AS-SAGGI DI DANZA #2 – Saburo Teshigawara

Dic 17, 2016

La peculiarità principale di ogni stile di danza contemporanea consiste nella precisa (e ogni volta diversa) fonte d’ispirazione, animatrice delle dinamiche coreografiche e delle suggestioni performative di ogni lavoro preso in considerazione. Può trattarsi di una storia già narrata, di un messaggio rivolto al futuro, di un’essenza i cui confini si dissolvono nell’infinito. L’impianto filosofico è, dunque, fondamentale, soprattutto se la “corrente” indagata soffia dall’Estremo Oriente.
È dal Giappone, infatti, che sopraggiunge l’arte di Saburo Teshigawara (classe 1953), molto difficile da circoscrivere nella dimensione della danza, della performance o – si potrebbe dire – della scultura, una terza supposizione dettata dalla formazione primigenia dell’artista nello studio delle arti plastiche. All’età di vent’anni intraprende le lezioni di danza classica della maestra Toshiko Saiga: da quel momento le tre suddette arti confluiscono in una sola e il suo desiderio di plasmare manualmente un’opera d’arte si amplifica in quello di fare dell’intero corpo una scultura, o – per meglio dire – il disegno di essa. Il corpo del performer nipponico diventa una linea inarrestabile che volteggia nell’aria a mo’ di ghirigoro, fendendo l’atmosfera con marcate distensioni degli arti in un’alternanza di slow motion e ipercinetica, retaggio marziale dell’imprinting culturale d’origine.

L’attività da coreografo ha inizio nel 1981, ufficializzata quattro anni dopo dalla nascita della sua compagnia, Karas, fondata insieme a Key Miyata, performer di eccelsa qualità tecnico-interpretativa. Sin dallo spettacolo d’esordio, The Pale Boy (1985), è palese l’influsso della danza butō, una disciplina giapponese al confine tra la dimensione tersicorea e quella attoriale, in cui lo spazio e il tempo glissano verso l’indefinito, lasciando che il corpo in scena proietti un’immagine dell’anima, che sprofondi nel buio più cupo dell’io per risorgere a entità sfumata dalla luce avvolgente.
Ogni sequenza gestuale si traduce in una scansione del tempo volutamente centellinata, quasi ad attendere che lo spettatore colga il messaggio fino in fondo, affinché la suggestione del momento si possa incanalare perfettamente tra i due fronti della scena performativa.

Emblematici a tal proposito sono due creazioni più recenti, Absolute zero (2005) e Miroku (2007), dove Teshigawara (nel primo caso insieme a Miyata, nel secondo caso da solo) figura sul palcoscenico come veicolo di una “presenza”, deformata dall’oscillazione del proprio corpo in ogni angolo dell’azione scenica.
Lo spettacolo è un vero e proprio duello fra luce e ombra, in cui l’artista tenta (invano) di far da paciere, sopperendo alla carenza di sfumature scenografiche chiaroscurali con una netta scelta costumistica: il look total black, “marchio di fabbrica” imperterrito della sua presenza scenica, rimarca la neutralità del suo essere, la pacatezza della sua indole, il mistero della sua espressione artistica. Here to Here (1995/2007) ne è un’ottima esemplificazione: i due fondatori della compagnia Karas e Rihoko Sato macchiano le pareti di luce diafana soverchianti con la loro entrata in scena, per poi spennellare di nero la “tela bianca” della scenografia attraverso movimenti ben intrecciati, fino a che Teshigawara spadroneggia sul palcoscenico con un assolo che lo vede scomporsi in una silhouette ombrosa, dovuta a una calibrata angolazione dell’impianto illuminotecnico. Il concreto lascia il posto all’effimero. La filosofia abbraccia la poesia. Non è, dunque, esagerato considerare Saburo Teshigawara uno tra i (pochi) più eccellenti coreografi contemporanei di fama mondiale.

Link utili
http://www.st-karas.com/
http://www.epidemic.net/en/art/teshigawara/index.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Saburo_Teshigawara 

Videografia

 
Foto
Saburo Teshigawara / Miroku © Bengt Wanselius
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