Stabat Mater, reimparare a condividere il lutto

Stabat Mater, reimparare a condividere il lutto

C’è qualcosa di rivoluzionario nella decisione della compagnia Fabula Saltica di portare in scena, di mostrare senza censure la perdita nel mondo contemporaneo. Mentre la violenza e il sangue sono sdoganati in ogni mezzo di comunicazione, l’essere umano taglia fuori dalla propria vita e rifiuta di vedere la desolazione, il vuoto e il senso di finitudine che il lutto porta con sè, cancellando così ogni possibilità di elaborazione e superamento. Lo Stabat Mater di Pergolesi trova però asilo una domenica pomeriggio di gennaio allo Spazio Rossellini. Gli otto corpi dei performer compaiono sotto i riflettori coperti da vesti e teli neri e si preparano a condividere il dolore di Maria per la morte di Cristo sulle note del musicista settecentesco.  

Stabat Mater Fabula Saltica
© Valentina Zanaga

Inizia così un percorso che porta gli interpreti e il pubblico, riuniti in un attimo in un’unica comunità, ad affrontare ognuno degli stati d’animo che contraddistinguono l’elaborazione del lutto. Le emozioni sembrano propagarsi insieme ai movimenti senza soluzione di continuità cinetica da un danzatore all’altro. Ognuno con il proprio tempo segue a sua volta il ritmo, le variazioni, l’ondata della musica di Pergolesi, resa ancor più adatta alla danza da alcuni inserti contemporanei composti apposta per la rappresentazione.  

Non si tratta della sola disperazione, che pure fa irruzione sulla scena nel momento stesso in cui il primo performer solleva il velo che gli copre il volto grigiastro e gli occhi spiritati. Ci sono anche l’angoscia irrazionale, sottolineata dai movimenti scattanti dei danzatori, che il peggio debba ancora venire, l’illogica ricerca di una soluzione, la rabbia insostenibile che emerge nella danza a coppie o gli spasmi di terrore che provoca il rumore di una pesante asse di legno lasciata cadere sul palco. 

Questo unico oggetto di scena — se si eccettuano i veli neri come parte del vestiario dei performer — riassume ognuno dei macabri dettagli materiali che caratterizzano il fine vita degli esseri umani e la sua sola presenza inanimata nella cornice del movimento concitato della danza diventa agli occhi degli spettatori e delle spettatrici croce, poi bara e infine cadavere del defunto. L’asse sorretto dai danzatori sostiene a sua volta la performance e collega gli otto corpi sulla scena, costringendoli alla vicinanza e alla collaborazione e portandoli a formare con gli arti un’ unica grande creatura dolente. La cura estetica e compositiva dedicata a questi quadri calibrati al millimetro è notevole e lascia lo spettatore incantato e stupito anche nell’atmosfera tetra del teatro. 

Stabat Mater Fabula Saltica
© Valentina Zanaga

Quando il pubblico pensa che lo spettacolo, dopo aver raggiunto l’apice del trasporto emotivo nell’oscurità del lutto, sia ormai terminato, ecco che ha inizio invece il secondo atto, aperto dai sospiri che sollevano appena i veli neri che i danzatori portano in volto. Sarà l’unico suono che uscirà dalle loro bocche durante lo spettacolo e segna una sopraggiunta rassegnazione, primo passo verso la vita che ricomincia. Ora sette performer tengono inclinata l’asse mentre l’ottava si arrampica su di essa, recuperando dall’alto una prospettiva più ampia sull’esistenza e lo scorrere del tempo

Non è possibile, nemmeno in questo frangente, attribuire un ruolo a ciascuno dei danzatori: tutti loro, uomini e donne, giovani e maturi, impersonificano uno alla volta oppure a gruppi quella Maria, quella madre che nella sua tragedia sembra non avere più sesso nè età. Il pubblico può partecipare così al suo dolore quasi archetipico in un modo nuovo, non più travolto dalla commozione per la vergine santa ma dalla compassione per la fragile psiche di un altro essere umano che si ritrova di fronte al baratro della morte. Il raccoglimento collettivo generato dall’esperienza di visione è liberatorio, catartico

Crediti

Musica di Giovanni Battista Pergolesi e brani originali di Paola Magnanini

Compagnia di danza Fabula Saltica Cassandra Bianco, Valentina D’Alessi, Davide Dibello, Federica Iacuzzi, Claudio Pisa, Luca Marchi, Antonio Taurino, Chiara Tosti

Coreografia Claudio Ronda

Assistente alla coreografia Federica Iacuzzi

Costumi Antonio Taurino realizzati da Federica Coppo

Responsabile tecnico Gianluca Quaglio

Produzione dell’Associazione Balletto “città di Rovigo” – Compagnia Fabula Saltica, con il contributo di MiC e Assessorato alla Cultura del Comune di Rovigo

CI-KOREA, voci e corpi del futuro

CI-KOREA, voci e corpi del futuro

A cura di Cecilia Cerasaro

Lo spazio a vocazione teatrale di Carrozzerie N.O.T. apre alla danza per la due giorni di CI-KOREA – Amara la danza e permette al suo pubblico di scoprire che riflettere su un tema è possibile anche rendendo protagonista la fisicità dei corpi che lo vivono nella quotidianità. Così, nella serata di domenica 19 gennaio, vanno in scena i progetti danzati due artisti decisi a far arrivare al pubblico la propria visione del mondo.  

“Questo è un inizio” afferma la voce registrata che accompagnerà Superstella, mentre il danzatore Vittorio Pagani si sdraia a terra in una posa teatrale di apertura che si ripeterà innumerevoli volte nel corso della serata. È l’inizio della performance – o di una delle tante versioni possibili della stessa – ma anche della sua carriera di giovane artista.  

La stessa voce presenta un’immaginaria nuova piattaforma digitale che promette una soluzione alle crisi creative: basta scegliere fra gli infiniti progetti artistici di danza elaborati a partire da poche idee raccolte in un testo immesso. Pagani segue senza battere ciglio ognuno dei consigli dati dall’intelligenza artificiale e riassume con il proprio corpo proposte diversissime. Poi si ferma ad ascoltare gli indici di gradimento del pubblico e i commenti della critica che la piattaforma sembra già conoscere grazie al suo algoritmo. Questa visione deterministica dell’arte che cerca di ricondurre al momento presente le evoluzioni future come necessarie può senza dubbio inquietare. Ma a distrarci da inutili speculazioni filosofiche, a rispondere all’oziosa domanda esistenziale sul tempo che scorre scandito dalle prevedibili fasi della vita, ci sono il piacere contagioso del movimento e la potenza dei muscoli del danzatore.  

CI-KOREA
© Roberto De Biasio

Lo sguardo ironico e scanzonato di Vittorio Pagani e la sua gestualità vivace invitano piuttosto a leggere la performance come uno spaccato paradossale sui processi, sui presupposti teorici e sulla ricerca di approvazione che guida la creazione artistica, ma anche come una satira danzata della sua ricezione. Nel suo intento comico lo spettacolo ha successo, il pubblico comprende le riflessioni e l’umorismo del danzatore e ride. Superstella è il tentativo concitato e impossibile di Pagani di riassumere gli anni che verranno, di bruciare con la fantasia le tappe mentre ripercorre con il corpo secoli di storia e preistoria del mondo e della danza, tutti gli spettacoli che sono stati immaginati e che lui prevede un giorno di creare. Chi lo guarda, conosca o no il settore, non può fare a meno di essere divertito ed emozionato dall’entusiasmo di un giovane appassionato che fantastica sul futuro proprio e della propria arte e che si chiede, stavolta con la voce fuori campo di Marcello Mastroianni in 8½,  se sarebbe “capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo? Di scegliere una cosa, una cosa sola e di essere fedele a quella. Riuscire a farla diventare la ragione della tua vita” 

Anche Annalisa Limardi porta da sola in scena il suo spettacolo a Carrozzerie N.O.T. Si tratta di un lavoro che, in contrapposizione con il precedente, è ancorato alla realtà presente. Già dal titolo, No, richiama un tema caldo di riflessione degli ultimi anni, ovvero l’educazione al consenso e al rispetto del rifiuto altrui.  

Attraverso l’utilizzo del microfono, unico oggetto di scena che supporta la performer dal punto di vista acustico ma anche fisico, Annalisa Limardi confessa con sincerità estrema al pubblico la sua difficoltà – condivisa da molte e molti – nel porre dei limiti agli altri in ogni situazione della vita. L’incapacità di stabilire confini da non oltrepassare durante gli incontri sessuali è solo l’indice per il soggetto di una esistenza vissuta senza ascoltare se stesso, soggiogato dal volere e dai bisogni altrui in nome di una “gentilezza” che è solo mancanza di risoluzione e consapevolezza dei propri desideri.  

L’invadenza e l’insistenza degli altri sono “interpretate” dal microfono, unico altro personaggio sulla scena che la performer manovra come un burattino, suggerendo l’idea che sia dotato di una propria volontà contrapposta alla sua. È di questo strumento la voce che non dà tregua a Limardi con le sue domande, è il microfono a inseguire la danzatrice attraverso lo spazio scenico, a toccarla, a tentare di infilarsi nelle parti più intime del suo corpo, a premerle sulla bocca, a farla inciampare, a sottometterla, a impiccarla.  

CI-KOREA
© Michele Tomaiuoli

Mentre la sala rimane ipnotizzata dalla verosimiglianza della relazione tossica con l’oggetto inanimato e dal ritmo sempre più incalzante delle domande, la performer dà inizio al suo rap. Annalisa Limardi sostiene la sua danza con le sue stesse rime e, senza fermarsi o rinunciare al conflitto che sta portando in scena, riacquista la parola: se non per dire quello che sa e che desidera, per chiarire almeno ciò di cui non è sicura e che non vuole

Crediti

Superstella

Di e con Vittorio Pagani
Aiuto alla drammaturgia Pietro Angelini
Disegno luci Stefano Moriondo
Produzione esecutiva Equilibrio Dinamico
Con il supporto dell’azione ResiDance del Network Anticorpi XL, con residenze artistiche presso Fondazione Armunia, Teatro Comunale di Vicenza e Lavanderia a Vapore

No

Di e con Annalisa Limardi
Sound design Saverology
Co-produzione Centro Servizi S.Chiara di Trento, AriaTeatro ETS e Pergine Festival
Occhio esterno Penelope Morout