da Marco Argentina | 6 Feb 2017 | Uncategorized
Cosa potrebbe succedere se ci venissero bloccate le emozioni? Se fossero raggelate nell’io più profondo e, dunque, il nostro corpo potesse esprimerle solo limitatamente? Quali dinamismi prenderebbero forma e quali “storie” la nostra anima riuscirebbe a raccontare?
Un coreografo danese di nome Palle Granhøj si è posto e continua a porsi costantemente questi interrogativi, sperimentando in sala prove e palcoscenico la sua obstruction technique, votata a convertire movimenti “ostruiti” – per l’appunto – in arcane e recondite emozioni. È col suo cognome che nel 1989 viene sigillata la nascita della sua compagnia di danza contemporanea, la Granhøj Dans, attraverso cui i frutti delle lunghe e complesse sessioni della suddetta tecnica performativa vengono magistralmente espletati e offerti al pubblico di estimatori.
Granhøj Dans indaga sulla profondità dell’essere umano, tralasciando le apparenze e scrutando l’interiorità al microscopio, quasi frugandovi all’interno alla ricerca di un segreto, di una verità adombrata, di un retaggio culturale e psicologico che desidereremmo non ci appartenesse più. La danza che ne consegue è crudamente sincera, palesemente provocatoria, impudentemente lasciva, manifesto di una realtà quotidiana che percorriamo parallelamente a quella che preferiamo mostrare agli altri, una realtà comunque esistente, assolutamente non ignorabile. Esempio lampante è il doppio spettacolo Double rite, composto da Rose: Rite of Spring e Rite of Spring: un duplice appuntamento performativo con la sfacciata manifestazione di quel “rito di passaggio” che caratterizza la vita di ognuno di noi, quando cioè dalla pubertà si raggiunge l’età adulta. Un passaggio tanto destabilizzante quanto sconvolgente, dove l’accumulo delle certezze ammassate dalla tenera fanciullezza si sgretola impetuosamente per fare posto alla schietta verità, quella degli Uomini ostentatori del proprio testosterone e quella delle Donne guerriere armate di dolore e di coraggio.
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E come rendere scenicamente plausibile questo arzigogolato labirinto concettuale? Naturalmente con la nudità, nient’affatto erotica o seducente, bensì larvatica e vergognosa. Perché per quanti abiti il nostro corpo possa indossare, il nostro animo si sentirà sempre denudato, scoperto, prevedibile. Tradirà sempre la ragione con l’istinto, percepirà sempre il mondo con lo spavento di comprenderlo davvero. Quella della compagnia danese è una performatività che lascia il segno, marchiando a fuoco in noi il timore di vivere una vita che non ci appartiene al cento per cento. Sono le emozioni più oscure a significare le nostre vicissitudini: tentare di mascherarle è un passo in avanti verso l’oblio più sicuro.
Foto: Granhøj Dans _Rite of Spring – Extended © Fabián Andrés Cambero
da Marco Argentina | 29 Gen 2017 | Uncategorized
I linguaggi con cui la danza contemporanea suole “esprimersi” nell’ultimo decennio si diffondono a macchia d’olio in tutto il mondo, marcando fortemente il territorio occidentale europeo, come anche l’Estremo Oriente, come anche il Nord del continente americano. In particolar modo, per quanto concerne quest’ultima area geografica, la Nazione canadese ne è a dir poco emblematica, proponendo al proprio pubblico – ma soprattutto a quello internazionale – una vetrina di talenti coreografici e performativi, anelanti la scoperta di una dinamica e un’espressività sempre nuove, sempre più “cliniche”.
Una giovane (professionalmente parlando) rappresentante di tale categoria è Virginie Brunelle, classe 1982, approcciatasi al mondo della danza all’età di 20 anni. Un debutto leggermente tardivo, ma non per questo poco fecondo: solo sei anni più tardi, infatti, crea la sua prima full-lenght piece (opera di grande formato) denominata Les cuisses à l’écart du coeur, presentata sia in Canada sia in Italia. Nel medesimo anno fonda la sua compagnia omonima, con la quale porta in scena, nel corso del lustro successivo, capolavori del calibro di Foutrement (2010), Complexe des genres (2011) ePLOMB (2013).
La danza di Brunelle pone assai delicatamente una lente d’ingrandimento sulle emozioni dell’uomo, sulle cause e gli effetti che da esse scaturiscono e si riflettono nel vivere quotidiano, senza rappresentarle in scena in maniera astratta o generalizzante. Tutto ciò che raffigura palesemente la mondanità attrae, anzi, in maniera calamitante l’interesse dell’artista canadese, la quale lo riflette coreuticamente nelle dinamiche energiche dei passi a due, o nell’intensità interpretativa vibrante degli assoli.
Le performance, quindi, demarcano un segno indelebile nell’animo dello spettatore, sedotto dalla pregnante fisicità dei passaggi coreografici e ipnotizzato dalla miriade di dettagli tecnici che compongono l’intero “quadro” delle opere di Brunelle. Ma è anche nostalgico, rivedendo nelle pose dei danzatori immagini di vetuste pellicole cinematografiche, poi decostruite da un turbine di ritmi e gestualità quasi selvagge.
Insomma, ad affascinare e stimolare il genio creativo dell’artista di Mont-Saint-Hilaire è l’Umanità a tutto tondo, imbevuta delle proprie vivide emozioni – categoricamente inoccultabili – e perciò fortemente degna di essere protagonista della scena, senza filtri né iperboli, senza maschere né eccezioni.
Foto
Virginie Brunelle / Foutrement © Tobie Marier Robitaille
da Marco Argentina | 29 Gen 2017 | Uncategorized
Sfrontato, crudo, iperrealistico. Sono queste le parole chiave per descrivere il genio creativo di un coreografo/regista italiano, giudicato tra i più autorevoli della scena contemporanea: Enzo Cosimi. Un ritratto della danza che lascia senza fiato, che stupisce, che spesso non piace perché apparentemente retro, e invece corre in parallelo ai nostri tempi così velocemente da farne spavento l’ingente somiglianza.
Sebbene la storia della compagnia omonima decorra a partire dagli ultimi anni, il percorso formativo e professionale del coreografo romano ha inizio nei primi ’80, quando cioè viene creato Calore, che debutta nella Capitale (1982) ed è interpretato dal suo primigenio ensemble, il Gruppo Occhèsc. Così sconvolgentemente ironico, sexy e denunciante da non poter rimanere una pietra miliare, relegata al solo periodo di nascita: il Progetto RIC.CI. (Reconstruction Italian Contemporary Choreography anni ottanta-novanta), infatti, ha voluto “restaurarlo” perché anche le generazioni più prossime potessero goderne e farne proprio il messaggio, attuale tanto quanto trentaquattro anni fa.
Al fianco di Calore si annoverano ben più di 40 ulteriori produzioni, tra le cui più recenti vi sonoSopra di me il diluvio (2014), Fear Party e La bellezza vi stupirà (2015), quest’ultima inserita nel progetto Ode alla bellezza – 3 creazioni sulla diversità. Ma anche Corpo Hominis e Estasi (2016), che puntano la lente d’ingrandimento su due temi assai scottanti della società odierna: omosessualità e trasgressioni. Una realtà vomitata addosso agli spettatori senza freni inibitori, con un gusto coreografico che oscilla tra l’oscenità (anche verbale) e una particolare abilità nell’oltrepassare delicatamente i limiti etico-morali.
Enzo Cosimi gioca con la contemporaneità senza farsi scrupoli, riuscendo a renderla persino accattivante quando corrosiva, deleteria quando ironica. E il risultato appare agli occhi del pubblico assai efficace grazie anche alla bravura dei performer che – da più o meno anni – lo accompagnano nel cammino di crescita professionale, provenendo peraltro da plurimi ambienti dell’arte e dello spettacolo. Basti pensare che da alcuni anni Cosimi è coreografo residente alla Scuola Civica Paolo Grassi di Milano, nonché il suo talento ha dato vita a produzioni di personalità rappresentanti l’eccellenza nazionale e internazionale, quali Miuccia Prada, Luigi Veronesi, Richie Hawtin, Aldo Tilocca, Louis Bacalov, Aldo Busi, Daniela Dal Cin, Robert Lippok e Fabrizio Plessi, col quale nel 1987 creò Sciame, il primo lavoro di video danza italiano.
Un artista eclettico, provocatorio, che intende difendere a spada tratta la visione di una danza tellurica, rimbombante, a tratti insopportabile. Ma solo perché urla una verità per certi versi scomoda. E ogni tanto “specchiarsi” in una pièce da palcoscenico non è del tutto sbagliato.
Foto
Enzo Cosimi / Calore © Viola Berlanda
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da Marco Argentina | 29 Gen 2017 | Uncategorized
È possibile pensare che un tassello pregnante della storia della danza contemporanea europea e mondiale possa essere stato partorito da un professionista di tutt’altro genere? Ebbene sì, e la carriera del signor Alain Platel ne è la dimostrazione.
Ex terapista ortopedico, il coreografo di origine belga (classe 1956) ha approcciato in tenerissima età al mondo dello spettacolo seguendo lezioni di teatro e, soprattutto, di mimo alla scuola di Marcel Hoste e, nello stesso tempo, praticando danza moderna nella classe della canadese Virginia Meyers. Nel 1980 ha messo in scena le sue prime creazioni, che sin da subito hanno manifestato il suo atteggiamento assai estroso di fusione delle discipline artistiche: dal teatro alla danza, dalla musica alle arti circensi.
Proprio per questo, il gruppo di lavoro con cui ha plasmato in scena le manifestazioni del suo genio creativo lungo tutta la sua carriera non è stato definitivo come una “compagnia”, bensì come un “collettivo”, che nel 1984 viene fondato ufficialmente a Gand (Belgio) sotto il nome di Les Ballets C de la B (ovvero Les Ballets Contemporaines de la Belgique).
Tre elementi hanno composto (e compongono tutt’oggi) le fondamenta del collettivo: la tridimensionalità della scena, la presenza di musica dal vivo, la multidisciplinarità e eterogeneità dei performer. Spazio, sottofondo e azione in palcoscenico studiati con cura certosina per condurre lo spettatore alla visione di se stesso, non diretta come nel riflesso di uno specchio, bensì più profonda, recondita, come esaminata al microscopio. Platel offre al pubblico lo spettacolo delle emozioni dell’umano, senza riserve, senza inganni, senza preoccuparsi di quanto l’esasperazione dei movimenti (danzati o recitati) e delle parole (cantate, impersonificate o comunicate) riesca a sconvolgere l’animo di chi vi assiste.
Inevitabilmente è comprensibile il lungo e intenso processo di creazione che viene attuato per ogni pièce, dove l’improvvisazione e il contributo attivo dei danzatori è assolutamente prioritario. Platel agisce, dunque, al pari di un mosaicista, incasellando i singoli tasselli performativi al posto giusto affinché la perfetta composizione possa essere mostrata. Ciò, comunque, non esclude affatto che l’apparato tecnico-espressivo sia di altissimo livello: ogni performer coinvolto nei progetti deriva da un percorso di formazione e professionismo pregresso di grandissimo pregio, sia che si tratti di ambito classico o contemporaneo.
La danza di Alain Platel trova, quindi, la sua ragion d’essere nel mélange di diverse tradizioni artistiche, spazianti in lungo e in largo negli stili performativi ritenuti più adatti a inscenare il sentimento umano, l’emozione più oscura, quella parte (a volte) dimenticata nonostante sia la più vera.
Assistere a uno spettacolo de Les Ballets C de la B equivale ad avere coraggio, coraggio di accettare se stessi, coraggio di comprendere un linguaggio che dalla danza scivola nettamente alla vita.
Foto
Les Ballets C de la B / Tauberbach © Les Ballets C de la B
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da Marco Argentina | 29 Gen 2017 | Uncategorized
Spesso a capo di una compagnia di danza non vi è la sola figura del coreografo, fulcro creativo dei lavori che essa porta in scena. Spesso questa figura è affiancata da un’ulteriore presenza professionale, pienamente innervata nel mondo delle arti dello spettacolo, capace di donare alla già rilevante performatività del progetto artistico un tocco di personalità in più.
È il caso del duo Emio Greco | Pieter C. Scholten, un connubio italo-olandese nato nel 1995 e, a tutt’oggi, emblema di una corrente di danza contemporanea assolutamente libera, nel senso più filosofico del termine.
Così libera dalle convenzioni, dai retaggi performativi preesistenti, dal concetto più consueto del binomio corpo/movimento da stilmolare la stesura, nello stesso anno d’incontro degli artisti, di un manifesto attestante i concetti-chiave attraverso cui si sviluppa il linguaggio danzato della compagnia: sette “necessità” (il titolo del manifesto è, per l’appunto, The 7 Necessities) da adottare per manifestare al meglio l’espressività del corpo, per indurre lo spettatore a godere dell’azione sul palcoscenico, cogliendone al contempo il messaggio in ogni singolo passaggio.
A rendere, dunque, tutto questo possibile non può essere sufficiente la sola componente coreografica, curata con abilità certosina da Greco. Occorre che la struttura dell’intero spettacolo sia “contornata” da un apparato scenografico, illuminotecnico e di movimenti scenici partorito da una mente abituata alla drammaturgia teatrale o alla “spettacolarità” lavorativa di artisti del calibro Jan Fabre o Saburo Teshigawara, come si evince dal curriculum vitae di Scholten. Un’accoppiata perfetta per la formazione di una compagnia nel 1996, la Emio Greco | PC dance company, con la quale dare corpo ai sette principî fondamentali. Ensemble evolutosi nel 2009 nell’International Coreographic Art Centre (ICK) di Amsterdam, dove al consolidato operato creativo si affianca quello educativo e sperimentale.
Variegatissimo il ventaglio di tematiche affrontate nel percorso produttivo della compagine: dall’omaggio alla classicità al virtusismo eclettico, dall’”occhio di bue” sul cinema d’autore alla plasticità corporea essenziale. Uno spettacolo ogni volta diverso, un’emozione ogni volta più che coinvolgente.
Link utili
http://www.ickamsterdam.com/en/
Foto
Emio Greco | PC Scholten / Rocco © LM
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