#AnticipAzione: Aspettando Godot di Filippo Gili dal 24 Marzo al 2 Aprile

#AnticipAzione: Aspettando Godot di Filippo Gili dal 24 Marzo al 2 Aprile

A quasi un anno di distanza dall’ultima rappresentazione di “Zio Vanja” al Teatro Argot nell’ambito del progetto Sistema Cechov a cura di Uffici Teatrali il regista Filippo Gili torna sulla scena romana a dirigere portando nuovi slanci artistici agli scenari angusti delle rappresentazioni veteroteatrali dei classici della drammaturgia contemporanea con uno dei capisaldi della letteratura mondiale: quell’Aspettando Godot che Beckett scrisse tra il ’48 e il ’49 pur non avendo allora alcuna idea delle tendenze teatrali del tempo, ma considerando lo scrivere per il teatro un meraviglioso e liberatorio diversivo per distrarsi e riposarsi in una pausa di lavorazione alla Trilogia dei romanzi. Un testo rivoluzionario sia sul piano formale sia su quello concettuale che ha segnato le sorti della storia e della cultura antropologica ancor prima di quella teatrale rappresentando una cesura cartacea, lapidaria ma al contempo eterea, nell’immaginario contemporaneo fra ciò che è stato e ciò che ne sarà dell’umanità, di dio e del domani.

Così Filippo Gili, incontrato a ridosso del debutto, ha commentato il nuovo allestimento che avrà luogo presso lo Spazio Diamante dal 24 Marzo al 2 Aprile: “Se Beckett racconta la storia di vagabondi io invece ho cercato di limare questo aspetto perché un conto è rappresentare i vagabondi nel 1950 un altro è farlo oggi dando un vantaggio incredibile agli spettatori di ordine psico-classista. Intendo dire che oggi il contemporaneo post-ideologico tende molto nel suo correttismo buonista a inquadrare la classe inferiore all’interno di una valutazione sostanzialmente empatica, divertita, buffa e tenera ma sempre allineata nell’ambito dell’erranza e del vagabondismo – condizione ontologica di tutti quanti noi ormai disinnescati dalla nostra identità attraverso una una manipolazione tecnocratica che più che mai ci ha deindividualizzato. Da questo punto di vista la cosa che mi interessava è che il pubblico non avesse l’opportunità per mettere al personaggio una maschera distanziante ma trovasse in un’ambientazione non così diversificata e non così comodamente ruolistica, un gioco di ruolo per cui un meraviglioso clown, un barbone simpatico e divertente cui applaudo e che in fondo dice delle cose geniali resta un barbone; il fool che è la coscienza critica del re resta pur sempre un fool – il re lo usa perché è geniale perché in qualche modo è una specie di capro espiatorio, di esorcismo democratico. Ho cercato quindi una dimensione minima differenziale possibile da questa rappresentazione e quindi evitando anche una serie di didascalismi eccessivamente clowneristici mantenendo comunque fede al testo così come è scritto sia didascalicamente sia verbalmente però non per tutto. Ritengo che in Aspettando Godot l’ambientazione vagabondesca non sia una cosmesi fenomenologica ma sia una questione ontologica o noumenica: in tal senso c’era bisogno di levargli queste vesti e la cosa che ho immaginato era un post post-moderno, un magazzino di Trony o Euronics o un Apple Store del 2080 in disuso da 40 anni quindi un doppio futuro dove questi due antichi commessi uno più giovane e uno più anziano tornavano quotidianamente in quel luogo affetti da una sorta di orfanità della situazione perduta”.

Continua Gili in una parte dell’intervista che a breve pubblicheremo integralmente : “Come vagabondi erranti di un’identità che ci è sfuggita di mano completamente, un’identità che si confà giorno per giorno nella gioia dell’aggiornamento, nella chiave della miniaturizzazione dell’aspetto tecnologico, nel nostro sentirci fautori e vettori di questo progresso che in quanto concetto ormai infilatosi anche nelle classi più basse – rispetto a questo Pasolini urlava la sua tremenda e bellissima apostrofe – è quanto di meno ontologico ci possa essere.  L’immagine è quella di un Occidente decaduto dove si svela finalmente che il domani non esiste o che questo domani una volta inveratosi non ha lasciato niente. Un domani nudo anzi un domani invisibile. Il domani si è verificato perché un albero enorme per un colpo di vento è cascato su un magazzino l’ha distrutto; la tecnocrazia dell’Occidente è finita lasciando il posto a nulla. Questi due vecchi commessi tornano in questo luogo per una liturgia della tradizione biologica e biografica ma anche perché questo è il luogo da dove le promesse del domani, di un domani eternamente domani, non sono mai state mantenute. Aspettando Godot quindi anche per domandarsi perché il domani non è arrivato.Poi il gioco che faccio a pianta centrale è un’arma a doppio taglio che se non funziona è terribile però se funziona ti costringe a scivolare dentro la presentazione togliendo quel diaframma quarto parietale in qualche modo così identificativo del gioco del teatro ma così tremendamente coadiuvante con la capacità dello spettatore di eliminare il rischio della catarsi intesa nel senso più classico del termine”.

Giorgio Colangeli e Francesco Montanari nelle vesti di Vladimiro ed Estragone saranno affiancati da Riccardo De Filippis e Giancarlo Nicoletti che presteranno voce e corpo a Pozzo e Lucky per quello che si preannuncia uno degli eventi più significativi della stagione teatrale romana, da non perdere assolutamente.

 

 

Aspettando Godot

di Samuel Beckett – traduzione di Carlo Fruttero

con Giorgio Colangeli – Francesco Montanari – Riccardo De Filippis – Giancarlo Nicoletti

e con Pietro Marone

FOTO Luana Belli GRAFICA OverallsAdv
VIDEO David Melani SCENE Giulio Villaggio – Alessandra De Angelis
UFFICIO STAMPA Rocchina Ceglia DIRETTORE DI PRODUZIONE Sofia Grottoli
DISEGNO LUCI Daniele Manenti AIUTO REGIA Luca Di Capua – Luca Forte
DISTRIBUZIONE & PROMOZIONE Altra Scena Art Management
UNA PRODUZIONE Altra Scena Art Management e Viola Produzioni
per gentile concessione di Editions de Minuit

REGIA Filippo Gili

Spazio Diamante – Via Prenestina 230b – Roma

dal 24 Marzo al 02 Aprile 2017
Venerdì e Sabato 21.00 / Domenica 18.00
Info & Prenotazioni 06 – 80687231 / 393 – 0970018
Biglietti: Intero eur 20 + prevendita; ridotto eur 15 + prevendita

Otello di Controtempo Theatre – 12 e 13 Maggio a Palazzo Ferrajoli di Roma

Otello di Controtempo Theatre – 12 e 13 Maggio a Palazzo Ferrajoli di Roma

Il 12 ed il 13 maggio 2018, la Compagnia Controtempo Theatre porterà in scena “Otello” capolavoro di Shakespeare nelle incantevoli stanze di Palazzo Ferrajoli in Roma (Piazza Colonna, 355) – evento.

Tra combattimenti, disperazione e momenti di passione, il dramma del Moro rivivrà in una versione completamente innovativa e coinvolgente. Lo spettacolo, infatti, sarà “itinerante”: in questo senso il pubblico avrà l’opportunità di assistere alla rappresentazione immergendosi nella bellezza dei diversi ambienti della location e sentendosi parte integrante dell’opera.

La regia di Lilith Petillo e Pasquale Candela, tende a mettere in rilievo il punto di vista di Iago, la sua ardita opera di disfacimento e la crudeltà dell’animo umano.

Il cast è formato da giovani attori professionisti. Otello, alle prese con la sua irrefrenabile gelosia, sarà Dario Carbone. Iago, probabilmente uno dei personaggi più complessi degli scritti shakespeariani, astuto, malvagio e inverosimilmente folle, sarà interpretato da Venanzio Amoroso. A vestire i panni della bella e giovane Desdemona, invece, sarà l’attrice Paola Fiore Burgos. Cassio, fedele luogotenente del Moro, sarà Danilo Franti. Roderigo, follemente innamorato di Desdemona sarà interpretato invece da Marco Guglielmi; nel ruolo di Emilia, moglie di Iago, troveremo Lilith Petillo, mentre Montano, amico di Otello, sarà Massimiliano Cutrera.

Parliamo di “Otello” con Lilith Petillo, Danilo Franti e Venanzio Amoroso, fondatori della compagnia Controtempo Theatre, che descrivono il processo di ideazione e di sviluppo dell’opera analizzando le dinamiche artistiche e le implicazioni relazionali fra gli attori e il pubblico, attraverso la riscrittura scenica di un classico teatrale in versione itinerante.

Otello di Controtempo Theatre

Otello di Controtempo Theatre

 Il rapporto di Controtempo Theatre con il repertorio classico
Lilith Petillo, regista e attrice

Lilith Petillo, regista e attrice

Non è un caso che abbiamo scelto Shakespeare come autore d’esordio per la compagnia. Non scopriamo l’acqua calda ma Shakespeare è estremamente attuale rileggendo le opere del Bardo ti rendi conto di quanto sia sempre attinente alla realtà grazie a un linguaggio che, pur essendo diverso dal nostro, esprime concetti disarmanti mediante la voce di alcune figure femminili, interessanti casi di studio. In Otello ci sono sia Desdemona sia Emilia, quest’ultima è una donna forte portatrice di un femminismo che difende strenuamente – in questo senso è paradossale notare come all’epoca del Bardo, nel teatro Elisabettiano, i ruoli femminili fossero interpretati dagli uomini. Quindi com’è possibile che un personaggio come Emilia sia definito con caratteristiche così forti? Questo è uno dei motivi che ci ha spinto a scegliere di mettere in scena l’opera Shakespeare.

 

Danilo Franti

Danilo Franti

In Otello i rapporti tra i personaggi sono molto più lineari e attuali rispetto ad altre opere come Giulietta e Romeo dove vengono narrate situazioni e problematiche legate al contesto storico, ad esempio le diatribe fra le famiglie dei Montecchi e dei Capuleti. In Otello si parla di un esercito che possiamo trovare oggigiorno in qualsiasi situazione bellica. Si prenda la gelosia, l’invidia e nel caso di Iago anche la malvagità che porta una persona a ingannare gli altri per il suo profitto personale: questi sono gli aspetti emotivi e le caratteristiche psicologiche dei vari personaggi su cui lavoriamo. In questo senso la nostra visione dei fatti in Otello viene rappresentata artisticamente attraverso la prospettiva di Iago, personaggio invidioso e malvagio, del quale cerchiamo di mettere in risalto la condizione esistenziale universalizzando la sua umanità.

 

Venanzio Amoroso

Venanzio Amoroso

Quando abbiamo pensato di mettere in scena Otello, l’abbiamo collegato alla possibilità di portarlo in scena in castelli, in borghi e in altri luoghi di grande interesse storico-culturale. Quindi questo ci ha vincolato nella scelta della sua resa scenica. È certamente una riscrittura: abbiamo scelto di vedere tutta l’opera attraverso gli occhi di Iago che è un manipolatore, questa decisione deriva dalle location in cui mettiamo in scena lo spettacolo che ci permettono di restare fedeli all’Otello sia nei costumi sia nelle scelte stilistiche. Oggi nei vari settori della società civile di manipolatori è pieno, riscontriamo nella quotidianità tantissimi Iago che incontriamo durante la nostra vita. Questo è quello che viene apprezzato dal nostro pubblico pur non avendo noi marcato questo aspetto. Ecco perché Shakespeare, anche quando lo si porta in forma classica, è vincente. Noi andiamo a sviscerare, seppur in maniera leggera, l’opera permettendo allo spettatore di comprenderla. Questo è il miracolo di Shakespeare.

L’esigenza di adottare testi classici nasce nel momento in cui abbiamo capito che questi sono dei calderoni di meccanismi umani, di emozioni e di sentimenti che hanno un valore universale. Scegliere Otello e averlo reso scenicamente più fruibile ci ha consentito di negare il tabù della pesantezza del teatro classico anche per dimostrare che il teatro classico, e Shakespeare in particolare, possono essere compresi da tutti. La nostra riduzione cerca di mantenere l’opera originale facendo dei tagli legati alla fluidità e alla comprensione del testo per mantenere i rapporti e le emozioni presenti nell’opera. Non abbiamo la presunzione di pensare che alcune delle parti che ha scritto Shakespeare non servano, però abbiamo dovuto operare una riduzione senza però intaccare il significato dell’opera.

Otello di Controtempo Theatre

Otello di Controtempo Theatre

Genesi ed evoluzione dell’otello itinerante

La scelta di Otello nasce da qualche nottata di pensieri e di parole da parte di tutti e tre e arriva in un giorno caldissimo d’estate dopo esserci confrontati con Pasquale Candela che ha preso a cuore il progetto e firmato la regia con Lilith Petillo. Eravamo in un periodo critico della nostra vita artistica, sentivamo di essere invasi da una serie di sensazioni ed emozioni positive che però non riuscivamo a canalizzare non capendo quale fosse la direzione giusta da prendere. Dopo aver letto diversi testi drammatici, ci siamo trovati d’accordo su Otello perché il vissuto di ogni personaggio sembrava rispecchiare quello che stavamo vivendo in quel momento. Otello ci ha bloccati e ci ha fatto capire che forse dovevamo affrontarlo in modo più approfondito.

Rispetto allo sviluppo, avendo avuto l’opportunità di provare molto al Castello Lancellotti di Lauro, in questo spettacolo molte cose sono nate spontaneamente nel momento in cui abbiamo vissuto lo spazio. Tutto andava liscio, una volta entrati nel castello ci siamo resi conto che a destra c’era la casa di Brabanzio che è il padre di Desdemona; un grande arco con una porta dalla quale abbiamo immaginato Iago e Roderigo sbucare e nel giardino abbiamo riconosciuto il luogo dove far svolgere il matrimonio segreto fra Otello e Desdemona. Così il testo ha preso vita entrati nella location. Tutto ci diceva che lì si doveva mettere in scena Otello. Abbiamo fatto un sopralluogo a fine agosto 2016, a metà settembre abbiamo cominciato a lavorare con il cast e l’1 e il 2 Ottobre siamo andati in scena. Per questo primo appuntamento ci siamo serviti della professionalità di attori che hanno la nostra stessa forma mentis, infatti lavoravamo dalla mattina fino a tarda notte: una fucina di idee.

Da sempre sia stati abituati a svolgere diverse mansioni contemporaneamente: in quei giorni alcuni lavoravano su delle scene, altri montavano le luci o andavano a vedere i costumi. Di questo spettacolo in particolare ricordiamo un’atmosfera molto serena dove si respirava un’aria di creatività. Il lavoro con gli altri attori è stato molto interessante perché anche per noi era un primo esperimento di conduzione registica nonostante avessimo un po’ più di esperienza rispetto agli spettacoli itineranti grazie ai lavori precedenti che ci hanno visto protagonisti. Cercavamo di trasmettere agli attori quella che era la nostra idea, in un scambio artistico di dare e avere.

quali sono state le scelte stilistiche che caratterizzano lo spettacolo?

Abbiamo cercato di rappresentare un’opera itinerante dove gli attori sono sempre a stretto contatto con gli spettatori. Noi ci troviamo in sale o spazi all’aperto, con il pubblico in piedi a tre metri dall’attore. Un tale rapporto di vicinanza e di prossemica ci porta a dover recitare in maniera più naturalistica cercando di trasmettere tutti quei concetti che noi reputiamo importanti. Il personaggio di Iago, per scelte registiche, rompe la quarta parete in molti momenti, parla spesso col pubblico e lo trascina da un ambiente all’altro: l’esigenza di mobilitare gli spettatori deriva dalla volontà di introdurre pienamente il pubblico nello spettacolo.

In generale, l’elemento decisivo, al di là, della rottura della quarta parete, è che il pubblico si sente parte integrante della scena. Quando sei in teatro lo spettatore è seduto in poltrona mentre gli attori si esibiscono sul palcoscenico, ne consegue un distacco tangibile anche nel momento ipotetico in cui il performer si rivolge direttamente al pubblico. Nei nostri spettacoli non c’è mai questo distacco: addirittura succede che il pubblico passi accanto all’attore e lo tocchi. Ha l’esigenza di uno scambio comunicativo quindi di entrare in empatia con gli artisti. Siamo tutti sulla stessa barca, gli attori, i personaggi, l’autore e il pubblico: è come aprire un testo e immergervisi completamente. Anche il fatto di parlare al pubblico con le lacrime agli occhi oberati di tutto il tragico carico di Otello aumenta esponenzialmente la portata drammatica dell’opera.

Certamente la location è determinante in questo processo di immedesimazione ma anche la nostra attenzione al lavoro fisico all’interno attraverso le dinamiche di contatto fra combattimenti, schiaffi, baci, abbracci gioca un ruolo fondamentale in questa direzione. Una volta, al Castello di Torre Alfina, un posto molto bello dove siamo stati, giunti al momento del suicidio di Otello, dove è presente uno fra i monologhi più struggenti dell’opera, si creò talmente tanta empatia che una signora esclamò prima dell’atto finale: “No, Otello, non lo fare!”.

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Otello di William Shakespeare

Regia di Lilith Petillo e Pasquale Candela

Con sarà Dario Carbone, Venanzio Amoroso, Paola Fiore Burgos, Danilo Franti, Marco Guglielmi, Lilith Petillo, Massimiliano Cutrera.

La II edizione di Trame Contemporanee Festival di Nuova Drammaturgia

La II edizione di Trame Contemporanee Festival di Nuova Drammaturgia

Al via la seconda edizione di Trame Contemporanee Festival di Nuova Drammaturgia, dal 29 settembre al 21 novembre in Puglia nelle città di Bari e di Molfetta, che ospiterà oltre 20 eventi, tre residenze artistiche e un premio di drammaturgia presieduto da Davide Carnevali. Prodotto da Malalingua ETS, con la direzione artistica di Marco Grossi e Marianna de Pinto e la preziosa collaborazione di Carlo Bruni, il Festival conferma la vocazione a rendersi promotore e catalizzatore di nuova drammaturgia, con particolare riferimento alle declinazioni multidisciplinari e agli orizzonti di ricerca che mettono in dialogo linguaggi e ambiti eterogenei ma propri del nostro Tempo. La riflessione sul Tempo, e le sue molteplici declinazioni in ambito psicologico, sociale e metafisico, è stata il filo conduttore che ha guidato le scelte artistiche del Festival.

Tempo inteso come Presente, con tutte le implicazioni, le contraddizioni, i conflitti e i tragici fallimenti che si trovano a vivere e ad affrontare le donne e gli uomini della nostra epoca. È il caso della spietata e, purtroppo attualissima, analisi del rapporto vittima/carnefice, proposta da Licia Lanera in Con la carabina di Pauline Peyrade e dell’esilarante e originale reading Gola e altri pezzi brevi di Valerio Aprea su testi di Mattia Torre, con il suo irriverente ritratto dell’Italia e soprattutto degli italiani di oggi. Nel senso dell’indagine sul Tempo presente si muove anche Ludus Feedback, prodotto dal Centro nazionale di produzione per la Danza Res Extensa – Porta d’Oriente per la regia di Carmen De Sandi, che indaga la condizione dell’artista, sperimentando contaminazioni di linguaggi artistici e tecnologici.

Tempo inteso come Memoria, nel nuovo, intenso spettacolo di Saverio La RuinaVia del popolo, nella storia al femminile de La Rocca di Giustina per la lirica penna di Arianna Gambaccini o ne La festa d’Ognissanti, che sarà rappresentato a Bari in una particolare versione itinerante all’interno delle più belle chiese del borgo antico. Tempo che si fa attesa, nello splendido testo di Massimo Sgorbani Angelo della gravità per l’interpretazione di un eclettico e sorprendente Fabio Mascagni, ospite del Festival anche con la prima regionale di Se ci sei batti un colpo, per il testo di Letizia Russo e la regia di Laura Curino.

Tempo come Fine del tempo, morte o rinascita, nell’evocativo e appassionato lavoro di ricerca delle interpreti Nunzia Antonino, Rossana Farinati e Annarita De Michele, dal titolo Kampai! o dell’umana finitezza al suo debutto, per la regia di Carlo Bruni, o nell’intimo e personale A volte Maria a volte la pioggia, l’anteprima della nuova scrittura scenica di Daniele Parisi e nel surreale e brillante Esercizi di resurrezione, della giovane scoperta Lorenzo Guerrieri.

Il regista Silvio Peroni infine condurrà un primo studio del testo Old Fools del drammaturgo Tristan Bernays, in cui il tempo che attraversa la relazione di una coppia, porta in dote il tema del ricordo e della perdita della memoria.

Il particolare tema del rapporto tra l’individuo e l’universo lavorativo di oggi, avrà un focus che si svilupperà attraverso diverse proposte sceniche: è il caso dello studio Linkedi’m della compagnia under 35 Anomalia in collaborazione con l’autore Sal Modugno, che descrive un quadro di aspettative, sogni e delusioni dei giovani nel loro avvicinarsi al mondo del lavoro. Quest’ultimo è universo narrativo e ambito di ricerca della coproduzione Teatri di Bari– Malalingua Tre viaggi che, per la scrittura e regia di Marco Grossi, in collaborazione con il Club Imprese per la Cultura di Confindustria, provincie Bari e Bat, partendo da una storia vera, racconta una moderna versione di Davide e Golia, in chiave aziendale.

Queste le “Trame”, gli spettacoli, tutti di drammaturgia contemporanea, che andranno a comporre il ricco cartellone di questa edizione del Festival Trame Contemporanee 2023. Accanto alle Trame vi saranno poi gli “Accadimenti”, eventi dal carattere multidisciplinare che avranno lo scopo di approfondire l’indagine sul contemporaneo attraverso linguaggi artistici diversi, frutto di contaminazioni e ricerca innovativa, primi tra tutti il concerto della cantautrice canadese Skye Wallace, ospite del Festival grazie alla collaborazione del promoter musicale Ignazio De Stena, e l’evento VAJONTS23 – Azione corale di teatro civile per un progetto di Marco Paolini cui il Festival Trame Contemporanee aderisce con un reading a cura di William Volpicella.

Il giovane gruppo Tesla proporrà una serie di eventi, che alterneranno musica e visual art ospitando artisti come DJ Tuppi Gommapane. Ulteriori contaminazioni saranno date dalle esperienze di Teatro in azienda realizzate in collaborazione con le società Planetek Italia e Fincons Group e dal format interattivo Detective Club che esplora la multimedialità attraverso il genere del giallo.

Infine a chiudere il programma il reading e la premiazione finale della Prima edizione del Premio di drammaturgia Trame Contemporanee, che vede presidente di giuria il drammaturgo e regista Davide Carnevali.

Tutte le informazioni sul sito: http://www.associazionemalalingua.it/tramecontemporanee/

Valeria Told e la rivoluzione calma dell’INDA

Valeria Told e la rivoluzione calma dell’INDA

La 58° edizione delle rappresentazioni classiche del Teatro Greco di Siracusa è stata caratterizzata da un debutto molto importante avvenuto non in scena, ma nel quartier generale dell’INDA, nel cuore del centro storico, a Ortigia.
Valeria Told è stata nominata dal Ministero della Cultura, Gennaro Sangiuliano, sovrintendente dello storico Ente. Di lei si sa che ha ricoperto la stessa carica dirigenziale per undici anni presso la Fondazione Haydn di Bolzano e che è da sempre una grande appassionata dell’arte greca.

Dalle risposte alla nostra intervista emerge che, nascosto tra le pieghe della sua personalità forte, ma anche molto disponibile, si cela un animo riservato.
La presentazione dei registi della 59° stagione delle rappresentazioni classiche, in programma dal 10 maggio al 29 giugno 2024, è la prova di una scelta fatta con cura artigianale.

Luca Micheletti dirigerà Aiace di Sofocle nella traduzione di Walter Lapini. Paul Curran curerà la regia di Fedra (Ippolito portatore di corona) di Euripide nella traduzione di Nicola Crocetti e, infine, Leo Muscato sarà il regista della commedia Miles Gloriosus di Plauto nella traduzione di Caterina Mordeglia.

La prima domanda, lungi dall’essere irriverente…chi è Valeria Told?

Sono cresciuta in un contesto che fin da piccola ha stimolato la mia passione per lo spettacolo dal vivo, coltivata attraverso percorsi formativi legati alla danza, al teatro e al canto, ai quali si è aggiunto poi lo studio del flauto. Una volta concluso il mio percorso di studi universitari in Letterature comparate, Economia aziendale ed Economia politica, ho intrapreso la professione di manager culturale, continuando a coltivare così la mia passione per il teatro e la musica. 

La mia carriera è stata caratterizzata da una costante ricerca di innovazione e connessione tra tradizione e sperimentazione che mi ha portato a ricoprire incarichi di relatrice in varie conferenze internazionali e a creare una start up innovativa per sviluppare un progetto europeo di digital education. Sono guidata dalla passione per il patrimonio culturale e dalla volontà di creare esperienze significative per il pubblico, lavorando per il successo e la crescita delle istituzioni culturali che ho avuto il privilegio di servire.

Proviamo a dare uno sguardo al futuro prossimo. Quali saranno i suoi prossimi passi, come immagina l’INDA dal suo interno?

Guardando al futuro prossimo, vedo l’INDA continuare sulla strada della crescita. Mi impegno a portare avanti progetti che uniscano il valore intrinseco del dramma antico con l’audacia della sperimentazione contemporanea. Intendo consolidare le collaborazioni con altri teatri e istituzioni culturali nazionali e internazionali, creando una rete più ampia di scambi. Voglio sviluppare ulteriormente l’aspetto educativo, per continuare a coinvolgere i giovani nelle attività della Fondazione e promuovendo lo sviluppo di un percorso universitario all’interno della nostra Accademia d’Arte del Dramma Antico. 

Un altro obiettivo è ampliare il pubblico, coinvolgendo nuove fasce di spettatori attraverso un’offerta coinvolgente. Nel complesso, vedo l’INDA come un luogo di incontro tra tradizione e modernità, dove il patrimonio culturale è reinterpretato in modo fresco e stimolante, contribuendo al vibrante panorama culturale dell’isola e oltre.

Come pensa di coniugare la tradizione del classico con la necessaria innovazione, per venire incontro al mutato sentimento di un pubblico eterogeneo nella nostra epoca?

La coniugazione tra la tradizione del classico e l’innovazione rappresenta una sfida affascinante e cruciale per l’INDA. La mia visione è quella di preservare l’integrità del patrimonio classico, rispettando l’essenza delle opere e dei miti, ma al contempo riuscire a trasmetterli in modo rilevante e coinvolgente al pubblico contemporaneo. Questo può avvenire attraverso l’uso di linguaggi artistici diversi, dalla scenografia alla musica, dalla coreografia alla tecnologia. 

L’innovazione non deve essere fine a sé stessa, ma deve servire a far emergere nuovi strati di significato nelle opere, a creare connessioni tra il passato e il presente. È importante coinvolgere il pubblico in un dialogo stimolante, consentendo interpretazioni multiple e personali delle opere. Ciò richiede una programmazione variegata, che possa includere anche la collaborazione con artisti provenienti da diverse discipline e l’apertura a nuove forme di espressione artistica. L’obiettivo è trovare un equilibrio tra autenticità e innovazione, per offrire al pubblico esperienze teatrali coinvolgenti che risuonino con la sensibilità moderna.

In che modo, secondo lei, fuori e dentro il teatro, il “nuovo” è diverso dal “vecchio”?

Il concetto di “nuovo” e “vecchio” può essere interpretato in diversi modi a seconda del contesto e delle prospettive. Fuori dal teatro, il “nuovo” spesso rappresenta l’innovazione tecnologica, le tendenze culturali in evoluzione e le idee emergenti. È ciò che ci spinge a esplorare, sperimentare e adattarci alle mutevoli dinamiche della società. Dentro il teatro, il rapporto tra “nuovo” e “vecchio” può avere una dimensione più complessa. Il “vecchio” rappresenta il patrimonio culturale, le radici delle tradizioni artistiche, le opere classiche che sono state tramandate attraverso i secoli. Questi elementi costituiscono le fondamenta su cui si basa il mondo teatrale e ciò che ha formato il nostro linguaggio artistico. Tuttavia, il “nuovo” all’interno del teatro non lo considero come qualcosa che sostituisce il “vecchio”, ma piuttosto come un complemento e un’evoluzione. 

L’innovazione teatrale può nascere dalla fusione della tradizione con nuove idee e approcci, creando così nuove forme di espressione e nuove esperienze per il pubblico. Sia fuori che dentro il teatro, il “nuovo” e il “vecchio” sono in costante dialogo e interazione. La sfida è trovare il giusto equilibrio tra il rispetto per le radici e la voglia di sperimentare, per creare un continuum artistico che abbracci il passato e si proietti verso il futuro.

Il senso del teatro è l’appartenenza, la condivisione, il fare comunità tra le persone. Cambiano le direzioni, ma non cambiano i bisogni. Parafrasando il titolo del libro del regista tedesco Milo Rau: perché il teatro, oggi?

Milo Rau ci invita a riflettere sul significato continuo del teatro nel contesto attuale: Il teatro è sempre stato un luogo di incontro e condivisione, un punto di riferimento per la comunità in cui le persone si riuniscono per condividere esperienze, emozioni e riflessioni. Il teatro è ancora fondamentale oggi perché soddisfa quei bisogni umani profondi di appartenenza e connessione che sono sempre stati presenti nella nostra natura. 

In un mondo in continua trasformazione, in cui la tecnologia ha modificato in maniera significativa la nostra vita, il teatro continua a offrire qualcosa di unico e insostituibile. È uno spazio fisico e culturale dove le persone si riuniscono per assistere a rappresentazioni dal vivo, sperimentando una condivisione autentica e immediata, dove le storie possono essere raccontate. La magia del teatro sta nell’esperienza collettiva, nel respirare lo stesso spazio, nell’ascoltare le stesse parole, nel condividere emozioni palpabili.

Scambi, identità, riferimenti interculturali. Quanto è importante per lei connettere il mondo sperimentando spazi e/o linguaggi diversi?

La connessione tra mondi diversi e la sperimentazione di spazi e linguaggi differenti rappresentano una parte cruciale della mia missione artistica, poiché credo che il teatro abbia il potenziale per unire, ispirare e trasformare attraverso l’arte e la condivisione di storie che risuonano nell’anima umana. Credo che il teatro abbia il potere di superare le barriere culturali e linguistiche, creando ponti di comprensione e dialogo tra diverse realtà. Questo non solo arricchisce il panorama artistico, ma contribuisce anche a costruire una società, in cui le diversità sono celebrate e condivise anziché essere motivo di divisione.

Performance, musica, produzione letteraria e poetica teatrale sono forme diverse d’arte. Qual è la sua preferita?

È difficile per me scegliere una forma d’arte preferita, poiché ognuna di queste espressioni artistiche ha il suo fascino unico e la sua capacità di comunicare emozioni e concetti in modi diversi. Tuttavia, se dovessi identificare una preferenza personale, direi che la letteratura e la poetica teatrale hanno un posto speciale nel mio cuore perché consentono un’immensa libertà espressiva. Attraverso le parole, è possibile creare mondi, personaggi e narrazioni che possono ispirare profonde riflessioni e connessioni emotive con il pubblico. La scrittura teatrale permette di esplorare temi complessi e universali, di dare voce a diverse prospettive e di catturare l’essenza delle esperienze umane in modo profondo e coinvolgente.

Qual è la sua opinione sull’industria teatrale italiana? È possibile parlare del teatro o della cultura in generale come un’industria?

Il teatro è un luogo di espressione artistica e di riflessione critica con un valore intrinseco che va oltre il mero profitto. Allo stesso tempo, è anche un ambiente in cui si producono e mettono in scena spettacoli con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico e generare ricavi. Questa dualità crea un equilibrio delicato tra l’aspetto artistico e culturale e le esigenze economiche e logistiche dell’industria teatrale. Ritengo che sia possibile parlare del teatro e della cultura in generale come un’industria, ma con delle sfumature specifiche. Molti teatri e artisti dedicano tempo ed energie considerevoli per bilanciare questi aspetti, cercando di preservare l’integrità artistica mentre si cercano soluzioni per sostenere finanziariamente le produzioni e garantire la loro accessibilità al pubblico.

Riconosco nel panorama italiano la necessità di una maggiore professionalizzazione e di una visione strategica. Definire obiettivi chiari, creare piani di sviluppo e strategie a lungo termine può sicuramente contribuire a ottimizzare l’allocazione delle risorse e a prendere decisioni migliori. In questo modo, si può garantire una crescita sostenibile, preservando al contempo l’essenza creativa e culturale che la contraddistingue.

Lei ha dichiarato al suo insediamento che sono tre i pilastri sui quali si regge e può crescere una fondazione, ovvero, il rapporto con il pubblico, la sostenibilità economica e la trasformazione digitale. A tal proposito, cosa ha avuto modo di verificare sul campo?

Qui a Siracusa, il pubblico si dimostra fedele e profondamente appassionato delle rappresentazioni classiche. Questo costituisce un punto di partenza molto solido. Vogliamo nutrire questa relazione, offrendo proposte coinvolgenti, ma vogliamo anche incentivare il pubblico che viene al di fuori dei confini nazionali.

In merito alla sostenibilità economica, l’INDA gode di un solido sostegno, una condizione piuttosto rara tra i teatri europei. Mentre altrove i ricavi propri spesso si attestano intorno al 20% del budget, qui siamo in grado di raggiungere l’80%. Ciò ci pone in una situazione ottimale per garantire la massima qualità degli spettacoli e per abbracciare progressivamente anche le nuove tecnologie, ovvero la cosiddetta trasformazione digitale. Questa trasformazione può manifestarsi sul palcoscenico, ma può anche manifestarsi internamente all’ambito della Fondazione. L’integrazione di strumenti digitali nella promozione, nella vendita dei biglietti e nell’interazione con il pubblico può per esempio favorire un maggiore accesso al teatro.

Al termine della nostra intervista, vorrebbe condividere con i nostri lettori una riflessione su questi primi mesi come sovrintendente dell’Inda? Quali sono le sensazioni, le immagini, le esperienze e le persone che hanno caratterizzato l’inizio di questo suo percorso?

Certamente, con piacere. In questi primi mesi come Sovrintendente dell’INDA, ho avuto il privilegio di immergermi in un mondo ricco di creatività, passione e impegno. Ogni giorno mi trovo circondata da persone straordinarie: artisti, tecnici, collaboratori e appassionati del teatro, ognuno contribuendo con il proprio talento e dedizione al successo delle nostre produzioni e iniziative. Le sensazioni che ho provato sono state una miscela di emozione e responsabilità. Emozione nell’affrontare ogni sfida con la consapevolezza che il teatro è un luogo in cui le emozioni si svelano, si esprimono e si condividono. Responsabilità nel garantire che l’eredità del teatro classico sia rispettata e innovata. Le esperienze che ho vissuto finora mi hanno confermato che il teatro qui a Siracusa è un vero luogo di incontro, di scambio culturale e di arricchimento personale. E le persone che ho incontrato, mi hanno accolto con calore e condiviso la loro passione per il teatro. Sono specialmente grata per tutti i miei collaboratori all’INDA: loro sono il cuore pulsante dell’INDA e sono determinate a portare avanti la missione di creare spettacoli che ispirino, coinvolgano e lascino un segno nel mondo culturale.

Have a safe travel: nuovi itinerari fra le intercapedini della storia

Have a safe travel: nuovi itinerari fra le intercapedini della storia

Visto che i miei genitali sono di dominio pubblico 
ho reso private altre parti di me.
Nel mio silenzio io possiedo
bocca, laringe, cervello, in un solo
gesto. 
(The Venus Hottentot – Elizabeth Alexander)

Elizabeth Alexander nel 1990 scrive The Venus Hottentot, in cui dà voce in forma poetica a Saraah Bartman, la Venere Ottentotta esposta e studiata dai naturalisti nel 1800.
Dissezionato e conservato ogni parte del corpo di Baartman, diventa il punto di partenza per corroborare la tesi dell’alterità del corpo nero, costruendo quello che Edward Said, definisce una famiglia di idee, in modo da rendere un fenomeno estraneo prevedibile e controllabile, creando un archivio istituzionale di idee. 
Quale storia opporre a queste narrazioni precostituite? 

Ne hanno parlato Annalisa Sacchi, Adil Mauro e Bridget Ohabuche in un incontro dal titolo Saidiya Hartman: Parentele oceaniche e fabulazione critica. Al centro del discorso i passaggi salienti di Perdi tua madre di Saidya Hartman (trad. it. di V. Gennari, Tamu 2021), in cui l’autrice ricostruisce quelle che Annalisa Sacchi definisce, citando Carlo Levi,  microstorie

Hartman ricompone vicende dimenticate attraverso l’utilizzo della fiction, che si sostituisce ad uno studio archivistico istituzionale e violento, in cui le vicende del middle passage hanno uno spazio parziale e lacunoso e l’assenza di notizie diventa filologica, rendendo la  ricostruzione fittizia necessaria. «Ognuno mi raccontava una storia diversa su come gli schiavi avevano iniziato a dimenticare il loro passato, per spiegarlo si sussurravano parole come zombie, stregone, succubo e vampiro» racconta Saidyia Hartman. La narrazione diasporica si nutre così delle intercapedini, ricostruisce le giunture e gli spazi morti di una storia cancellata. 

Eli Mathieu Bustos con Have a safe travel, scrive il suo capitolo di questa storia attraverso la sua versione espressionista di teatro documentario. Al centro dello spettacolo il racconto di un viaggio in treno in cui il performer viene fermato e perquisito dalla polizia. L’intreccio si dipana con la precisione della testimonianza e la convulsione della vittima, un discorso indiretto libero che espone in ordine e senza sconti ogni frammento di questa storia. Come il contenuto della borsa di Eli, l’accaduto è esposto su un tavolino del treno: le mutande, i documenti, un libro: una scomposizione forzata che porta a una nuova forma violata e traumatica. «Non vorrei che tu capissi, vorrei che tu sentissi» dice l’interprete nelle note di intenzione a questo lavoro, utilizzando la formula j’envie de, che ha in sé il campo semantico dell’invidia, della volontà, che in questo caso diventano  incontrollabili, impulsive e centrifughe. 

Have a safe travel
Ph Victoriano Moreno

I movimenti in scena sono convulsi, illuminati e nascosti da un disegno luci cadenzato, attraverso cui ogni azione restituisce gesti evanescenti, talmente veloci da diventare sfumature di colore. Il racconto semplice e lineare, presenta una situazione ormai archetipica, un canovaccio di improvvisazione che esplode nelle mani del protagonista: la persona non bianca fermata e inquisita con violenza da un gruppo di poliziotti, senza un motivo apparente. Questa ispezione casuale si chiude con l’epigramma che dà il titolo allo spettacolo: have a safe travel, pronunciato in un’inglese approssimativo e sgrammaticato. 

A veicolare la storia è il corpo di chi racconta. Un corpo nero, coperto solo da un pantaloncino sportivo che si scuote su un palco spoglio, ricostruendo il ritmo della storia con un andamento sinusoidale: l’eccitazione del viaggio, la presa di coscienza della perquisizione coatta, il terrore post traumatico dell’esperienza. Tutto procede con l’andamento delle rotaie del treno, lento e poi più veloce, di nuovo lento ancora, fino all’arresto totale. In questa performance di Eli Mathieu Bustos nulla è fisso o carpibile, se non le quattro parole che campeggiano sui sovratitoli sopra la sua testa. come un epitaffio su una lapide. 

Link utili per approfondire: 

https://www.poetryfoundation.org/poems/52111/the-venus-hottentot
https://theconversation.com/orientalism-edward-saids-groundbreaking-book-explained-197429
https://www.labalenabianca.com/2022/02/11/perdi-la-madre-saidiya-hartman-recensione/

Teatro d’aMare, a Tropea, è la casa del contemporaneo

Teatro d’aMare, a Tropea, è la casa del contemporaneo

Ai luoghi del Festival Teatro d’aMare si accede percorrendo a piedi dalla stazione ferroviaria una lunga strada in discesa, “a calata”, che si immette nel corso centrale lungo e stretto. Tra i negozi con le celebri cipolle rosse esposte e l’artigianato locale, tra i bar e i ristoranti, si mescolano e si confondono i suoni, i rumori, gli accenti di diverse provenienze geografiche con l’odore pregnante di fritture e grigliate di pesce. E poi, finalmente, si intravede via Glorizio, ripida e nascosta, alla cui sommità, superati altri ristoranti che diffondono una delicata musica di sottofondo jazz, si trova il palazzo del Museo Diocesano. L’atmosfera è rarefatta, bastano pochi passi in salita e ci si allontana dalla folla festante. Si entra in un’altra dimensione e chi si dirige là, non ci finisce per caso.

Tropea è fatta così: le discese e i tratti in salita, le luci soffuse dei vicoli e quelle sfolgoranti delle illuminazioni delle feste patronali, il silenzio e la vivacità, l’opulenza e la decadenza. Il luogo dove ogni forma è un’armonia di contrasti che ricordano e raccontano le storie di vite vissute tra speranze e sogni. Tra partenze e ritorni. Anche per me si tratta di un ritorno e la città è bella così come la ricordavo.
Sette sono gli anni trascorsi dall’ultima volta che sono stato lì nonché le edizioni del Festival Teatro d’aMare. Arrivo trafelato ma felice, un po’ in ritardo per l’opening Redreading #13 – Un giorno bianco (Esercizi sull’abitare), di e con Bartolini/Baronio

Saluto rapidamente Francesco Carchidi che condivide l’amore per il teatro, la direzione artistica di Teatro d’aMare e il fecondo universo dei sentimenti con Maria Grazia Teramo. La prima serata è un rituale collettivo come il teatro. E il teatro è casa, è giardino di desiderio. È un “giardino in movimento”, per dirla con le parole di Gilles Clément (paesaggista, ingegnere agronomo, botanico ed entomologo), da La Vallée al giardino planetario. È comunità, fratellanza, è il bello che chiama il bello, è la prima pietra che viene posata là dove si è deciso di costruire, è l’educazione all’ascolto, allo sguardo attento, affinché si possa rinvenire ciò che nel mondo è invisibile e fondamentale. 

Tamara Bartolini incanta e appassiona con le parole, come una pittrice usa i colori delle storie che vivono due volte attraverso la sua voce, i filmati, le fotografie e le registrazioni. Michele Baronio aumenta le suggestioni con una devota selezione musicale. «Ovunque andrai è lì che sarai» recita un proverbio amish. Con Michele e Tamara, dal vivo e non, ci sono anche Luigi Giffone, Domenica e Francesca Mamone, Ludovica Franzè con la sua testimonianza sulla “restanza”. 

Ci sono i giovani musicisti e le persone che i due artisti hanno incontrato lungo il cammino e le strade di Tropea, c’è il vino rosso e il mare azzurro, ci sono impronte, tracce manifeste e nascoste, ci sono vite segnate dalla nascita, dalla morte e dalla rinascita, ci sono le lacrime di Maria Grazia Teramo che, commossa, sale sul palco per ringraziare. «Ma dove le avete trovate le nostre vecchie foto?» chiede visibilmente emozionata. È il mestiere, sono i segreti dei teatranti. Redreading #13 è un viaggio che parte da Napoli e arriva a Riace. Un viaggio che è fatto di tante finestre che si aprono. È l’attenzione e la cura in ogni saluto, in ogni abbraccio, in ogni promessa fatta a voce da Tamara Bartolini: «Noi partiamo domani, ma prima faremo colazione insieme».

L’allegria che si respira per le strade, di sabato sera, a Tropea, non è molto diversa da quella del venerdì. L’appuntamento con Francesco Carchidi è al giardino del Museo Diocesano, per fare due chiacchiere e scambiarci un po’ di informazioni. Per esempio l’iniziativa del giorno dopo, con i ragazzi del laboratorio “Mi ricogghiu (ritirarsi, ritornare a casa)”, una restituzione dopo tre giorni di ricerca, confronti e condivisioni sulla “restanza”. Il tema è quello sul quale Ludovica Franzè ha incentrato la sua testimonianza, la sera precedente, durante il Redreading di Bartolini/Baronio, traendo ispirazione dall’opera omonima dell’antropologo Vito Teti. “Restanza” è quella condizione umana a metà tra il sentirsi ancorati e disorientati in un luogo da salvaguardare e rinnovare.

Mentre aspetto, ne approfitto per fare due chiacchiere con Marilena Polito, la quale si occupa della direzione organizzativa di Teatro d’aMare. La mia curiosità è catturata dal viavai di tante signore che non sono lì per il Festival; si dirigono con fretta da qualche altra parte, oltre la curva in discesa. Là dietro si trova il secondo accesso di una chiesa e quelle signore impettite vanno ad ascoltare la messa e a recitare la novena in onore della Madonna di Romania. La Madonna venuta dal mare, in una nave, durante una tempesta. Al vescovo dell’epoca chiese in sogno di rimanere lì, diventando la Patrona della città. Marilena mi racconta che molte ragazze del luogo si chiamano Romina, Romana o Romania, per devozione. Un tempo Tropea veniva invasa dai fedeli che, in occasione dell’anniversario dell’incoronazione del 9 settembre, erano ospiti a pagamento nelle abitazioni private di famiglie che offrivano una o più camere. L’ospitalità del luogo è rimasta, anche se ha assunto modalità diverse nel corso dei decenni.

Il tempo scorre, i pensieri vagano, decido di ritornare a sedermi su quella che è diventata la mia postazione ufficiale, un nero case del servizio audio-luci. All’improvviso arrivano, provenienti da Melfi, la tappa di viaggio intermedia per “spezzare il sistema nervoso”, Paola Vannoni e Roberto Scappin, i Quotidiana.com e, quasi in contemporanea, Francesco e Maria Grazia. Ci salutiamo affettuosamente e ci abbracciamo. Ci sentiamo tutti a casa. Il dialogo è lieve, ironico e gradevole; scorre tra tutti noi quella che Scappin definisce una “serena buona educazione empatica”. 

È già ora del primo spettacolo, Mio Padre non è ancora nato, il secondo capitolo di una trilogia sui legami familiari, scritta a quattro mani, di e con Caroline Baglioni, con la regia di Michelangelo Bellani. Una composizione per voce sola che è anche un dialogo sordo tra una figlia e un padre assente in scena. Un uomo di sessant’anni che ha avuto un’amnesia temporanea e che ha deciso di andare a vivere in un camper. Sette sono stati gli anni di un’assenza da decodificare e comprendere: «Quando lo guardo non è che provo disagio, è una specie di rabbia, sottile, appoggiata su un cuscino». Nonostante tutto lei prova dell’affetto per lui, ma forse perché è qualcosa che qualcuno le ha detto, qualcosa che deve essere fatta. Forse dovrebbe essere un sentimento viscerale. Quella figlia non sa cosa prova per suo padre, forse non lo conosce, anche se sa chi è lui. 

Nel rapporto con il proprio padre è facile perdersi nelle distonie, nelle asimmetrie, nelle proporzioni imprecise di un quadro metaforico, tra un “piccolo muro di roccia” e un “piccolo rametto di felce” che spunta fuori a catturare l’attenzione, come a voler squarciare quella tela. «Ma perché se la montagna è più grande io non posso fare a meno di guardare la felce? Perché non importa la grandezza, importa la vicinanza».

Al termine del primo spettacolo, approfittando di una pausa, io e i Quotidiana.com ci dirigiamo verso un chiosco il cui nome, “La piccola fame”, cattura la nostra attenzione. Prima però incontriamo Mariano Dammacco e Serena Balivo, protagonisti del secondo spettacolo della serata di sabato. A bruciapelo, Mariano mi chiede: «Anche la tua vita è funestata dal teatro?». La risposta immediata di Roberto Scappin è inequivocabile: «Funestatissima».
«Accanto ai festival storici – mi racconta Dammacco –  c’è un fiorire di nuove esperienze, festival alle loro prime edizioni, spesso frutto della volontà di teatranti o compagnie. In alcuni casi si tratta di festival con poche risorse economiche. Ciononostante, il teatro accade. E sempre si riparte per tornare a casa con un senso di “pienezza”».   

A Tropea, Mariano e Serena sono presenti per la terza volta per completare, secondo il desiderio e la strategia di Maria Grazia Teramo e Francesco Carchidi, la Trilogia della fine del mondo. Dopo L’inferno e la fanciulla ed Esilio, questa volta portano in scena La buona educazione. «È il segno di un’affezione reciproca» confessa Dammacco, ricordando l’incontro con Francesco Carchidi e sua sorella Antonella a Primavera dei teatri, nel 2019, nell’ambito del progetto Finestre, ai laboratori di drammaturgia e sul lavoro degli attori. L’incontro successivo fu quello con Maria Grazia Teramo che Mariano definisce come una «figura esperta di prezioso presidio culturale del territorio attraverso le pratiche di teatro».

«Eccola la comunità teatrale, ecco le relazioni tra persone, lo scegliersi reciprocamente – ribadisce Dammacco. Non vedevo Francesco da prima della pandemia, il ragazzo ha lasciato spazio a un giovane uomo che parla con pacatezza e humor agli spettatori del festival tra un evento e l’altro, segue di persona ogni aspetto organizzativo e logistico e si prende cura dei suoi numerosi ospiti. Maria Grazia risolve grane e mi marca a uomo per essere sicura che io sia soddisfatto dell’allestimento tecnico». Di questa comunità teatrale fanno anche parte Enzo Matarozzo, il titolare del service che fornisce le strumentazioni audio e luci al festival, Daniele Zagari, colui che si è preso cura dell’allestimento scenico, Nunzia Schiariti che fa da padrona di casa nel palazzo del Museo Diocesano, dove una sala della biblioteca è stata allestita a spazio teatrale.  

Lo spettacolo La buona educazione scorre fluido, in bilico tra l’assurdo della realtà e l’incanto, la poesia, gli straniamenti di cui è capace, nella sua prova di attrice, Serena Balivo. La “pienezza”, di cui mi parla Mariano Dammacco arriva puntuale, come testimoniano le sue parole del giorno dopo: «È domenica mattina e Serena ed io partiamo in macchina per un viaggio di mille e dieci chilometri, Tropea-Modena, ma l’umore è dei migliori. Guido, ascoltiamo musica e mi tornano alla mente tutti i momenti, tutti gli incontri, le persone, tutti i volti, tutti gli altri teatranti con le loro storie, li riassaporo in mente e sento di essere parte di una comunità, quella del Teatro. E così il viaggio, lungo, faticoso e pieno di traffico, si fa lieve».

Il terzo ed ultimo giorno del Festival inizia presto, alle 16 al Sedile dei Nobili, sede della Pro Loco e di uffici di rappresentanza del Comune. È domenica e fa caldo. Lì conosco Ludovica Franzé, Sebastiano Sicurezza e i ragazzi del laboratorio. Ognuno di loro ha un uovo, simbolo del Festival, un segreto/desiderio da custodire e proteggere, un’urgenza. Conosco anche Mariateresa Surianello che è al Festival per presentare il libro Uno strappo nella rete. Faremo una camminata tutti insieme, sostando in luoghi del cuore e della mente. Attraverseremo il paesaggio urbano osservando e ascoltando, nella modalità del laboratorio, mediante soste, dibattiti, ricerche e rielaborazioni.

Dammi un attimo è il primo spettacolo della serata conclusiva del Festival, firmato da Aiello/Greco e prodotto da Teatro Rossosimona. Parla dei modelli e delle relazioni sociali di una generazione che ha assorbito il sistema e le trasformazioni culturali del precariato. Il sodalizio tra Francesco Aiello e Mariasilvia Greco, originari entrambi di Cosenza, nasce all’interno del Festival Scritture, nel 2019, curato da Lucia Calamaro e conclusosi al teatro India di Roma. 

«Da lì è partita l’idea di scrivere un testo a quattro mani – racconta Francesco Aiello. Dammi un attimo è una creatura che ci è costata molta fatica, ma che ci ha regalato molti momenti di gioia e soddisfazione. Io mi sento parte di Teatro d’aMare fin dai suoi esordi e ogni anno, d’estate, passo da Tropea con lavori presenti nella programmazione ma anche solo in veste di spettatore. E più volte ho approfittato dell’ospitalità di Francesco e Maria Grazia che mi hanno offerto un letto per permettermi di rimanere a Tropea e vedere spettacoli che difficilmente avrei potuto recuperare a queste latitudini. 

Credo che un contenitore come questo sia diventato un luogo prezioso per il teatro di ricerca, per compagnie e artisti che si interrogano su temi e forme. Esperienze del genere devono essere difese e protette e – vorrei evitare i soliti piagnistei sulla Calabria, terra disgraziata, ma sono consapevole che il rischio è alto –  nella nostra regione le programmazioni che riescono ad avere proposte e luoghi di confronto sono sempre di meno».

La scelta di concludere la rassegna con lo spettacolo dei Quotidiana.com, Io muoio e tu mangi risulta emblematico. Si finisce in bellezza parlando di morte. Morire e mangiare sono o non solo le due facce d’una stessa medaglia? Si usa l’espressione “morire di fame”, ma “Mangjâ e murî”, ovvero mangiare e morire, è un detto friulano che si usa per dire che una pietanza è davvero buona. Talmente buona che, dopo averla mangiata, si può lasciare questo mondo in pace. «Io muoio e tu mangi» nel caso dei Quotidiana.com è la frase che il genitore rivolge al figlio che smette di mangiare per accorrere al suo capezzale. La singolarità di Paola Vannoni e Roberto Scappin è che loro sono così anche nella vita: mordaci, pungenti, intelligenti, ironici in pensieri, parole e opere. Vederli fare in scena un uso sapiente di giochi di parole e tempi comici fatti di pause, accelerazioni, gesti, ripetizioni e vederli ordinare un panino è un’esperienza unica, un piacere simultaneo e multiplo. 

All’apparenza la loro scrittura, l’eloquio può sembrare surreale; di fatto però viene nutrita dal reale. I racconti ospedalieri, i pannoloni, gli schizzi di catarro. Nuclei di realtà che attivano reazioni diverse. Perché rido, perché ridiamo – per esempio – quando non c’è nulla da ridere? Vannoni e Scappin non hanno come obiettivo né quello di far ridere, né quello di far piangere. Catturano l’attenzione del pubblico, senza mollare mai la presa. Si mettono in sordina. Si ovattano. Nei loro testi c’è violenza ed energia in parti uguali. I loro gesti sono volutamente compressi. 

E, alla fine, riescono a mettere lo spettatore di fronte all’incapacità di dare un senso alla vita, nella ripetizione dei suoi fatti. Harold Rosenberg, in alcune pagine molto belle de La Tradizione del nuovo, ha evidenziato che gli attori creano quando si identificano con delle figure del passato. E, in questo senso, la storia è un teatro: «…La loro azione fu la ripetizione automatica di un vecchio ruolo… È la crisi rivoluzionaria, l’impulso a creare qualcosa che non è mai esistito che spinge la storia ad ammantarsi nel mito». 

E così, quando finisce e si conclude la settima edizione del Festival Teatro d’aMare a Tropea, sulla Costa degli Dei, qualcosa che è realmente esistito c’è. È un albero che fa da cornice nello spazio scenico del giardino del Museo Diocesano. Una parte è secca, la parte rimanente ha le foglie verdi. «Mezzo vivo e mezzo morto –  mi fa notare Roberto Scappin – come il teatro».

Conversazione con Claudio Collovà: il suono de La terra desolata

Conversazione con Claudio Collovà: il suono de La terra desolata

Articolo a cura di Francesca Lupo

Entrare in un giardino o in un parco cittadino dà l’impressione di compiere un lunghissimo viaggio in pochi secondi da una parte all’altra del pianeta cambiando radicalmente odori, colori, percezioni. Il traffico e l’asfalto scompaiono e sembra impossibile immaginare che oltre gli alberi la vita metropolitana continui a svolgersi tranquillamente. Il palcoscenico montato all’interno dell’Orto Botanico di Palermo è avvolto dalla vegetazione e dal buio di una fresca sera di settembre e a contrastare il vocio prima che lo spettacolo inizi ci sono solo le cicale. Il 2 settembre la programmazione della seconda edizione del Metamorphosis Festival, diretta da Sabino Civilleri, ospita The Waste Land and Other Poems – Ciò che vide Tiresia, uno spettacolo firmato dalla regia di Claudio Collovà. In scena lo stesso regista interpreta i versi del poeta americano accompagnato dalla musica de La Banda di Palermo, dalla pianista Ornella Cerniglia e dal compositore Giuseppe Rizzo, che si esibisce in live electronics.

La Banda (in questa replica composta da Giacco Pojero, fisarmonica e voce, e Nino Vetri, sassofono e voce, insieme a Marco Monterosso alla chitarra elettrica, Simone Sfameli alla batteria e Luca La Russa al basso) fa il suo lento ingresso in scena insieme a Collovà e alla pianista. È lei ad aprire lo spettacolo sulle note dei Notturni di Chopin, che trasportano lo spettatore, stregato dalla soave malinconia delle note, in un’atmosfera concertistica. Collovà inizia a recitare a memoria i versi dell’intero poema (e di altre due poesie, in apertura Ritratto di signora e nell’epilogo The Hollow Men) in duetto con il live electronics di Rizzo. Cerniglia e La Banda di Palermo sono sempre in scena, con lo sguardo rivolto al regista, in attesa del segnale in cui dovranno inserirsi. E anche il pubblico aspetta trepidante finché suonano il loro primo brano, April. I musicisti vengono interpellati in determinati momenti del flusso travolgente dei versi, come se interpretassero i desolati personaggi del poema. È difficile rimanere seduti mentre le loro sonorità coinvolgono il pubblico, il quale sussurra i testi a memoria, tiene il ritmo mentre una dopo l’altra le sette melodie intonate fanno capolino durante la performance. C’è chi chiude gli occhi per immaginare meglio gli odori, l’acqua, le rocce, il pub, gli uomini vuoti che la voce e gli strumenti in scena raccontano. Eliot scriveva di come il mondo si palesava ai suoi occhi dopo il primo conflitto mondiale e le sue primaverili parole apocalittiche sono purtroppo molto vivide anche in questa sera di settembre. Ecco che i toni cupi dei versi sembrano neutralizzarsi alla fine dello spettacolo/concerto: tra l’ultimo brano de La Banda e quello di Cerniglia al pianoforte, Collovà riprende fiato dalla lunga interpretazione e si alza dalla sedia. Si avvicina a Pojero alla sua sinistra, si guardano e sorridono, fa lo stesso con Cerniglia. Un’ultima l’intesa tra esseri umani tutt’altro che vuoti, bensì commossi da un lungo lavoro.

The Waste Land and Other Poems aveva precedentemente debuttato il 9 agosto al Segesta Teatro Festival, ma non è la prima volta che il celebre poema di Thomas Stearns Eliot, edito nel 1922, è oggetto delle attenzioni degli artisti. Collovà racconta di un lungo rapporto con il poema, che si traduce in spettacolo teatrale per la prima volta nel 2001 al Teatro Bellini di Palermo: una decina di attori traducono in azioni le suggestioni provocate dai versi che raccontano la terra desolata intorno a loro e dentro se stessi. Anche in questa prima edizione tra gli interpreti si scorgono Pojero e Vetri, che allora avevano già incuriosito lo sguardo registico di Collovà. Sono numerosi i grandi autori della letteratura mondiale che attraversano la sua produzione, da Kafka a Büchner, da Shakespeare a Eliot appunto e le loro parole, la loro presenza nel teatro di Collovà non smettono mai di riecheggiare. La replica del 2 settembre 2023, racconta, «non è una evoluzione dello spettacolo ma una forma diversa del mio lavoro su Eliot e su La terra desolata. Le connessioni sono tante ma la forma è completamente diversa; non sono evoluzioni l’una dell’altra ma sono forme diverse perché diverso è comunque il contatto con questo poema». È proprio del regista tenere uno spiraglio sempre aperto nei confronti dei materiali di riferimento, che siano autori interi o singole opere, alimentando una riflessione che non può mai esaurirsi: «Mi piace molto tornare sulle cose che ho sviluppato in passato, che sono costate tanta fatica. Non sono spettacoli che vengono consumati per me: magari vengono consumati per il mercato ma per me rimangono sempre fonti importanti di ritorni, di lavoro, di revisione. Mi piace lavorare così più che passare da uno spettacolo ad un altro».

La musica è un linguaggio che ha sempre accompagnato lo studio sul poema di Eliot. Nella prima “forma” del 2001 Pojero e Vetri erano gli unici musicisti («ad un certo punto si accendeva una luminaria dove c’era scritto “The Waste Band”»). Successivamente è stato coinvolto il resto del gruppo tanto che i primi dischi da loro pubblicati raccolgono molti brani scritti appositamente per le piéces. È difficile dopo tanti anni di collaborazione discernere la genesi, il pensiero originario di un’idea, di una canzone, tanto che gli stessi versi di Eliot sembrano legati a doppio filo con le note de La Banda di Palermo. Tra Collovà, Pojero e Vetri intercorre «una grandissima complicità umana. Abbiamo fatto tanti viaggi insieme, abbiamo lavorato su una quindicina di titoli teatrali. Poi ci siamo anche un po’ persi di vista nel senso che io ho intrapreso una strada diversa, loro hanno viaggiato. Siamo felici di esserci ritrovati». Il trasformismo dei due musicisti è innato come la loro creatività, in grado di donare ai personaggi una profonda sincerità. La teatralità si scorge anche durante i loro concerti, nelle immagini che creano con le loro sonorità, nelle numerose lingue in cui compongono i testi, nell’alternarsi di voci acute e gutturali, buffe e spaventose. «Io penso che le nostre espressioni artistiche siano sempre in movimento, non siamo molto fossilizzati in una espressione che si ripete».

La collaborazione con Giuseppe Rizzo va avanti da quasi sei anni, in maniera continuativa in tutte le sue ultime produzioni. «Lavora su dei paesaggi sonori che non sono paesaggi descrittivi, ma che hanno a che fare con le sensazioni o le necessità di tempi musicali che esprimono sempre comunque un sentimento: qualcosa di cui tu senti la necessità che avvenga al di là della parola, sotto la parola, accanto alla parola, in modo che favorisca anche il lavoro sulla parola». Quello di Rizzo e Collovà durante lo spettacolo è un vero e proprio duetto, un montaggio istantaneo di live electronics e di voce, sonoro e di senso. «Nello spettacolo Giuseppe suona con me perché lui è sempre con me [..]. Quando io parlo entra in gioco Giuseppe e spesso mi costruisce il passaggio sonoro sul quale pronunciare quelle parole». La composizione di Rizzo è frutto di un continuo confronto con Collovà sulle immagini e le suggestioni che ad entrambi evocano i versi del poema, delineando sì dei precisi momenti in cui accordarsi ma senza imbrigliare l’interpretazione dal vivo in una esecuzione sempre uguale ad ogni replica. I suoni di Rizzo «influiscono su di me e sul modo in cui io decido di recitare, siamo insieme».

Anche Ornella Cerniglia ha già collaborato ad altri precedenti studi su The Waste Land. Segue al pianoforte gli arrangiamenti di alcuni brani de La Banda di Palermo, ma ha anche molti momenti solisti. Chopin è dichiaratamente citato da Eliot nel suo poema, per questo vengono inserite le esecuzioni di alcuni Notturni in momenti salienti dell’interpretazione di Collovà. Il pianoforte «ha una funzione quasi asettica, pulitrice, come se tutto il chiasso delle parole, delle immagini, tutto il frastuono della musica ad un certo punto si chetasse in questo suono. Nel caso di Chopin sono brani che hanno sempre a che fare con la malinconia, con il mondo perduto, con qualcosa che non c’è più, con la nostalgia, con la rabbia rispetto alla nostalgia».

The Waste Land di Eliot è indubbiamente un’opera complessa, composita, ricca di riferimenti spesso difficili da cogliere. Un susseguirsi di immagini mitiche, letterarie, numerose stratificazioni di senso da interpretare. La voce di Collovà è una delle vie possibili da percorrere verso il poema. «A volte lasciare allo spettatore la possibilità di immaginare senza vedere ha una forza che se non è superiore è almeno pari a quando fai vedere le immagini. [..] Non c’è niente da capire ne La terra desolata, o meglio, c’è tanto da capire se la si studia, [..] se si guarda a tutti i riferimenti eccetera, ma è importante trasmettere delle immagini che non abbiano la comprensione come primo obiettivo: sentire la musicalità, balzare da un luogo all’altro. [..] La musica che ha tre forme diverse in questo spettacolo [..] per me è un’arte che ha sempre suscitato immagini». Suscitare immagini piuttosto che mostrarle sembra un’impresa ardua nel nostro presente, che di figure invece sembra ingordo. Siamo ancora capaci di crearle da soli? È ancora possibile immaginare una terra desolata quando si presenta quotidianamente davanti a noi?

La danza urbana di Futura

La danza urbana di Futura

Gruppo nanou, Tu Hoang e CollettivO CineticO hanno inaugurato la venticinquesima edizione del Festival Ammutinamenti, intitolato Futura.
Un titolo scelto, Futura, per unire il cammino fatto dagli anni ’90 a oggi. Un progetto che ha coinvolto oramai tre generazioni, con l’affrancamento della danza contemporanea dagli spazi tradizionali, portata nelle strade e nelle piazze, oltre che in luoghi inediti quali musei e siti archeologici, per fruirne in modo nuovo e modificare la percezione e la possibilità di vivere uno spazio pubblico.

La rassegna apre con la performance Arsura di gruppo nanou all’interno del Mar museo d’arte della città, in cui Rhuena Bracci, la danzatrice, si muove in fondo a uno dei corridoi della galleria del museo illuminato di rosso, e musicato con note ossessive e ridondanti, a sottolinearne lo stato di allerta insieme ai movimenti ripetitivi e gli spostamenti da una stanza ad un’altra. La lontananza dal pubblico presente accentua una vicinanza impossibile, una solitudine inesorabile.

A seguire, sempre al Mar, Congegno emotivo, curato dal gruppo Y e formato da un gruppo transgenerazionale, guidato in precedenza, attraverso pratiche corporee relazionali, a mettere in discussione il rapporto tra chi guarda e chi è guardato, a esplorare il rapporto di vicinanza sia con il contatto fisico che con quello visivo. Ciò che avviene durante il laboratorio agisce a livello sottile e inconscio, per gli adolescenti e danzatori (ma anche per il pubblico che lo desidera) avvolti in un rito iniziatico silenzioso che esplode in una finale danza liberatoria. 

Sul dualismo-corporeo vicinanza/allontanamento gioca anche lo spettacolo del vietnamnita Tu Hoang, primo premio al New Dance for Asia in Seoul, intitolato Trial su musiche di Loscil, in piazza San Francesco, insieme al danzatore Tuan Tran, in cui l’iniziale sincronia e armonia della danza iniziale si incrina, in un primo momento attraverso movimenti impercettibili, poi sempre più evidenti, fino alla differenziazione e alla scissione delle due identità. Spettacolo finale della prima giornata alle Artificerie Almagià con CollettivO CineticO, in prima regionale con Urutau Extintion Party, performance rituale partecipata, già in corso all’ingresso degli spettatori, in cui i danzatori si sfidano in una prova di resistenza a chi riesce a giacere immobile più a lungo.

Dedicato all’uccello sudamericano Urutau, che i Collettivo considera affine alla filosofia espressa nel suo Manifesto Cannibale, ne riprende l’immobilità, la mimetizzazione, la posa improbabile, per affermare la possibilità di evoluzione e di metamorfosi anche nella più completa stasi, la necessità di focalizzarsi sul singolo istante anziché sulla progressione temporale.

Promosso dall’associazione Cantieri Danza con il sostegno di Comune di Ravenna, Regione Emilia Romagna, Ministero per la Cultura e Fondazione Sabe per l’Arte.Il Festival Ammutinamenti prosegue fino al 16 settembre.

La cultura fa politica, il caso del Teatro Thesorieri di Cannara

La cultura fa politica, il caso del Teatro Thesorieri di Cannara

Con un’affluenza attestata intorno al 64% e un nuovo record negativo nella serie storica di partecipazione al voto, il 25 settembre 2022 si sono tenute le elezioni politiche per il rinnovo di entrambi i rami del Parlamento italiano, Camera dei deputati e Senato della Repubblica.
Con il 44% delle preferenze, ottiene la maggioranza la coalizione di Centro-destra guidata da Giorgia Meloni.
Come sempre accade al verificarsi di grandi svolte politiche, il riassestamento del Paese ha riguardato ogni ambito: alle volte con esiti immediatamente visibili; altre, a fronte di trapelate notizie, con prospettive di manovre attuabili.

Volendo restare in materia di cultura, facciamo alcuni esempi: a 8 mesi dalle elezioni, il Consiglio di Amministrazione Rai dà il via libera al nuovo pacchetto di nomine; poco prima il Fondo Unico per lo Spettacolo dal Vivo (FUS) diventa Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo (FNSV); viene istituito il Ministero delle Imprese e del Made in Italy che presenta un ddl per una riforma sostanziale del settore creativo, prevedendo un “Piano Nazionale strategico per la Promozione e lo Sviluppo delle Imprese Culturali e Creative”. 
Novità, queste, che comporteranno cambiamenti ancora ignoti perfino per le associazioni di rappresentanza interessate.
Quale che sia la bandiera, la cultura fa politica. La cultura la fa la politica.

Ancor più guardando alla regionalizzazione che incombe, interessarsi di politica nazionale è fondamentale almeno quanto occuparsi delle piccole, grandi contraddizioni della politica locale. Nell’Italia dei paesi, la politica culturale di certi territori può essere d’aiuto nell’analisi delle trasformazioni in atto – ma anche per mettersi a riparo da suddette trasformazioni

Il caso del Teatro Ettore Thesorieri di Cannara

Conta poco più di 4.000 abitanti il borgo perugino di Cannara, cittadina nota per la coltivazione di una cipolla tanto pregiata da meritarsi una seguitissima festa dedicata.
Da alcuni anni, però, Cannara viene visitata anche da chi alle mire enogastronomiche preferisce quelle culturali. Dal 2016 le associazioni culturali Freetime e Strabismi hanno riunito una folta comunità di artisti e spettatori intorno a un teatro, un auditorium e un museo, organizzando eventi e programmando un’intera stagione teatrale. Eppure, è da un anno e nove mesi che non si leva il sipario del Teatro Ettore Thesorieri di Cannara.

Ma andiamo con ordine: nel 2016 viene stipulato un accordo di gestione in concessione tra l’associazione Freetime e il Comune di Cannara riguardante il Teatro Thesorieri. A seguito di una nuova gara d’appalto, nel 2020 Freetime firma un contratto – rinnovabile dopo 3 anni e con valenza fino al 31 agosto 2023 – per la gestione del Thesorieri e dell’Auditorium San Sebastiano.
Fin dal suo insediamento, Freetime effettua autonomamente lavori di adeguamento di entrambi gli spazi.
Nel 2022, a fronte dell’ottimo servizio prestato, l’Amministrazione Comunale, presieduta dal Sindaco Fabrizio Gareggia,  intende offrire a Freetime la possibilità di creare un “pacchetto culturale” per il paese: nel nuovo accordo di concessione viene integrata anche la gestione dei servizi per il Museo archeologico Città di Cannara.

Un primo impasse si presenta nel 2018 quando, a stagione avviata, l’amministrazione contesta alcune scelte della direzione artistica del teatro. Impasse che si risolve con un periodo di proroga e con l’appoggio dell’allora, nonché attuale, Assessora alla cultura Silvana Pantaleoni. 
La collaborazione tra Freetime e Strabismi – da allora in poi sarà continuativa e stanziale – consente di ospitare al Thesorieri grandi nomi del panorama artistico nazionale, con risultati tali da convincere il Comune a confermare la gestione di Freetime fino al 2020. 
Cannara ha un teatro di 226 posti attivo, una stagione che poco ha da invidiare a ben più noti circuiti, un festival che apporta al territorio un’offerta culturale di rilievo e un importante indotto economico.
Tutto idilliaco. Fino a qui.

Nel gennaio del 2020 il Sindaco Gareggia convoca l’associazione Freetime illustrando un bando della Regione Umbria dedicato alla riqualificazione post Covid degli spazi. Il progetto candidato dal Comune di Cannara, che interessa il Teatro Thesorieri, vince il bando. I lavori che iniziano l’8 agosto 2022 con consegna prevista dopo 90 giorni, ovvero l’8 novembre 2022.
La riqualificazione risulterà ufficialmente terminata a giugno 2023 quando il teatro, in ristrutturazione per l’adeguamento imposto dalla diffusione pandemica, sarà riaperto con un’agibilità straordinaria, pur senza l’impianto di areazione previsto. Amaro paradosso.

Ma torniamo agli esordi del 2021.
È il 3 gennaio quando il Ministero della Cultura emette un Avviso pubblico per “migliorare l’efficienza energetica di cinema, teatri e musei per un totale di 200.000.000,00 euro” di fondi PNRR. Il Comune di Cannara partecipa e vince anche il bando nazionale. Il Teatro Thesorieri sarà dunque al centro di un ulteriore e più consistente progetto di ristrutturazione.
Il 12 dicembre 2021, alla presenza dell’Assessora Pantaleoni, delle due associazioni e della cittadinanza, viene annunciata in conferenza stampa la chiusura del teatro e il conseguente avvio della ristrutturazione. 628 giorni dopo i lavori non risultano ancora iniziati.

Pur essendo legalmente indipendenti l’una dall’altra, e pur detenendo ruoli gestionali diversi negli spazi sopra elencati, Freetime e Strabismi sono le due associazioni che, lavorando a cottimo, hanno consentito, in quella piccola realtà dell’entroterra umbro che è Cannara, la nascita di un progetto culturale stabile e duraturo.
Le sorti d’utilizzo del Teatro Thesorieri, dunque, riguardano non solo Freetime che ne detiene la gestione ma anche Strabismi che collabora alla direzione artistica e che, già dalla prima edizione, vi programma gli spettacoli del festival.

È l’estate del 2022, il Thesorieri è ancora un cantiere a cielo aperto ma il Comune promette che a settembre il teatro sarà pronto: è lì che Strabismi Festival ospiterà i suoi artisti e le sue artiste. 
Il settembre del 2022 arriva e con esso l’VIII edizione di Strabismi Festival, interamente svolta presso l’Auditorium San Sebastiano  (con una platea di 50 posti contro i 226 del Thesorieri) – ancora una volta adibito a pubblico spettacolo previo autonomo investimento delle due associazioni culturali. Il teatro resta chiuso, la riapertura viene garantita a più riprese con continui slittamenti per tutto il 2023. Apertura a data da destinarsi. 

Tentativi di sopravvivenza 

Per continuare a garantire la sopravvivenza dei loro progetti culturali – oltre che la sussistenza dei lavoratori e delle lavoratrici –, e in risposta alla nebulosa che avvolge l’effettiva riapertura del Teatro Thesorieri, Freetime e Strabismi partecipano al bando regionale Sviluppumbria proponendo una stagione diffusa nei comuni limitrofi, in partenariato con le realtà culturali del territorio.
Oltre agli spettacoli, la stagione prevede tre festival: il Festival di Primavera, Overview – esperimenti organizzativi di un progetto artistico, il Festival Urvinum Hortense. Non potendo contare sull’utilizzo del teatro, i primi due festival vengono spostati rispettivamente a Bevagna e Foligno; il Festival Urvinum Hortense, invece, non sarà mai realizzato per le difficoltà economiche che gravano su Freetime, obbligata alla gestione di un teatro fantasma.

Agli esordi del 2023, assicurando la riapertura del Teatro Thesorieri in maggio, il Comune indice una riunione per riportare il Festival di Primavera da Bevagna a Cannara e per chiedere assistenza a Freetime e Strabismi nell’ospitalità di uno spettacolo della compagnia amatoriale del paese, in programma a giugno. No, i lavori – si badi bene: quelli di riqualificazione post Covid degli spazi, non quelli (mai iniziati) per migliorare l’efficienza energetica – sono lontani dall’esser terminati. L’amministrazione comunale, però, delibera per l’occasione un’agibilità temporanea ma non ne garantisce una ulteriore che consenta lo svolgimento della prossima edizione di Strabismi Festival.

Accordi e disaccordi 

Intanto, la crisi energetica causa un incontrollabile rincaro dei costi di gestione. Il contratto di gestione firmato nel 2016 e poi rinnovato nel 2020 – ad oggi rimasto invariato – prevede un contributo comunale per le spese di 5.000 euro, somma che a stento copre l’ammontare delle utenze. Freetime chiede una revisione del precedente accordo economico e delle tariffe di affitto presso terzi del Teatro Thesorieri.
L’amministrazione comunale acconsente idealmente e valuta la possibilità di un aumento del contributo.
Le associazioni tentano una nuova richiesta ufficiale di incontro e una nuova proposta da discutere, ma le elezioni politiche si avvicinano e le comunicazioni si diradano.

La situazione, già paradossale di per sé, si presta a un piano di lettura più profondo: come frequentemente rilevabile, la desertificazione culturale delle periferie ha interessato Cannara, con pochi sprazzi di vitalità, fino all’azione operata da Strabismi e Freetime. L’assenza di spazi e il corrispettivo annientamento di buona parte dell’offerta culturale arrecano dunque un doppio danno: da un lato, si crea un disservizio per la comunità locale a cui viene negata la possibilità di una fruizione alternativa al dilagante mainstream; dall’altro, viene minata la credibilità delle due stesse associazioni. 
La direzione artistica, responsabile in pectore della programmazione presso il teatro Thesorieri e presso il Festival Strabismi, sente allora il dovere di comunicare alla comunità artistica che il loro canale distributivo non è più aperto. Una grossa perdita per il settore tutto, se consideriamo che le due realtà riservano la quasi totalità della propria programmazione e del proprio investimento produttivo al teatro under 35. L’annuncio viene dato tramite una lettera aperta, diffusa a mezzo social:

[…] Riteniamo che sia il momento di un chiarimento necessario rispetto alla vaghezza con cui siamo stati costretti a rispondere alle varie richieste di programmazione, che deriva da una situazione completamente al di là del nostro controllo e della nostra volontà: il Teatro Thesorieri Cannara è al momento chiuso per lavori (che dovranno servire a renderlo più efficiente) e non sappiamo quando rientreremo in possesso dello spazio.

Non possiamo fare altro che dichiararvi la semplice verità della situazione, abbiamo temporeggiato un po’ nel farlo cercando di sapere quali sarebbero state le tempistiche per la riapertura, ma purtroppo non sappiamo nulla di certo. 
Ecco il pomo della discordia: la riapertura annunciata viene contraddetta dalla lettera firmata da Strabismi e Freetime.
È vero, a onor di cronaca, che il 17 e il 18 giugno 2023 il Thesorieri viene riaperto con l’agibilità straordinaria; dal 19 giugno, però, torna a essere chiuso al pubblico.
Tra comunicazioni ufficiali e private, si ricorda che il contratto di gestione è in scadenza il 31 agosto 2023. Sottotesto: il teatro non sarà più gestito da Freetime, il Comune tornerà a disporne fino a successiva attribuzione.

Epilogo

Freetime e Strabismi raccontano la situazione attraverso i propri canali social. La risposta della comunità è fragorosa e il 9 giugno il Sindaco Gareggia convoca  le associazioni per un incontro. 
Sembra sopraggiungere una tregua distensiva con l’espressa volontà di proseguire la collaborazione con Freetime, rinnovando l’accordo di gestione ma senza garantire una data di riapertura del teatro. L’amministrazione si riserva di far pervenire all’associazione una proposta per la revisione delle condizioni economiche. 

Tutto tace fino all’11 agosto scorso, quando l’Ufficio Cultura del Comune di Cannara invia una PEC dichiarando che non ci sono i criteri per la rinegoziazione dei termini economici del contratto di affidamento della struttura a Freetime. All’associazione viene chiesto di manifestare l’interesse a continuare a occuparsi della gestione del Teatro Thesorieri, a fronte di un accordo economico rimasto invariato dal 2016.
Da allora il mondo è cambiato un po’ e con esso anche il mercato.

La soppressione degli spazi è la punta dell’iceberg del danno progettuale ed economico che Strabismi e Freetime stanno subendo. Il Festival Strabismi, che dal 27 al 30 settembre 2023 inaugurerà la sua IX edizione, si terrà in versione ridotta grazie all’ospitalità del Piccolo Teatro degli Instabili di Assisi. La programmazione passa da 8 a 4 giornate, con la presenza di 4 compagnie under 35 selezionate da bando, invece di 6. Non saranno organizzati i laboratori formativi, non si terranno i talk con gli artisti aperti al pubblico.

Che ne sarà di Freetime e di Strabismi? E che ne sarà di quasi un decennio di bonifica culturale di un territorio che rischia di tornare a essere la meta di un turismo enogastronomico “usa e getta”?
Ecco perché raccontare il caso del Teatro Thesorieri di Cannara non è un esercizio di lamentatio. Si tratta di dare voce alla delusione di chi investe la propria professionalità nella crescita culturale di un luogo e di una comunità, cercando strenuamente di diradare la nebbia dell’incertezza che tutto inghiotte e tutto fa sparire. 
E se la politica locale è il riflesso della politica nazionale, ancor più dovremmo preoccuparci tutte e tutti di trattare la Cultura come un diritto inalienabile, pretendendo che sia lo Stato stesso a proteggerla dal mero stupro propagandistico. 

Finc 2023 – call per artisti di circo contemporaneo

Finc 2023 – call per artisti di circo contemporaneo

La Call For Artists Under 35, nell’ambito del progetto ministeriale FINC è promossa da Theatre Degart per mettere in luce le nuove creazioni comiche del circo contemporaneo di far conoscere al pubblico le compagnie di giovani artisti. 

Nel 2022 il Finc Festival ha iniziato un processo di Community Engagement (partecipazione della comunità) allo scopo di coinvolgere le persone di dare loro un ruolo centrale nell’ambito delle proposte culturali legate alla manifestazione FINC. A questo scopo è nato il gruppo degli Spettatori Attivi che s’impegna liberamente a valutare proposte di spettacolo e selezionarle per essere inserite nel programma del festival. Anche quest’anno, per la seconda edizione del Finc Festival che si svolgerà dall’ 01 al 10 Dicembre 2023, il gruppo di cittadini coinvolti si riunirà nei mesi precedenti, per guardare e valutare insieme le proposte artistiche pervenute.

FINC ricerca nuove proposte artistiche con requisiti ben specifici per essere visionate dagli Spettatori Attivi ed eventualmente selezionate. La Call si propone di raccogliere le proposte dal panorama dello spettacolo dal vivo delle giovani generazioni di artisti. È promossa da Theatre Degart per dare risalto alle nuove creazioni comiche e di circo contemporaneo.

L’organizzazione garantisce un cachet per ogni replica che sarà concordato con la compagnia, e verrà saldato entro un mese dalla presentazione di regolare fattura. L’organizzazione sostiene i costi e si occupa di tutte le pratiche SIAE e di eventuali altri permessi. Garantisce una scheda tecnica di base.

> LEGGI LA CALL E COMPILA IL FORM

Online il bando 2023 di Intransito, rassegna di teatro emergente

Online il bando 2023 di Intransito, rassegna di teatro emergente

Giunge alla sesta edizione la rassegna biennale INTRANSITO, l’iniziativa voluta dal Comune di Genova per valorizzare il lavoro di giovani compagnie e di artisti emergenti della scena teatrale nazionale e che conducono ricerca nell’ambito delle arti performative.

L’edizione 2023 si svolgerà nei giorni 30 novembre, 1 e 2 dicembre 2023 al Teatro Akropolis di Genova, offrendo a sei soggetti, singoli o in gruppo, selezionati attraverso un bando, l’opportunità di presentare il proprio lavoro di fronte ad operatori, critici e personalità del mondo del teatro di livello nazionale. 

Dopo lo straordinario successo delle prime cinque edizioni (ricordiamo che la prima è del 2013), nelle quali oltre 800 giovani compagnie teatrali hanno partecipato al bando, che ha visto gruppi come Generazione Disagio, Collettivo L’Amalgama, Pan Domu Teatro, RI.TE.NA Teatro e molti altri, mettersi in evidenza nel panorama teatrale italiano e non solo, il Comune di Genova, in collaborazione con Teatro Akropolis, Associazione La Chascona, Compagnia Officine Papage, ancora una volta conferma l’attenzione alle realtà teatrali emergenti sul territorio nazionale promuovendo la sesta edizione della rassegna INTRANSITO.

Novità per questa edizione è che ai sei soggetti finalisti verrà corrisposto un cachet pari a euro 1.800,00 più IVA 10%. 

Mentre ancora una volta il vincitore, a cui sarà assegnato un premio del valore di 1.500 euro, sarà decretato da una giuria appositamente selezionata tra operatori, critici e personalità del mondo del teatro a livello nazionale. 

Inoltre il vincitore avrà la possibilità di replicare la rappresentazione dello spettacolo all’interno dei festival/stagioni organizzati dai soggetti promotori della rassegna INTRANSITO (Teatro Akropolis, Associazione La Chaschona e Officine Papage).

Il bando è rivolto gruppi teatrali o singoli artisti aventi sede o comunque operanti stabilmente sul territorio nazionale, in cui almeno il 70% dei componenti deve essere di età inferiore o uguale ai 35 anni alla data di scadenza del bando prevista entro le ore 23:59 del 22 settembre 2023 ora italiana.  Ogni gruppo o artista può presentare un solo spettacolo, l’iscrizione è gratuita. 

Per iscriversi è necessario compilare il FORM D’ISCRIZIONE in tutte le sue parti caricando tutta la documentazione richiesta dal bando, all’indirizzo web www.genovacreativa.it/intransito2023
L’elenco dei progetti selezionati sarà pubblicato, indicativamente, a partire dal 27 ottobre 2023 sui siti www.comune.genova.it alla sezione bandi/cultura e www.genovacreativa.it

Indennità di discontinuità: il comunicato di C.Re.S.Co. e ACTA

Indennità di discontinuità: il comunicato di C.Re.S.Co. e ACTA

C.Re.S.Co – Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea e ACTA, l’associazione dei freelance, guardano con molta perplessità allo schema di decreto legislativo, approvato dal Governo lunedì 28 agosto, che istituisce l’indennità di discontinuità. “Lo strumento dell’indennità adottato dal Governo con lo schema di decreto legislativo non risponde pienamente alle esigenze del settore. Non serve un ulteriore ammortizzatore sovrapponibile alla NASpI ma un nuovo modello di welfare” dichiara Francesca d’Ippolito presidente di C.Re.S.Co.

Secondo Giulio Stumpo, presidente di ACTA, “A fronte di una esigua indennità forfettaria e una tantum, che non affronta il problema strutturale della discontinuità lavorativa, tutti i lavoratori dello spettacolo, anche autonomi, vedono ridursi il proprio compenso netto. Così il costo del lavoro sarà più oneroso anche per le imprese.”

C.Re.S.Co e ACTA hanno individuato alcuni elementi di criticità:

1) Le modalità di erogazione dell’indennità appaiono tardive in quanto vengono erogate nell’anno successivo a quando “la discontinuità lavorativa” si sarebbe verificata, l’assegno verrebbe corrisposto con molti mesi di ritardo rispetto alle esigenze di chi lavora nel settore.

2) Il calcolo degli importi dell’indennità, un terzo delle giornate lavorate nell’anno precedente, con il tetto del 60% dell’indennità giornaliera, è basso rispetto al numero di giornate minime richieste per l’accesso. Da un conto sommario si può evincere quanto possa essere esiguo l’importo dell’indennità, risultando insufficiente (massimo 1.500 euro all’anno secondo il Sole24Ore).

3) Il meccanismo di aggiornamento professionale, mutuato dai sistemi di disoccupazione, considera i periodi di formazione una conseguenza della discontinuità anziché una attività costante e continua dei lavoratori dello spettacolo. Rafforzando così l’equivoco di interpretare la discontinuità lavorativa come alternanza di periodi di occupazione e disoccupazione e non come modalità atipiche di lavoro.

4) La non cumulabilità con altre indennità come malattia o genitorialità, NASpI o ALAS, per altro percepite in un periodo diverso da quello nel quale la discontinuità lavorativa si è verificata, conferma l’impostazione di tale indennità come un ammortizzatore sociale e non come strumento per realizzare un nuovo modello di welfare.

5) Il costo dell’indennità graverà, a partire dal prossimo anno, su imprese e lavoratori, non tenendo conto del già alto costo del lavoro per le imprese, soprattutto quelle più fragili, e delle ritenute per i lavoratori. C.Re.S.Co e ACTA suggeriscono invece di far ricadere il costo dell’indennità sulla fiscalità generale, prevedendo negli anni successivi una copertura attraverso una coerente riformulazione delle aliquote. Infatti, come per ISCRO si rischia di avere un aumento non trascurabile dei contributi a fronte di una indennità tardiva ed esigua.

Per migliorare un testo su uno strumento di vitale importanza nell’ottica della riscrittura e definizione delle regole per l’intero comparto C.Re.S.Co e ACTA propongono la costituzione di un tavolo di confronto: “Auspichiamo un ripensamento della norma affiché possa rispondere più efficacemente alle esigenze peculiari delle persone che lavorano nel settore e che possa essere l’occasione per la definizione, nel  Codice dello Spettacolo, di uno Statuto speciale per le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo”.