Il festival Sequence Danse, organizzato nella splendida cornice del centro per le arti del Centquatre – Paris, a nord della capitale francese, ha ospitato come ogni anno artisti e coreografi di caratura internazionale. Ritrovandomi a Parigi in quei giorni ho avuto la fortuna di vedere il lavoro di Emanuel Gat, in cui il coreografo israeliano ha portato la ricreazione di due spettacoli precedenti in una serata dal titolo Sacre/Gold.
Gold è un estratto del 2015 dal celebre spettacolo The Goldlanbergs (andato in scena in Italia in occasione del festival RomaEuropa 2013), con sei danzatori, sui temi delle Variazioni Goldberg di Bach eseguite da Glenn Gould e su The quiet in the land, un radio documentario creato dallo stesso Gould. Questo inserto vocale ci racconta di una comunità mennonita canadese, un gruppo religioso parte della chiesa anabattista che lotta contro le tensioni che si sono create durante il ventesimo secolo sulla loro collettività. I danzatori di Gat ci raccontano, in un disegno coreografico di grande respiro e non sempre di facile lettura, la complessità delle relazioni umane e l’estasi del sostenersi a vicenda.
Parlando di Gold, Emanuel mi racconta del carattere contemplativo del suo spettacolo: “Non cerca di illustrare la musica di Bach o spiegare il messaggio di Glenn Gould, ma si cerca di rendere l’osservazione delle persone e dei loro comportamenti”.
Sacre (2015) è una rivisitazione della pièce eponima del 2004, creata da Gat sulla partitura di Stravinsky di Sacre du primtemps. Una scelta ardita, in quanto i più grandi coreografi si sono cimentati in questa opera, sin dai Ballets Russes con Djaghilev nel 1913. Gat declina la musica vorticosa ed intricata di Stravinsky in una combinazione di salsa cubana, eseguita da lui stesso con altri 4 danzatori su un tappeto, ricreando una sorta di palco-nel-palco. In questa versione non si confronta con le monumentali declinazioni drammaturgiche che sono state fatte di questo balletto in tutto il Novecento, ma rimane a livello di ipnotico gioco virtuosistico. Emanuel Gat molto direttamente risolve ogni mio dubbio: “ho semplicemente ignorato tutto il contesto storico attorno al balletto, ho giocato con questa splendida partitura e cercato di fronteggiarla senza il peso del suo canonico ruolo nella storia della danza e della musica”.
Emanuel Gat, nato in Israele nel 1969, ha iniziato a studiare danza a 23 anni ma la sua propensione per la coreografia è stata quasi immediata: “Credo che il movimento, come forma di espressione e di pensiero, mi abbia sempre attirato. Non necessariamente nella sua forma artistica, ma solo come un modo di essere e di relazionarmi con il mondo. La danza e la coreografia semplicemente mi hanno dato lo sfogo per sentirmi bene e voglioso di impegnarmi”. Nella sua coreografia questa propensione alla creazione, priva di un lungo percorso come danzatore, è evidente non tanto nel disegno delle sequenze quanto nella capacità di bilanciare lo spazio, un regista che crea la partitura come una mappa nel quadrato del palcoscenico. I suoi danzatori sono non solo tecnicamente portati al limite delle proprie capacità, ma mantengono un’impronta personale senza perdere l’omogeneità nell’insieme del lavoro: Emanuel coglie questa impressione affermando: “Certamente cerco sempre di mantenere un equilibrio fra l’individualità dell’artista e nello stesso tempo di inserirlo in un sistema coerente di comunicazione e interazione. I processi e i metodi su cui lavoro cambiano ed evolvono sempre. Non sono mai necessariamente legati a una pièce specifica”.
Emanuel Gat lavora soprattutto in Europa, nonostante la sua formazione di origine, si è evoluto indipendentemente dal luogo in cui crea: “Poiché ufficialmente non ho mai studiato danza, ho sempre sentito il mio lavoro slegato a un luogo o a un contesto culturale. Cerco di comprendere le potenzialità del pensiero coreografico”
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Articolo di Adrea Zardi