da Giovanni Landi | 20 Mag 2018 | Uncategorized

Luis Bacalov
La legge italiana sul diritto d’autore (n. 633/1941) disciplina il reato di contraffazione (la cd. “pirateria”) all’art. 171, punendo con una multa chiunque riproduca, trascriva, reciti in pubblico, diffonda o ponga in commercio un’opera altrui senza averne diritto. Nello stesso articolo si punisce con una pena aggravata (la reclusione fino a un anno o la multa non inferiore a 516 euro) chi commette il medesimo reato, fra le altre cose, “con usurpazione della paternità” dell’opera.
Ed è qui, fra le maglie del reato di contraffazione, che risiede lo spazio assegnato dal nostro ordinamento al reato di plagio musicale, ovvero il ‘furto’ di una melodia altrui, quel saccheggio di pentagramma al centro di interminabili battaglie legali.
Sebbene la dottrina si sia più volte sforzata di identificare dei criteri costanti per l’accertamento del plagio (ad esempio le famose “otto battute uguali” o le “sette note consecutive”), la giurisprudenza ha sempre preferito valutare caso per caso, nella certezza per cui a comporre una canzone, oltre alla linea melodica – che è senz’altro il parametro principale – concorrano anche il ritmo, il timbro, gli accordi armonici e il testo. Così, oltre all’ascolto comparativo fra i due brani, in diversi casi si è ritenuta necessaria un’analisi più approfondita, in particolare per verificare se la canzone di musica leggera sia sufficientemente originale o al contrario troppo semplice per essere tutelata. Ancora, si è in taluni casi ritenuto necessario che l’opera secondaria suscitasse nell’ascoltatore medio “le stesse emozioni” dell’originale.
In ordine di tempo, l’ultima volta che si è chiamato in causa il plagio in maniera piuttosto rumorosa ha visto protagonisti Ermal Meta e Fabrizio Moro. Prima di trionfare al festival di Sanremo 2018, i due cantanti hanno rischiato la squalifica per aver portato in gara un brano in parte identico a un pezzo già presentato alle preselezioni di Sanremo Giovani 2016. Ma la vicenda si è conclusa in un fuoco di paglia: l’autore dei due brani era lo stesso, Andrea Febo, e il caso è stato con urgenza classificato come “autocitazione rispettosa del regolamento del Festival”.
Diversamente erano andate le cose a Loredana Bertè, che nel 2008 aveva visto il suo brano “Musica e parole” squalificato dal concorso canoro perché quasi coincidente con la canzone “Sesto Senso” di Ornella Ventura, scritto dagli stessi autori esattamente vent’anni prima.
Allontanandoci dalla Città dei Fiori, altre vicende hanno fatto non di meno discutere. Su tutte, naturalmente, i famigerati “cigni di Balaka”, che Al Bano sostenne aver ispirato “Will you be there” di Michael Jackson, dando inizio a un lungo iter giudiziario colorato di grottesco. Se era difficile credere che il re del pop ascoltasse il divo di Ciellino San Marco, non per questo poteva negarsi quanto i due componimenti fossero straordinariamente simili. In seguito alla denuncia di Al bano e dopo il parere di Ennio Morricone, nel 1994 il disco di Jackson fu ritirato dal mercato italiano e poi rimesso in vendita senza il brano incriminato. Qualche anno più tardi, però, il Tribunale di Roma, dopo aver interrogato lo stesso Jackson in un’audizione-evento, revocò l’ordine di sequestro ritenendo mancare una prova convincente che Jackson conoscesse la canzone italiana. Dopo altre pronunce intermedie, nel maggio del 1999 i periti del Pretore Penale di Roma riscontrarono la presenza di ben 37 note consecutive identiche nei ritornelli dei due brani, e Jackson fu condannato a pagare quattro milioni di lire di multa per plagio. Nel novembre del 1999, infine, la Corte di Appello di Milano mise fine alla querelle con una pronuncia che era l’unica verità possibile: i due brani erano entrambi figli di una terza canzone, una fonte comune priva di copyright e corrispondente a “Bless You For Being An Angel” degli Ink Spots. Al Bano fu condannato a pagare le spese processuali e rifiutò di ricorrere in Cassazione dopo un accordo riservato con Jackson.
Fra i cantanti maggiormente accusati di plagio figurano senza dubbio Gigi D’Alessio e Zucchero. Quest’ultimo ha affrontato un’aspra causa penale avviata da Michele Pecora a cavallo fra i due secoli. La canzone “Blu” di Fornaciari, con le sue “sere d’estate dimenticate”, sarebbe stata troppo simile alle “poesie d’estate dimenticate” della hit anni ’80 “Era lei”. Ad avere la meglio, alla fine, è stato Zucchero, che è riuscito a convincere i giudici di Milano dell’estrema diffusione di quella scala discendente e forse, più in generale, dell’ormai conclamata impossibilità di un “originale assoluto”.
Ancor più drammatiche le circostanze che hanno visto scontrarsi in tribunale il cantautore Sergio Endrigo, (in)dimenticato interprete di “Io che amo solo te”, e Luis Bacalov, premio Oscar per le musiche del Postino. Endrigo, per anni collaboratore di Bacalov, pretese di essere riconosciuto coautore della colonna sonora del film di Troisi, in gran parte ispirata alla sua canzone “Nelle mie notti”. Dopo diciotto anni di battaglie e due sentenze a favore di Endrigo, ormai defunto, Bacalov riconobbe nel 2013 il ruolo autoriale di Endrigo modificando l’iscrizione Siae e concedendogli, di fatto, un premio Oscar postumo.
Spostandoci fuori dall’Italia scopriamo come il subire un plagio, o meglio una “campionatura” non autorizzata, possa alle volte far piovere oro sulla testa della vittima. Il bellissimo brano di Puff Daddy “I’ll be missing you” è notoriamente costruito sul ritornello di “Every breath you take” dei Police, ma l’operazione fu compiuta dal rapper prima di acquisire i diritti di cover. Quando Sting citò in giudizio Puff Daddy per plagio, ottenne la totalità dei diritti sulla canzone, che ancora oggi corrispondono a decine di migliaia di dollari l’anno.
In mezzo ai casi di plagio più clamorosi gravita una galassia di episodi incompiuti o esagerati. Vengono sempre ricordate, per esempio, le somiglianze fra “I giardini di marzo” di Battisti e “Mr Soul” di Neil Young; fra “Ballo Ballo” della Carrà e “Eleanor Rigby” dei Beatles; fra “Viva la Vida” e “I could fly”; Lady Gaga e Madonna.
Il sito internet Plagimusicali.net offre una formidabile campionatura dei casi di plagio veri o presunti, con audio-comparazioni, commenti di appassionati e votazioni pubbliche. Talvolta i risultati sono interessanti, mentre il più delle volte le segnalazioni appaiono come una caccia alle streghe troppo severa.
Il numero di canzoni prodotte ogni giorno nel mondo, infatti, unito alla finitezza delle composizioni melodiche, non può che invitare ad essere quanto più clementi possibile nell’identificazione del plagio. Non solo, come ci insegnano dall’Asia, copiare vuol dire prima di tutto ammirare, ma è indiscutibile come la produzione artistica sia sempre il prodotto dell’elaborazione dell’esistente, l’esito (anche inconscio) di mille ispirazioni. Nel saggio “Anche Mozart copiava” (2004), Michele Bovi richiama l’osservazione di Morricone per cui “la musica orecchiabile, proprio perché tale, assomiglia a qualche cosa già scritta”. Tutti noi ci emozioniamo di fronte al ‘già sentito’. Tutti noi siamo in debito, ad ogni lampo di genio, con chi ci ha preceduto.
Quando il richiamo a un altro brano offende davvero il valore della paternità e dell’impegno individuale – in quanto volto a trarre vantaggi ingiusti dall’altrui genialità – allora quell’atto va senz’altro represso. Negli altri casi, a fare da guida dovrà essere l’indiscutibile e ancor più prezioso valore della conoscenza comune e dell’impegno collettivo.
da Giovanni Landi | 20 Ott 2017 | Uncategorized
Sebbene sovente trascurato dal mondo accademico e forense – e talvolta dallo stesso legislatore – il diritto delle arti e dello spettacolo è un settore dinamico e sempre più necessario. Intorno all’ “industria” della cultura, infatti, si muove una costellazione di regole e prassi la cui conoscenza e il cui sviluppo rappresentano un valore non trascurabile. E ciò sia per il ruolo essenziale che le arti ricoprono nel panorama sociale italiano, sia per il capitale umano che impiegano.
La Società Italiana Esperti di Diritto delle Arti e dello Spettacolo (SIEDAS), nata nel 2015 per volontà del Prof. Fabio Dell’Aversana, vuole rispondere alla crescente richiesta di competenze e organizzazione di questo articolato ambito del diritto. In poco tempo l’associazione ha unito gli esperti di tutto il territorio della Penisola, strutturandosi in uffici nazionali e locali e raccogliendo le adesioni e l’interesse di decine di giuristi e addetti ai lavori.
Oltre all’attività di consulenza legale, fiscale e manageriale rivolta ad Enti e privati, SIEDAS è impegnata in una più generale missione di promozione del sapere e del know-how intorno alle materie di sua competenza: organizzazione di convegni, pubblicazioni, eventi culturali e iniziative di sensibilizzazione alla cultura e all’arte; istituzione di borse di studio, premi, master e altre attività didattiche; promozione di collaborazioni interdisciplinari in Italia e all’estero. Nel giugno di quest’anno, poi, l’associazione ha pubblicato il primo numero della neonata Rivista delle Arti e dello Spettacolo (PM edizioni), con lo scopo di incentivare e diffondere la speculazione accademica di settore.
Il 9 e 10 settembre 2017 si è svolta a Livorno, presso l’Auditorium del Museo di Storia Naturale, la seconda Assemblea Nazionale SIEDAS, partecipata da numerosi esponenti delle istituzioni e della cultura. Durante l’evento sono stati presentati i progetti futuri ed è stato conferito il Premio alla Carriera SIEDAS a Livia Pomodoro, già Presidente del Tribunale Ordinario di Milano e attualmente Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera e del Teatro No’hma di Milano.
“Attraverso SIEDAS abbiamo voluto riempire un vuoto rumoroso nel panorama della cultura giuridica italiana”, spiega Fabio Dell’Aversana, fondatore e Presidente della Società. “Quello fra diritto e spettacolo è un connubio fondamentale, e la giovane età dei nostri soci dimostra una crescente consapevolezza verso l’urgenza di una sua riscoperta”. “Il nostro obiettivo”, aggiunge Caterina Barontini, Segretario Generale SIEDAS, “è di accrescere la sensibilità verso certi temi anche in chi non gravita nel mondo delle arti e dello spettacolo”.
Per informazioni e adesioni è possibile scrivere a segreteria@siedas.it o visitare il sito istituzionale www.siedas.it, contenente i contatti dei singoli uffici nazionali e regionali e l’elenco delle diverse attività.
da Giovanni Landi | 26 Apr 2017 | Uncategorized
L’Istituto mutualistico per la tutela degli artisti interpreti ed esecutori (IMAIE) nasce nel 1977 per iniziativa dei tre maggiori sindacati. Liquidato nel 2009, l’ente è poi rinato un anno dopo come Nuovo IMAIE (legge n. 100/2010), anche se dal 2012 non è più in posizione di monopolio a causa della liberalizzazione del mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore.
Lo scopo dell’ente è quello di attuare le disposizioni di legge che garantiscono un ritorno economico agli interpreti dello spettacolo ogni qual volta le opere da loro interpretate vengono diffuse o riprodotte. In sintesi, l’IMAIE è l’equivalente della SIAE (che tutela i diritti di autori ed editori) per i soggetti che dell’opera sono in diverso modo “interpreti”: cantanti, attori, doppiatori, musicisti, ballerini, direttori di orchestra e di coro, complessi orchestrali o corali.
Cantanti e musicisti hanno diritto all’equo compenso quando una registrazione musicale viene trasmessa via radio o TV, diffusa o comunicata nei pubblici locali o comunque riutilizzata. Per gli attori e doppiatori, invece, l’equo compenso si genera in relazione a qualsiasi forma di utilizzo e diffusione delle opere cinematografiche o assimilate attraverso qualsiasi mezzo e modo: TV, web, proiezione pubblica, commercializzazione dei supporti fisici o digitali.
Il compito dell’IMAIE, dunque, è di incassare dai produttori l’equo compenso artistico e distribuirlo poi agli interpreti. In termini pratici, l’Istituto tratta con i produttori discografici, con gli emittenti, con i distributori DVD, con i siti WEB e con la SIAE al fine di ricevere i compensi da ridistribuire.
Il diritto degli artisti al compenso si estingue dopo 50 anni dall’interpretazione dell’opera (estesi a 70 per il settore musicale). Non tutti gli artisti, però, hanno diritto ai proventi da riproduzione: a poter partecipare alla distribuzione, infatti, sono solo colore che abbiano interpretato una parte di notevole importanza artistica (“ruolo da primario o comprimario”) all’interno del film, fiction, trasmissione TV etc. Inoltre, si specifica che il compenso è dovuto agli artisti “indipendentemente da quanto eventualmente da essi percepito per la realizzazione delle riprese”. I compensi vengono ripartiti quattro volte l’anno (due per il settore musicale e due per quello audiovisivo).
Oltre ai compiti suddetti, il Nuovo IMAIE svolge anche attività di consulenza in favore degli artisti e li assiste nella procedura dell’AGCOM volta ad ottenere la rimozione da internet di opere digitali diffuse o utilizzate in violazione dei diritti d’autore. Seppur, come detto, il Nuovo IMAIE non è più in posizione di monopolio, rimane la struttura italiana più efficiente e organizzata per la tutela degli interpreti e del loro diritto al compenso. Gli artisti che intendano partecipare al collecting dei diritti devono iscriversi all’Istituto seguendo la procedura riportata sul sito ufficiale. L’iscrizione è gratuita, ma l’ente trattine una percentuale dei proventi artistici (attualmente il 15%) per le spese di gestione.
Si riporta di seguito il link per iscriversi al Nuovo IMAIE:
http://www.nuovoimaie.it/iscriviti/
da Giovanni Landi | 6 Feb 2017 | Uncategorized
Il primo gennaio 2017 è entrata in vigore in Italia la nuova “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo”, approvata lo scorso novembre con una certa soddisfazione da parte dei diretti interessati. Un testo unitario, infatti, mancava dal 1949 e il cinema italiano è da tempo in stato di crisi, pur avendo visto crescere gli incassi del 9% fra il 2015 e il 2016.
La legge è intervenuta su diversi aspetti. Innanzitutto ha istituito un fondo per lo sviluppo, gli investimenti e gli incentivi dal valore non inferire a 400 milioni di euro annui, ricavati dagli introiti fiscali (IRES e IVA) relativi alle attività produttive della filiera cinematografica, televisiva e digitale. Tale meccanismo di autofinanziamento accrescerà le risorse destinate al cinema del 60%, il che dovrebbe restituire ossigeno a una situazione ritenuta stagnante.
Rispetto all’organizzazione del settore, la legge verrà seguita dall’istituzione di un Consiglio superiore per il cinema e l’audiovisivo (in sostituzione della Sezione Cinema della Consulta per lo Spettacolo), composto da undici membri altamente qualificati con il compito di selezionare le richieste dei produttori e assegnare i relativi finanziamenti, con la compresenza di un sistema di incentivi automatici per le opere italiane.
Come ha spiegato il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, almeno il 18% del nuovo fondo sarà destinato a finanziare giovani autori, start-up e piccole sale, oltre che festival e rassegne di qualità e attività collegate alla Biennale di Venezia, all’Istituto Luce Cinecittà e al Centro sperimentale di cinematografia. Il 3% del fondo sarà invece destinato alla promozione del cinema nelle scuole. Un ulteriore investimento di 120 milioni di euro in 5 anni sarà invece utilizzato per incentivare la riapertura o la costruzione di sale cinematografiche e teatrali. Parallelamente, è reso è più semplice il riconoscimento della dichiarazione di interesse culturale per le sale cinematografiche, e dunque l’apposizione del vincolo di destinazione d’uso.

A cambiare, poi, è anche il sistema di classificazione dei film. Finora tale funzione è stata espletata da apposite commissioni ministeriali (la famosa “censura di Stato”), composte da magistrati, professori di diritto, di pedagogia e di psicologia e dai rappresentanti delle categorie dei registi, dei giornalisti cinematografici e dell’industria. Tali commissioni erano chiamate a visionare preventivamente i prodotti, ad assegnare l’eventuale nulla osta alla proiezione e a stabilire i limiti di età per i minori di 14 o di 18 anni (legge 21 aprile 1962 n. 161). D’ora in poi, invece, saranno gli stessi produttori a classificare i loro lavori, in un sistema di self-regulation che vedrà l’intervento statale solo in casi limite (la censura per le opere teatrali era stata già definitivamente abolita dal D.Lgs n. 3 del 1998).
Per chi attende, invece, una regolazione finalmente completa dello spettacolo dal vivo, la legge rimanda al progetto, attualmente in lavorazione, di un autonomo Codice dello Spettacolo. A detta del Senato, il testo dovrebbe essere completato e votato entro marzo, mentre l’Agis (Associazione generale italiana dello spettacolo), ha già presentato da mesi le sue proposte sul punto.
Di seguito riportiamo i link al testo completo della Legge sul Cinema (Legge 14 novembre 2016, n. 220) e alle proposte dell’Agis per il futuro Codice dello Spettacolo.
http://www.cinema.beniculturali.it/Notizie/4206/66/legge-14-novembre-2016-n-220-recante-%E2%80%9Cdisciplina-del-cinema-e-dell-audiovisivo%E2%80%9D/
http://www.agisweb.it/images/stories/download/CODICESPETTACOLOAMPIA.pdf
da Giovanni Landi | 29 Gen 2017 | Uncategorized
Il mondo dello spettacolo dal vivo non è mai stato così in fermento come negli ultimi due mesi. Le polemiche scaturite dai servizi delle Iene e le inchieste giudiziarie immediatamente successive hanno (finalmente) acceso un faro sulle tante ombre del mercato degli eventi in Italia.
I seguaci degli artisti più popolari lo sanno bene: acquistare biglietti per spettacoli di grido sulle piattaforme ufficiali è una piccola odissea. Non basta posizionarsi al computer il giorno delle prevendite, aggiornare la pagina nel momento giusto e agire alla velocità della luce. Prima dell’acquisto, infatti, il rischio di perdersi nelle tante anticamere del percorso è sempre dietro l’angolo, e capita che i biglietti scelti risultino non più disponibili dopo averli già bloccati, mentre la vendita continua inesorabile rischiando di lasciare l’aspirante acquirente all’asciutto. E questo senza considerare i forti costi aggiuntivi gravanti sui “fortunati” che ce la fanno.
Fra i primissimi a far emergere il problema era stato, a onor del vero, Beppe Grillo, il quale, attraverso due post pubblicati sul suo Blog già nel 2006, aveva puntato il dito contro il “sostanziale regime di monopolio di Ticketone”, revocando al sito il mandato di gestire i suoi show e invitando i colleghi a fare lo stesso. Ma la battaglia contro i mulini a vento è poi finita: dieci anni dopo quella rigida presa di posizione, i biglietti degli spettacoli di Grillo sono in vendita proprio su Ticketone, evidentemente gigante troppo forte e troppo utile anche per il re dei castigatori.
Per molti anni le anomalie del sistema sono state imputate al prevedibile (e in parte comprensibile) sovraccarico dei server e tutt’al più al bagarinaggio privato non massivo. Col tempo però la situazione è andata peggiorando, in particolare a causa dello sviluppo dei programmi digitali in grado di comprare interi stock di biglietti arginando i tradizionali meccanismi di protezione. Ma è con la recente e ben nota vicenda Coldplay che la questione ha raggiunto il suo culmine: due concerti al San Siro di Milano finiti sold-out nel giro di pochi minuti, e a fianco i siti di rivendita non ufficiali già pronti a proporre quegli stessi biglietti a cifre esorbitanti. Di qui la tempesta: rumorosissimi reportage delle Iene, un’inchiesta dell’Antitrust contro Ticketone, una serie di lapidari comunicati ufficiali e almeno due ricorsi giudiziari presentati dalla Siae e dal Codacons.
Ciò che è emerso finora va ben oltre la classica piaga dei bagarini o il malfunzionamento delle piattaforme. Alcune società organizzatrici di eventi, tra cui Live Nation, sono accusate di intrattenere rapporti con gli stessi siti di rivendita non ufficiali: un numero indefinito di biglietti, invece di passare per Ticketone, sarebbe infatti trasmesso direttamente al ciclo secondario per essere venduto a prezzi molto alti dopo il sold-out del circuito ufficiale. I lauti guadagni aggiuntivi sarebbero poi divisi fra almeno tre soggetti: gestori del bagarinaggio online, società organizzatrice e, in taluni casi, artista stesso. Un vero e proprio sistema segreto costruito per far lievitare i ricavi della musica dal vivo, sempre più rilevante in un’epoca di crisi della discografia.
Prendendo atto del fallimento dell’autoregolazione e soprattutto del vuoto normativo, il Governo ha proposto un emendamento alla legge di Bilancio che prevede multe salate (da 30 a 180 mila euro) per le biglietterie digitali non autorizzate. Sul fronte degli artisti, per i quali l’argomento è stato a lungo un tabù, si sono levate diverse voci di sdegno, tra cui quelle di Ferro, Zero e Mengoni, mentre Vasco Rossi ha addirittura abbandonato Live Nation dopo lo scandalo che l’ha coinvolta. Un’assemblea straordinaria di Assomusica è stata invece convocata per il 6 dicembre al fine di stabilire una strategia di reazione comune, che presumibilmente verterà sull’intensificazione del biglietto nominale. Il tutto per contrastare quest’inedito apparato che vede società organizzatrici e mercato parallelo alleati a svantaggio dell’acquirente, puntualmente pronto ad aprire il portafogli per regalarsi il sogno di una magica (e carissima) serata.