Visto che i miei genitali sono di dominio pubblico ho reso private altre parti di me. Nel mio silenzio io possiedo bocca, laringe, cervello, in un solo gesto. (The Venus Hottentot – Elizabeth Alexander)
Elizabeth Alexander nel 1990 scrive The Venus Hottentot, in cui dà voce in forma poetica a Saraah Bartman, la Venere Ottentotta esposta e studiata dai naturalisti nel 1800. Dissezionato e conservato ogni parte del corpo di Baartman, diventa il punto di partenza per corroborare la tesi dell’alterità del corpo nero, costruendo quello che Edward Said, definisce una famiglia di idee, in modo da rendere un fenomeno estraneo prevedibile e controllabile, creando un archivio istituzionale di idee. Quale storia opporre a queste narrazioni precostituite?
Ne hanno parlato Annalisa Sacchi, Adil Mauro e Bridget Ohabuche in un incontro dal titolo Saidiya Hartman: Parentele oceaniche e fabulazione critica. Al centro del discorso i passaggi salienti di Perdi tua madre di Saidya Hartman (trad. it. di V. Gennari, Tamu 2021), in cui l’autrice ricostruisce quelle che Annalisa Sacchi definisce, citando Carlo Levi, microstorie.
Hartman ricompone vicende dimenticate attraverso l’utilizzo della fiction, che si sostituisce ad uno studio archivistico istituzionale e violento, in cui le vicende del middle passage hanno uno spazio parziale e lacunoso e l’assenza di notizie diventa filologica, rendendo la ricostruzione fittizia necessaria. «Ognuno mi raccontava una storia diversa su come gli schiavi avevano iniziato a dimenticare il loro passato, per spiegarlo si sussurravano parole come zombie, stregone, succubo e vampiro» racconta Saidyia Hartman. La narrazione diasporica si nutre così delle intercapedini, ricostruisce le giunture e gli spazi morti di una storia cancellata.
Eli Mathieu Bustos con Have a safe travel, scrive il suo capitolo di questa storia attraverso la sua versione espressionista di teatro documentario. Al centro dello spettacolo il racconto di un viaggio in treno in cui il performer viene fermato e perquisito dalla polizia. L’intreccio si dipana con la precisione della testimonianza e la convulsione della vittima, un discorso indiretto libero che espone in ordine e senza sconti ogni frammento di questa storia. Come il contenuto della borsa di Eli, l’accaduto è esposto su un tavolino del treno: le mutande, i documenti, un libro: una scomposizione forzata che porta a una nuova forma violata e traumatica. «Non vorrei che tu capissi, vorrei che tu sentissi» dice l’interprete nelle note di intenzione a questo lavoro, utilizzando la formula j’envie de, che ha in sé il campo semantico dell’invidia, della volontà, che in questo caso diventano incontrollabili, impulsive e centrifughe.
Ph Victoriano Moreno
I movimenti in scena sono convulsi, illuminati e nascosti da un disegno luci cadenzato, attraverso cui ogni azione restituisce gesti evanescenti, talmente veloci da diventare sfumature di colore. Il racconto semplice e lineare, presenta una situazione ormai archetipica, un canovaccio di improvvisazione che esplode nelle mani del protagonista: la persona non bianca fermata e inquisita con violenza da un gruppo di poliziotti, senza un motivo apparente. Questa ispezione casuale si chiude con l’epigramma che dà il titolo allo spettacolo: have a safe travel, pronunciato in un’inglese approssimativo e sgrammaticato.
A veicolare la storia è il corpo di chi racconta. Un corpo nero, coperto solo da un pantaloncino sportivo che si scuote su un palco spoglio, ricostruendo il ritmo della storia con un andamento sinusoidale: l’eccitazione del viaggio, la presa di coscienza della perquisizione coatta, il terrore post traumatico dell’esperienza. Tutto procede con l’andamento delle rotaie del treno, lento e poi più veloce, di nuovo lento ancora, fino all’arresto totale. In questa performance di Eli Mathieu Bustos nulla è fisso o carpibile, se non le quattro parole che campeggiano sui sovratitoli sopra la sua testa. come un epitaffio su una lapide.
Nata a Pescara nel 1995, diplomata al Liceo Classico G.D’Annunzio di Pescara nel 2014, consegue la doppia laurea in Filologia Moderna e Études Italiennes all’interno del progetto di codiploma fra l’Università la Sapienza di Roma e La Sorbonne Université di Parigi con una tesi dal titolo La Nuit des Rois di Thomas Ostermeier alla Comédie-Française: per una definizione di transnazionalità a teatro. , svolgendo inoltre ricerca archivistica presso la biblioteca della Comédie-Française. Scrive per diverse testate online di critica e approfondimento teatrale, occupandosi soprattutto di studiare gli intrecci fra i linguaggi e le estetiche dei vari teatri nazionali europei.
“Il fatto teatrale è un insieme di rapporti interagenti”, Richard Schechner nel 1973 inizia così i suoi Sei assiomi per l’Enviromental Theatre. Abbiamo avuto l’occasione di discutere con Alessandra Ferraro, direttrice artistica insieme a Pako Graziani di Attraversamenti Multipli, della prossima edizione del Festival – che si svolge dal 29 giugno al 8 luglio a Roma al Parco di Torre del Fiscale – e di come l’interazione fra i linguaggi e la propensione all’ascolto dei nuovi formati sia una postura necessaria per un festival contemporaneo..
Partendo dal dibattito sulle arti performative, centrale a Roma negli ultimi mesi, è fra gli ideali di Attraversamenti Multipli un ragionamento intorno allo spazio e al dialogo fra gli artisti e i luoghi. Come si è evoluto nell’ultimo anno questo ragionamento e quali equilibri sono cambiati?
Per Attraversamenti Multipli la relazione con lo spazio pubblico rappresenta uno dei pilastri attorno a cui ruota il festival. Il rapporto con i luoghi, è stato centrale fin dall’inizio del nostro percorso, abbiamo sempre lavorato nel e con il paesaggio urbano, confrontandoci con luoghi anche molto diversi tra loro. Dal 2001 al 2017 il festival è stato nomade e ha attraversato punti diversi della metropoli di Roma. Poi dal 2017 abbiamo scelto di aprire una nuova fase e di abitare per sei edizioni con il festival una zona di Roma: il quartiere del Quadraro e il suo “fulcro” Largo Spartaco, sia per depositare il rapporto che si era creato con questa parte della città e le sue comunità e sia per sperimentare una continuità, mantenendo sempre centrale la relazione con il tessuto urbano, e continuando a produrre performance site specific in dialogo con i paesaggi.
Nella edizione dell’altro anno abbiamo proposto all’interno del programma del festival due giorni di performance al Parco di Torre del Fiscale, che fa parte del Parco Archeologico dell’Appia Antica, ed è un parco pubblico portatore di un sincretismo fra uno spazio rurale, un sito archeologico e una zona urbana con un’altissima densità abitativa: il Quadraro e il Tuscolano. Un polmone verde, incastonato nel tessuto della città, che ha una dimensione poetica. Un parco pubblico nato grazie a un percorso di rigenerazione “dal basso”. Per la compresenza di tutti questi elementi è uno spazio che troviamo estremamente interessante e ci sembra il luogo giusto da dove iniziare, in questa ventitreesima edizione, una nuova fase di sperimentazione per il festival: il rapporto fra le arti performative del contemporaneo e gli spazi verdi metropolitani/la natura urbana all’interno di un percorso artistico che mantiene le sue radici ma che è continuamente in evoluzione.
Un altro aspetto che sembra essere protagonista di questa stagione è la ricerca di nuove forme di interazioni tra il performer e il pubblico, che non si limitano a esperimenti di teatro partecipato, ma interrogano attivamente lo spettatore, penso ad esempio al lavoro della Compagnia lacasadargilla che ha nelle sue intenzioni quella di creare un dibattito critico. È qualcosa che avete ricercato? Che tipo di reazioni vi aspettate?
Attraversamenti Multipli ha sempre posto attenzione ai formati performativi multiformi in bilico tra diversi linguaggi artistici e alla costruzione di dinamiche partecipative. Anche in questa edizione ci interroghiamo insieme agli artisti su “come” creare, un dialogo e una relazione diversificata con il pubblico, proponendo spettacoli e progetti artistici ibridi che espandono i territori delle performing arts. L’idea di un formato multiforme, permea anche il lavoro della compagnia lacasadargilla intorno al libro Città sola di Olivia Laing, che per Attraversamenti Multipli viene declinato in due creazione originali: un talk performativo Corpi soli e città, che apre il 29 giugno il festival a Roma e nel percorso sonoro site specific /audio paesaggio Città sola. Tonnellate di fiori nel mio giardino disseminato in vari punti del Parco di Torre del Fiscale.
Anche il focus sull’opera di Franco Scaldati, Notturno Scaldati in programma il 30 giugno, co-realizzato con il Teatro Quarticciolo e Cranpi, contiene la presentazione del progetto editoriale dedicato alla sua opera teatrale e un reading che vede coinvolti cinque tra attrici e attori. Anche questa operazione artistica, come quella con lacasadargilla, è frutto di un confronto di mesi e di una modalità collaborativa, che ha sempre caratterizzato il festival, di dialogo con gli artisti e con i progetti coinvolti e di attenzione alla processualità artistica.
Un’altra traiettoria del festival anche quest’anno è dedicata ai site specific in interazione con la natura urbana e agli spettacoli con formati particolari sia temporali che spaziali, e presentiamo diverse creazioni originali tra cui: Carlo Massari propone Bastardo una performance che viene costruita attraverso una residenza artistica al parco di Torre Fiscale, il collettivo artistico DOM- crea i per il festival Non è la fine una esplorazione performativa che si snoda in una camminata pubblica, Spellbound Contemporary Ballet crea in esclusiva Car Practice.
Per scelta poetica ed estetica, all’interno di una dinamica volta alla sostenibilità, molte performance si svolgono al tramonto utilizzando la luce del crepuscolo come ad esempio le performance di tre ospiti internazionali: il 29 giugno la prima nazionale del danzatore e coreografo spagnolo Arnau Perez, la compagnia francese Little Garden che intreccia il circo contemporaneo con al danza e la creazione della compagnia spagnola Iron Skulls il 7 luglio. La sostenibilità la decliniamo come una scelta estetica del festival anche nelle tecnologie che utilizziamo, gli spettacoli notturni, i live set musicali e video sono supportati da tecnologie a basso impatto. Sempre all’interno di questa dinamica non montiamo né palchi né pedane, non utilizziamo linoleum, ma le performance avvengono sull’erba e immerse nella natura.
La tematica attorno a cui ruota il Festival di quest’anno sembra intendere la fragilità come una proprietà attiva a cui fare ricorso, piuttosto che un ostacolo all’espressione. Puoi spiegarci meglio in che modo la fragilità come sintomo vitale, si snoda nel festival?
Ogni anno proponiamo un claim, una parola che accompagna il festival, quest’anno abbiamo scelto Fragile riferito al pianeta terra – sempre più colpito da emergenze climatiche e umanitarie – all’ universo delle arti performative esposto a una precarietà senza fine e alla nostra fragilità. Una fragilità che è stata ancora più evidenziata dalla pandemia appena trascorsa, e che ha sottolineato come siamo tutti interconnessi a livello globale. La fragilità la decliniamo come un sintomo vitale, una chiave di lettura del reale, una postura decentrata da cui partire per costruire traiettorie resilienti e inaspettate capaci di includer e accogliere le pluralità, capaci di delineare un pianeta sostenibile e vivibile per tutt*: animali, piante, esseri umani, culture, arti. Fragile è il concetto / lo slogan che accompagna il percorso di Attraversamenti Multipli 2023 nel confronto con la natura urbana e nella proposta di spettacoli e di azioni artistiche che declinano il concetto di fragilità, soprattutto nella forma e nei formati con cui si propongono al pubblico.
Foto di Arnau Perez della performance “Single“ in programma il 29 luglio ad Attraversamenti Multipli
Nata a Pescara nel 1995, diplomata al Liceo Classico G.D’Annunzio di Pescara nel 2014, consegue la doppia laurea in Filologia Moderna e Études Italiennes all’interno del progetto di codiploma fra l’Università la Sapienza di Roma e La Sorbonne Université di Parigi con una tesi dal titolo La Nuit des Rois di Thomas Ostermeier alla Comédie-Française: per una definizione di transnazionalità a teatro. , svolgendo inoltre ricerca archivistica presso la biblioteca della Comédie-Française. Scrive per diverse testate online di critica e approfondimento teatrale, occupandosi soprattutto di studiare gli intrecci fra i linguaggi e le estetiche dei vari teatri nazionali europei.
“Quando niente arresta il nostro sguardo, il nostro sguardo va molto lontano. Ma, se non incontra niente, non vede niente; non vede quel che in quel che incontra: lo spazio ciò che resta lo sguardo, ciò su cui inciampa la vista”(Georges Perec – Specie di spazi)
Quando Paul Virilio commissiona a Georges Perec “Specie di spazi” per la rivista Cause Commune, Perec risponde che avrebbe realizzato “Un bestiario di spazi”, di fronte a quanto accaduto negli spazi culturali romani, la definizione di Perec ci sembra quanto mai calzante per descrivere una fenomenologia dei cambiamenti che sfugge a qualsiasi spiegazione razionale, catalogabile ma che mantiene, in maniera congenita, una componente di imprevedibilità.
Il 27 febbraio 2023, il presidente di Azienda Speciale Palaexpo, con una dichiarazione su un articolo su Repubblica Roma conferma la fine dell’esperienza costruita negli spazi dell’ex Mattatoio, del Master in Arti performative, della programmazione pubblica e di Prender-si cura, programma di residenze di ricerca e produzione artistica, parti del Centro sulle arti performative, ideato e curato da Ilaria Mancia, che ha acceso e abitato gli spazi de La Pelanda da marzo 2019 e ottobre 2022 in cui artiste e artisti hanno avuto la possibilità di sviluppare la propria ricerca artistica spaziando con libertà e tempo nei diversi linguaggi delle arti.
Abbiamo avuto la possibilità di parlare con Ilaria Mancia – curatrice e docente, dal 2019 a settembre 2022 curatrice e ideatrice, responsabile dei progetti formativi, delle residenze produttive e delle presentazioni al pubblico, presso Pelanda/Mattatoio di Roma – e di ascoltare la sua versione della storia, discutendo sulle possibilità e le potenzialità della la città di Roma che lei definisce, attraversabile e multiculturale, da capitale europea, nonostante a volte sembri non volersi riconoscere come tale.
Ci può raccontare il suo percorso all’interno degli spazi culturali romani? Cosa ha significato inserirsi in un ambiente come quello di Roma profondamente, influenzato dal pregiudizio sul mondo degli eventi pubblici?
Per me è stata un’esperienza stimolante e faticosa, sicuramente un’occasione preziosa per tentare di superare pregiudizi, venendo a contatto e poi contribuendo, spero, a creare un ambiente di scambio, ricerca e sperimentazione poroso e attraversabile da diverse persone, professionalità e generazioni. La vitalità di Roma è data dalle persone che la abitano e la attraversano; è eterna e allo stesso tempo infinitamente fluida e mobile nelle dinamiche che la caratterizzano; è una città ricca di energie nascoste, artist*, ricercator* attivist*, con molti dei quali ho potuto anche attivare collaborazioni; ha una cittadinanza multiculturale, da capitale europea, nonostante a volte sembri non volersi riconoscere come tale.
Abito a Roma da molti anni e mi ha sempre affascinato la capacità che la città ha di rigenerarsi e riattivare energie e luoghi di scambio (spesso indipendenti) che si scontrano con una mancanza di “sistema”, soprattutto rispetto alle arti contemporanee, e che rischiano di stare in una perenne altalena di apparizioni e sparizioni, arabe fenici che non si sa per quale “magia” riaffiorano ogni volta.
Questa dinamica però ha un forte limite perché non permette la sedimentazione di progettualità e realtà sul territorio, né il consolidamento di energie propulsive che soccombono poco tempo dopo essere apparse, per la mancanza di sostegno istituzionale e politico. Questo determina una fragilità del sistema che, fra l’altro, non permette di avvicinare e convogliare risorse private. In questi giorni molt* hanno sottolineato che, da fuori, negli ultimi anni, questo fermento di Roma si è percepito ma poch* sono consapevoli del dispendio di energie e dello stremo a cui la comunità artistica romana, ciclicamente, arriva.
Non credo si debba parlare di pregiudizio ma di una situazione pregiudiziale rispetto al fatto che certi luoghi, che grazie a delle visioni progettuali diventano riconoscibili come punti di riferimento, scompaiono in tempi troppo brevi: questo non permette la creazione di una comunità e di un pubblico, né la sedimentazione di energie e possibilità e la loro trasformazione in attività stabili, riconoscibili e attraversabili. C’è bisogno di luoghi di relazione e di scambio aperti ma coerenti, attraversabili, e non di location per eventi sporadici.
Credo sia necessario prima di tutto sentire la sua versione di ciò che è accaduto alla Pelanda, cercare di tracciare una sua parabola per capire esattamente cosa sia successo.
Posso dire innanzitutto che la mia è solo una delle versioni di ciò che è accaduto negli spazi che citi, visto che, nel portare avanti i progetti e la visione complessiva per quel luogo hanno collaborato molte persone, e in primo luogo gli e le artist* che li hanno attraversati e hanno contribuito ad allargarne la prospettiva.
Negli ultimi quattro anni l’esperienza di ideare e curare, come responsabile, una serie di progetti di formazione, produzione e presentazione al pubblico negli spazi del Mattatoio e di Pelanda per un’istituzione come Azienda Speciale Palaexpo, ha rappresentato una preziosa possibilità e una sfida che considero in gran parte riuscita, nonostante il periodo pandemico. In quello spazio-tempo è stato possibile convogliare relazioni con artist* e operator* della città, e non solo, che hanno trovato un luogo di sviluppo e crescita in rapporto con altre realtà cittadine, come il Teatro India, la Quadriennale, varie Accademie straniere e istituti di cultura, nonché spazi indipendenti, che negli scorsi anni hanno determinato una vivacità della scena contemporanea, anche a livello istituzionale, inaspettata e insperata per Roma.
Allo scadere di alcuni contratti, fra cui il mio (a fine settembre 2022) e con il cambio di governance dell’Azienda Palaexpo, si è determinata una mancanza di continuità, una cesura.
Molt* artist*, in tutta Italia e all’estero, riconoscevano, già dopo pochi anni, il Mattatoio come luogo di riferimento per il contemporaneo; molt*, ad esempio, aspettavano la terza edizione del Master in Arti Performative (organizzato nella sua prima edizione con L’Università Roma Tre e nella seconda con l’Accademia di Belle Arti di Roma) o i laboratori gratuiti e l’attivazione della nuova edizione delle residenze, esperienze parallele che, insieme alla programmazione pubblica, hanno rappresentato, nella loro integrazione, una novità rispetto all’idea convenzionale di istituzione museale.
L’idea alla base del modello che abbiamo sviluppato era quella di creare una continuità di rapporti con artist* e pubblico, e uno sviluppo di relazioni che andassero a svelare possibilità di collaborazioni inter-istituzionali e continuative forme di attraversamento e uso degli spazi. Non c’è stata da parte di Palaexpo una spiegazione per la cancellazione del progetto, non c’è stato un confronto, né proposte per salvarne qualche aspetto. Sarebbe stato auspicabile il contrario o, quanto meno, la valutazione degli aspetti positivi che potessero svilupparsi nel tempo, anche con nuove forme, piuttosto che una chiusura netta che disperde energie, risorse, rapporti, e non mette a sistema i percorsi fatti. Percorsi di formazione e produzione che rappresentano investimenti che rivelano i loro risultati secondo logiche diverse dal profitto immediato.
La parcellizzazione delle iniziative e l’ospitalità di attività esterne ed episodiche, rispetto allo sviluppo di una visione progettuale e curatoriale, ricalca un modello del passato, senza coerenza e organicità, che ha già rivelato i suoi limiti pregiudicando la possibilità che il Mattatoio fosse riconosciuto come un centro di produzione di cultura.
La mancata conferma di queste progettualità è apparsa a molt* inspiegabile e ha fatto si che molte voci abbiano deciso di porre pubblicamente delle domande attraverso una lettera aperta alle istituzioni.
Di fronte alla chiusura di uno dei poli di maggiore contatto con le realtà internazionali Roma ha bisogno nuovamente di reinventarsi, trovare una nuova identità attraverso cui relazionarsi con le avanguardie o resistere nella possibilità di trovare soluzioni nuove per veicolare una ricerca internazionale.
Innanzitutto c’è la speranza che un confronto si possa comunque attuare e uno scambio, anche a livello istituzionale, rimanga attivo. Questo confronto è una necessità per una comunità vasta di artist*, cittandin*, operator* culturali e se ne sente la necessità anche a livello nazionale. La ricerca e la sperimentazione artistica, devono e possono diventare un patrimonio comune, non una cosa “di nicchia”, riservata a pochi privilegiati. Basta pensare a ciò che succede in spazi e festival negli altri paesi europei, come il Matadero, il Festival d’Automne di Parigi, il Kunstenfestivaldesarts etc. Le relazioni, l’alta qualità delle creazioni e delle progettualità contemporanee, se messa a sistema ha una capacità trasformativa, crea curiosità e partecipazione di pubblici vasti e variegati.
La ricerca artistica è un fondamentale luogo di dibattito e approfondimento di tematiche cruciali del nostro presente e i ragionamenti innescati dalla comunità artistica sono imprescindibili: la centralità dei corpi, le relazioni comunitarie, i temi ecologici e ambientali, la multiculturalità, le questioni di genere e di inclusività, dal transfemminismo al decolonialismo, i rischi e le potenzialità delle tecnologie e dei linguaggi in continua evoluzione, tutti questi sono argomenti della contemporaneità e su di essi gli artisti ci chiamano a confrontarci, a prendere coscienza e parola, a non nasconderci nell’indifferenza.
A Roma i siti pubblici dismessi e abbandonati sono oltre 190, è possibile ragionare pensando di recuperare spazi altri? Rendendoli agibili per le residenze artistiche?
Sicuramente il recupero degli spazi è un tema importante, ma vanno considerate tutte le implicazioni e le conseguenze. Uno spazio senza risorse e investimenti diventa molto difficile da gestire. Penso, soprattutto, che le ristrutturazioni debbano tenere presente le funzioni per cui certi luoghi vengono ripristinati e le attività per cui verranno utilizzati, cercando di evitare sprechi, ragionando sempre in un’ottica di ecologia produttiva. Come dicevo prima, luoghi e risorse vanno messe a sistema, senza creare doppioni inutili o identità precarie e quindi irriconoscibili.
Non dimentichiamo poi che, oltre agli spazi fisici, ci saranno le persone che cercheranno di tenerli attivi e vitali, e questo apre al tema del lavoro, delle retribuzioni e del sostegno – in termini di tempo, cura, risorse – di cui la ricerca artistica e la comunità tutta hanno bisogno.
Nata a Pescara nel 1995, diplomata al Liceo Classico G.D’Annunzio di Pescara nel 2014, consegue la doppia laurea in Filologia Moderna e Études Italiennes all’interno del progetto di codiploma fra l’Università la Sapienza di Roma e La Sorbonne Université di Parigi con una tesi dal titolo La Nuit des Rois di Thomas Ostermeier alla Comédie-Française: per una definizione di transnazionalità a teatro. , svolgendo inoltre ricerca archivistica presso la biblioteca della Comédie-Française. Scrive per diverse testate online di critica e approfondimento teatrale, occupandosi soprattutto di studiare gli intrecci fra i linguaggi e le estetiche dei vari teatri nazionali europei.
C’erano tre uomini che volevano installare i pali dell’alta tensione, si tratta di una linea elettrica che collega due localitàdella zona, e circa 150 persone dovevano firmare il loro consenso perché passa sul loro terreno. Io mi sono rifiutato di mettere la firma, ho detto che non sottoscrivo ciò che va a mio danno. Sarebbe come se ci si dichiarasse disposti a firmare la propria condanna morte.
Un colloquio con Thomas Bernhard, a cura di Andre Muller
Provando ad addentrarsi nei labirinti impervi e ossessivamente verbosi del teatro di Thomas Bernhard, non si può fare a meno di scontrarsi con una crudeltà scomoda e respingente che sembra caratterizzare il rapporto dell’autore con i suoi personaggi. Di questa battaglia sotterraneo fra autore e carattere, l’arma alleata dello scrittore austriaco è il tentativo costante di rendere faticoso il linguaggio e il ragionamento, stirare attorcigliare le parole, rendendole una rete soffocante e a maglie strette per i suoi protagonisti.
Ciò che però lo differenzia da drammaturghi come Samuel Beckett o Eugene Ionesco, per quanto riguarda questo atteggiamento enigmistico nei confronti del linguaggio, sono proprio i personaggi, costruiti dall’autore come avversari degni dello scontro, estremamente respingenti e dediti nelle loro singole cause, per questo incapaci di uscire dall’impasse che li lega all’immobilismo delle loro storie. I protagonisti delle sue storie, citando l’autore, possono appartenere a due categorie quelle degli ottusi o dei pazzi, quella degli ignoranti o dei folli e la loro immobilità nel ruolo porta solo ad un irrigidimento autolesionista.
Scegliere il teatro di Thomas Bernhard, oggi, ha dunque al suo interno una potenzialità reazionaria preziosa. Andrea Baracco decide di dirigere Interno Bernhard, andato in scena dal 17 al 29 gennaio al Teatro Argentina di Roma, spettacolo diviso in due parti, tratto da Il riformatore del mondo e Minetti, costruendo un filo rosso che lega a doppio giro i protagonisti dei due testi bernhardiani. Da un lato Il riformatore del mondo, un filosofo anziano e profondamente radicale che vive in totale isolamento con la sua domestica/moglie/dama di compagnia e si prepara a ricevere a casa sua, evento unico e straordinario per l’assegnazione di un riconoscimento, una delegazione ufficiale che gli consegnerà la laurea honoris causa per aver scritto un trattato su come salvare il mondo. Il riconoscimento però, è la conferma dell’inutilità della sua operazione e della natura aleatoria del mondo dell’alta cultura, il centro del suo studio si concentra infatti sull’assioma secondo cui per migliorare il mondo bisogna eliminare gli uomini dalla faccia della terra. Al centro di Minetti, c’è invece il ritratto crudelmente affettuoso del suo attore-feticcio, Bernhard Minetti, l’anziano del teatro tedesco”. Ormai vecchio e disilluso, l’anziano mattatore aspetta nella hall di un albergo di essere convocato per andare in scena, la notte di capodanno, porta nella sua valigia ritagli di ricordi dei suoi successi e la maschera di Re Lear, la hall dell’albergo diventa la sala d’attesa che precede il disfacimento e il congelamento di sé.
A metà dunque fra consapevolezza e cieca auto-illusione, Minetti ricostruisce la sua storia per le orecchie distratte dei passanti, senza abbandonare mai una spietatezza glaciale nei confronti del teatro e della società ormai per lui priva di senso. Thomas Bernhard, costruisce due personaggi che incarnano un odio bilaterale nei confronti del desueto, Minetti apostrofa e sentenzia con crudeltà i suoi interlocutori “Non crede che bisogna odiare il progresso da un certo momento in poi” afferma lapidario e la risposta che riceve è un assoluto silenzio. Mentre Il riformatore del mondo, nel 2023, nello scenario ricostruito di un mondo sopravvissuto a una pandemia diventa una possibilità nichilista e terrificante, ma pericolosamente autentica. La scelta dunque di unire i due personaggi si trasforma in un confronto aspro difficile, che tagliando lo spettacolo in due parti distinte, dissonanti, trasforma Minetti e il riformatore in nemici di se stessi, prima che del mondo mostrandosi più divergenti e di quanto realmente siano.
Nata a Pescara nel 1995, diplomata al Liceo Classico G.D’Annunzio di Pescara nel 2014, consegue la doppia laurea in Filologia Moderna e Études Italiennes all’interno del progetto di codiploma fra l’Università la Sapienza di Roma e La Sorbonne Université di Parigi con una tesi dal titolo La Nuit des Rois di Thomas Ostermeier alla Comédie-Française: per una definizione di transnazionalità a teatro. , svolgendo inoltre ricerca archivistica presso la biblioteca della Comédie-Française. Scrive per diverse testate online di critica e approfondimento teatrale, occupandosi soprattutto di studiare gli intrecci fra i linguaggi e le estetiche dei vari teatri nazionali europei.
Dedicare una rassegna a una figura come quella di Peter Brook, a così poca distanza dalla morte, non può che assumere un significato programmatico. Il racconto di una volontà di creare un legame con una tradizione che parla di transcultura, recupero di senso di comunità e sguardi grandangolari, ne abbiamo parlato con i direttori artistici di Roma Live Arts, rassegna internazionale di spettacoli di prosa, musica, teatrodanza e arti varie, Paolo Pasquini e Gino Auriuso.
Che identità dà alla rassegna la decisione di partire dalla figura di Peter Brook?
È stato il giornale «Le Monde» a dare la notizia: nella notte del 2 luglio 2022 Peter Brook ci ha lasciato. A lui è dedicata la nostra Rassegna Roma Live Arts, a lui che considerava il teatro il cuore di una comunità, dove la recitazione dà senso all’esistenza e viceversa, dove attori e spettatori si chiedono insieme: “Succederà qualcosa?”. Se andiamo ancora a teatro ‒ mentre sembriamo aver smarrito la strada che porta al cinema ‒ è perché continuiamo a chiederci: “Cosa ci darà stasera quel palco, che non è mai due volte lo stesso?”. Vorremmo tentare, nel suo nome, di ricostruire il senso smarrito di comunità, sperando che gli artisti e gli spettatori possano riconquistare quell’osmosi che solo a teatro può verificarsi.
È molto interessante il fatto che abbiate pensato in un primo momento di inserire qualcosa riguardante una parte tecnica del teatro, oltre che artistica, all’interno del progetto. Potete spiegare meglio cosa intendete?
L’ambiziosa idea progettuale parte dal desiderio di istituire una Fiera Internazionale dello Spettacolo dal Vivo. Lo spettacolo cammina su due gambe: una artistico/performativa e l’altra tecnica (scene, costumi, audio, luci ecc…). In questo primo appuntamento siamo riusciti a dare spazio alla parte artistica, mettendo in “esposizione il prodotto finito”. Ma l’intento per le future edizioni è quello di mettere in mostra anche tutti i mestieri che permettono la performance.
Ad aprire l’edizione sarà Eugenio Barba, oltre che regista, grande teorico e precursore di tendenze nel teatro. Lo studioso Lorenzo Mango definisce il teatro di Barba e dell’Odin un teatro che è “Da un’altra parte”. Barba ha deciso di dedicare un momento di riflessione al concetto di “lavorare in un angolo”. Mi chiedevo dunque quali sono i rischi, ma anche le risorse di un teatro che decide di partire da un angolo.
Partiamo tutti da un angolo, da una prospettiva personale, per poi aprirci al confronto e vedere le cose in maniera più ampia. Ci piace pensare che Barba partirà da un angolo per poi portarci verso orizzonti lontani, appunto da un’altra parte. In generale il teatro ti porta altrove e ti fa scoprire nuove angolature del mondo. Per questo abbiamo scelto un grande maestro come lui, per farci portare nei suoi “grandangoli”.
Peter Brook definisce l’apertura a un sistema transculturale come dettata dalla ricerca di “una cultura che sa mangiare a modo suo e mangiare quello che prende e arriva dall’esterno”. Il programma della rassegna sembra costruito e guidato da un ampio respiro transculturale. Mi interesserebbe dunque sapere cosa significa per voi la definizione di transculturale.
La miscellanea, l’influenza, la contaminazione, l’internazionalità da sempre hanno generato l’evoluzione artistica e culturale. Senza questo saremmo fermi a un mondo avvolto su se stesso. Anche per questo il coraggioso progetto di Roma Live Arts vuole guardare alla multidisciplinarietà, al contagio dei vari generi artistico/culturali e alle nuove frontiere europee e mondiali della prosa, della musica, della danza e di quella galassia sempre più centrale ‒ ma ancora in cerca di un nome! ‒ del cosiddetto Altroteatro.
Come vi aspettate che il progetto possa crescere in futuro, quali sono i progetti di trasformazione del lavoro?
Come detto, l’ambizione è quella di far nascere un’Esposizione Internazionale di tutta la filiera che genera, alimenta e produce lo spettacolo dal vivo. Nel prossimo novembre 2023 sapremo l’esito della candidatura di Roma per Expo 2030. Ma già dal prossimo anno ‒ dopo questo nostro “numero zero” ‒ Roma potrebbe proporsi al mondo come Capitale di una grande kermesse internazionale della creatività e delle arti performative. Da gennaio 2023 apriremo in questo senso un grande tavolo di intelligenza collettiva, per raccogliere stimoli, proposte e iniziative dal mondo del teatro, della danza, della musica, del circo, delle arti di strada e della formazione. In vista, appunto, della prima edizione di questo nostro sogno.
Nata a Pescara nel 1995, diplomata al Liceo Classico G.D’Annunzio di Pescara nel 2014, consegue la doppia laurea in Filologia Moderna e Études Italiennes all’interno del progetto di codiploma fra l’Università la Sapienza di Roma e La Sorbonne Université di Parigi con una tesi dal titolo La Nuit des Rois di Thomas Ostermeier alla Comédie-Française: per una definizione di transnazionalità a teatro. , svolgendo inoltre ricerca archivistica presso la biblioteca della Comédie-Française. Scrive per diverse testate online di critica e approfondimento teatrale, occupandosi soprattutto di studiare gli intrecci fra i linguaggi e le estetiche dei vari teatri nazionali europei.
Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti per garantirti la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. These cookies ensure basic functionalities and security features of the website, anonymously.
Cookie
Durata
Descrizione
cookielawinfo-checkbox-analytics
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Analytics".
cookielawinfo-checkbox-functional
11 months
The cookie is set by GDPR cookie consent to record the user consent for the cookies in the category "Functional".
cookielawinfo-checkbox-necessary
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookies is used to store the user consent for the cookies in the category "Necessary".
cookielawinfo-checkbox-others
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Other.
cookielawinfo-checkbox-performance
11 months
This cookie is set by GDPR Cookie Consent plugin. The cookie is used to store the user consent for the cookies in the category "Performance".
viewed_cookie_policy
The cookie is set by the GDPR Cookie Consent plugin and is used to store whether or not user has consented to the use of cookies. It does not store any personal data.
Functional cookies help to perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collect feedbacks, and other third-party features.
Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.
Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.
Advertisement cookies are used to provide visitors with relevant ads and marketing campaigns. These cookies track visitors across websites and collect information to provide customized ads.