Fondamentale senz’alcun dubbio, tanto nella fase teorica quanto in quella pratica della danza, è il rapporto strettissimo – nella maggior parte dei casi – con la musica, determinante nello scandire il ritmo necessario all’esecuzione e nel donare una “coloritura” ben precisa all’atmosfera sensoriale pensata dal coreografo. Ma non solo: in alcuni casi l’utilizzo della partitura musicale mette in moto una sequela di dinamiche corporee plasmate a mo’ di gioco, nel senso che l’attività coreutica intende raggiungere un obiettivo finale di divertimento piuttosto che di sforzo.
Alla base della forma mentis della coreografa belga Anne Teresa de Keersmaeker vi è proprio questo assunto, che da quasi quarant’anni ne ha suggellato il lavoro con il termine “minimalista”, in particolare per la frequente scelta di movimenti calibrati, secchi, quasi freddi e meccanici, senza ghirighori, senza sfarfallii. La carriera dell’artista originaria di Mechelen ha inizio allo scoccare degli anni ’80 con Asch, un’opera legata alla sua giovane formazione presso l’École Mudra di Maurice Béjart (1970-1988), luogo in cui la creazione fu partorita per poi essere messa in scena.
Solo 3 anni più tardi, però, si viene ad attuare il reale “concepimento” dello stile de Keersmaeker: viene fondata la compagnia Rosas – a tutt’oggi esistente e attiva – composta da quattro danzatrici, compresa la stessa fautrice, interpreti di Rosas danst Rosas. Il titolo non stimola alcun dubbio. Si tratta di un vero e proprio “biglietto da visita”, una forma di presentazione al mondo dell’arte e dello spettacolo innervata nel sano egocentrismo e nel desiderio di affermazione di una performatività unica ed eccezionale.
L’intera struttura danzata si divide in quattro parti, rappresentanti le tre fasi della giornata (notte, mattino e pomeriggio) e un’ennesima porzione di tempo dai margini indefiniti, in cui la cadenza musicale ben ritmata stride con l’iperattività e iper-espressività delle danzatrici, animate da un inarrestabile continuum di gestualità convulsive e movimenti ipercinetici. Una quarta “fetta” dell’opera che sembra, dunque, essere a se stante, quasi come creata deliberatamente per non uniformarsi alle altre tre più “routinarie”. E invece non è così: l’ultima sezione coreografica è integrata perfettamente a tutto il resto, in quanto ulteriore sfaccettatura del vero io della compagnia Rosas. La migliore interpretazione del titolo, a questo punto, sarebbe “noi danziamo noi stesse”, rendendo manifesta una voglia di raccontare di sé, del proprio pensiero, della propria identità artistica difficilmente imitabile.
Adriana Borriello, Fumiyo Ikeda, Michèle Anne De Mey e la stessa de Keersmaeker (cast originale) hanno narrato, danzando, chi sono, da dove provengono, qual è stata la loro formazione, il tutto seguendo una direzione interpretativa univoca, riuscendo a palesare l’eterogeneità identitaria del gruppo in una forma sincronizzata e a tratti persino militaresca.
Un successo clamoroso impossibile da non emulare e – addirittura – plagiare: la nota pop star Beyoncé Knowles, all’interno del videoclip del singolo Countdown, ha ripetuto interi pezzi della coreografia di Rosas danst Rosas, delle cui performer originali si è lasciata ispirare anche per quanto riguarda i costumi. La reazione di de Keersmaeker? Considerarsi elogiata più che plagiata, in virtù dell’apprezzamento dimostrato dalla cantante verso un’opera ben distante culturalmente dal contesto performativo del giorno d’oggi. Un esempio di umiltà – a mio avviso – da dover essere maggiormente imitato, rispetto alla mera sequenza coreografica.
Link utili
https://en.wikipedia.org/wiki/Anne_Teresa_De_Keersmaeker
Videografia
https://www.youtube.com/watch?v=oQCTbCcSxis [Rosas danst Rosas, 1983]
https://www.youtube.com/watch?v=PDT0m514TMw [Countdown vs Rosas danst Rosas, 2011]
Foto
Anne Teresa de Keersmaeker / Rosas danst Rosas
[embedyt] http://www.youtube.com/watch?v=oQCTbCcSxis[/embedyt]