICUREZZA 

13  aprile Teatro Don Bosco    – Molfetta

STORIE DI KIRIKU’     

15  aprile Teatro dei Marsi   – Avezzano

IL PICCHIO ROSSO 

30  aprile Auditorium E. Fermi   – Celano

IL PICCHIO ROSSO 

Programmazione del Teatro dei Colori, STAGIONE 2024 – 2025, TEATRO COMUNALE DEI MARSI – AVEZZANO “LE DOMENICHE DA FAVOLA” TEATRO PER RAGAZZI E FAMIGLIE 12a edizione

24 novembre 2024 ore 17,00

LA FONTEMAGGIORE – LA BELLA E LA BESTIA

Regia di Massimiliano Burini

22 dicembre 2024 ore 17,00

TEATRO DEI COLORI -LA CERVA FATATA

da “Lo cunto de li cunti” di G. Battista Basile

Spettacolo vincitore Euro Puppet 2023

Regia di Valentina Ciaccia

19 gennaio 2025 ore 17,00 –

TEATRO DEL DRAGO-ATTICREP (TEXAS) – IL MAGICO CERCHIO DI PROSPERO

da “La tempesta” di William Shakespeare

Regia: Roberto Prestigiacomo, Mauro Monticelli

9 febbraio 2025 ore 17,00 – TEATRO DEL CERCHIO

IL LUPO E LA CAPRA (storia di un’amicizia in una notte di temporale)

Tratto dal racconto di Yuiki Kimura

Progetto e regia di Mario Mascitelli

23 febbraio 2025 ore 17,00 – MARIONETTE CARLO COLLA E FIGLI

TESTE DI LEGNO MARIONETTE MUSICAL

Regia di Franco Citterio e Giovanni Schiavolin

15 marzo 2025 ore 17,00 –TEATRO DEI COLORI E FALAUT FLUTE ORCHESTRA

LUPI, GNOMI E BABA JAGHE

dai “Quadri di una esposizione di Modest Musorgskij”

Regia di Gabriele Ciaccia – Direzione orchestra Paolo Totti.

“PASSI SULLA SCENA” 31° edizione

LETTERATURA, STORIA, TEATRO PER I GIOVANI

11 dicembre 2025 ore 11,00 Sport e civiltà

TEATRI D’IMBARCO – LA LEGGENDA DEL PALLAVOLISTA VOLANTE

con il Campione Andrea Zorzi , regia Nicola Zavagli

27 gennaio 2025 ore 11,00 Giornata della memoria

ERRARE PERSONA – LE CARLOTTINE dal libro di Elsa Morante

Scrittura e ricerca sul Lager di Terenzin, regia di

Progetto NOSTOS-RITORNO.

Regia Damiana Leone, Olimpia Ferrara

15 aprile 2025 ore 11,00

Giornata della Storia, della Legalità e della Giustizia

TEATRO DEI COLORI – IL PICCHIO ROSSO dal libro di Renzo Paris

La storia delle lotte per la terra nel Fucino e l’eccidio di Celano.

Regia di Gabriele Ciaccia

Programmazione del Teatro dei Colori, STAGIONE 2024 – 2025, ITINERARI DELL’ARCOBALENO -PROGETTO SCENA APERTA CELANO
19 -20 novembre 2024 ore 10 ,30 – Scuole dell’infanzia – TEATRO DEI FONDI

I COLORI DELL’ARCOBALENO

28 novembre 2024 ore 10 ,30 Auditorium E. Fermi – TEATRO INVITO

LEAR E IL SUO MATTO

19 dicembre 2024 ore 14,3020 dicembre ore 10,30 TeAtrio Scuola D’Annunzio – LA BOTTEGA TEATRALE

LA NOSTRA VERA STORIA DI NATALE
15 gennaio 2025 ore 10 ,30 – TeAtrio Scuola D’Annunzio – GLI ALCUNI

Il GATTO SENZA STIVALI
19 febbraio 2025 ore 10 ,45 – Auditorium E. Fermi – PILAR TERNERA

ARTEMISIA GENTILESCHI, PITTRICE. CRONACA DI UN PROCESSO PER STUPRO

25 febbraio 2025 ore 14,30-26 febbraio ore 10 ,30 – TeAtrio D’Annunzio – CENTOPERCENTO TEATRO

UN DUE TRE
10 marzo 2025 ore 14,30-11 marzo ore 10 ,30 – TeAtrio D’Annunzio – LA CONTRADA

I MUSICANTI DI BREMA

18 marzo 2025 ore 14 ,30-19 marzo ore 10 ,30 – TeAtrio D’Annunzio – TEATRO ACTORES ALIDOS, PAURA FATTI SOTTO! – dal libro “Il mostro peloso” di Henriette Bichonnier
9 APRILE 2025 ore 10 ,30 – Auditorium E. Fermi – LA CASA DI CRETA

SEMPRE TUA spettacolo e riflessione sul femminicidio Teatro d’attore –
30 APRILE 2025 ore 10 ,30 – Auditorium E. Fermi –TEATRO DEI COLORI

IL PICCHIO ROSSO

dal libro di Renzo Paris, sulla storia delle lotte per la terra del Fucino e l’eccidio di Celano.

Programmazione del Teatro dei Colori, STAGIONE 2024 – 2025, ITINERARI DELL’ARCOBALENO al Teatro San Francesco di Pescina 

10 novembre 2024 ore 17,30 – Teatro con le famiglie – RUOTALIBERA
11 novembre ore 17,30 Teatro Scuola

LE STELLE DI SOTTO, UNO GNOMO CHIAMATO CUCUZZOLO
7 dicembre 2024 ore 18,00 – Teatro con le famiglie – GOMMALACCA TEATRI

IL DIARIO DI SOFIA
16 dicembre 2024 ore 10 ,45 – Teatro Scuola – TEATRO DEL LAVORO

MARIONETTE IN CERCA DI MANIPOLAZIONE
18 gennaio 2025 ore 17 ,30 – Teatro con le famiglie – TEATRO DEL DRAGO

Il MAGICO CERCHIO DI PROSPERO da W.Shakespeare
2 aprile 2025 ore 10,45 – Teatro Scuola – GRANTEATRINO

BUON COMPLEANNO GIULIO CONIGLIO

Programmazione del Teatro dei Colori, STAGIONE 2024 – 2025, ITINERARI DELL’ARCOBALENO al Teatro Talia di Tagliacozzo

23 novembre 2024 ore 17,30 Teatro con le famiglie – LA FONTEMAGGIORE

LA BELLA E LA BESTIA

29 novembre 2024 ore 10 ,45 Teatro Scuola – TEATRO INVITO

LEAR E IL SUO MATTO 2024 da W. Shakespeare

12 dicembre ore 10 ,45 Teatro Scuola – TEATRI D’IMBARCO

LA LEGGENDA DEL PALLAVOLISTA VOLANTE con il Campione Andrea Zorzi

28 gennaio 2025 ore 10 ,45 – Teatro Scuola – ERRARE TEATRO

Giornata della memoria – LE CARLOTTINE dal libro di Elsa Morante

Scrittura e ricerca sul Lager di Terenzin, Progetto NOSTOS-RITORNO.

13 febbraio 2025 ore 10 ,45 – Teatro Scuola – RUOTALIBERA

PINOLO

18 febbraio 2025 ORE 10 ,45 – Teatro Scuola PILAR TERNERA

ARTEMISIA GENTILESCHI, PITTRICE. CRONACA DI UN PROCESSO PER STUPRO

28 febbraio 2025 ORE 10 ,45, Teatro Scuola NOVE TEATRO

UN CURIOSO ACCIDENTE di Carlo Goldoni – Teatro d’attore

8 aprile 2025 ore 10,45 Teatro Scuola – CASA DI CRETA di Catania

SEMPRE TUA spettacolo e riflessione sul femminicidio – Teatro d’attore

Secondaria di 1 e 2 grado