Amore, dialogo tra le culture e tra le diverse generazioni di artisti dell’arte di figura, attraverso la memoria storica e l’apertura alla sfida delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale. Si concentra su queste tematiche, declinandole anche al di fuori dell’ambito artistico, la 48esima edizione di Arrivano Dal Mare!, festival internazionale del teatro di figura, che si svolge fra Ravenna e i paesi di Longiano, Gambettola e Gatteo, dal 19 al 28 maggio.
Diretto da Roberta Colombo e dai fratelli Andrea e Mauro Monticelli, il titolo di quest’anno, che si richiama al poeta e scrittore americano Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? “vuole essere un richiamo al bisogno di cura, di attenzione e di lentezza come approccio all’opera d’arte, in antitesi alla frenesia in cui siamo immersi” come racconta la direttrice artistica in questa intervista. Una riflessione attraverso spettacoli per adulti e famiglie, mostre e masterclass su quello che può essere il compito delle arti di figura in un contesto storico in cui le parole più ricorrenti sono quelle di emergenza, guerra e crisi.
Tanti, anche quest’anno, gli ospiti internazionali: dalla burattinaia spagnola Paz Tatay, in scena con La muerte de Don Cristobal alla belga Tof Théâtre di Alain Moreau, con Dans L’Atelier, oltre alla masterclass sul teatro d’oggetti tenuto dall’israeliano Ariel Doron. Dedicato al pubblico degli adulti lo spettacolo visionario di teatro d’oggetti Plastic Heroes, sul tema della guerra e il macedone Alex Mihajlovski, artefice della marionetta “Barti” che l’ha reso famoso a livello internazionale, mentre dalla Germania arriva la mostra interattiva di esposizione sulla stori del teatro di figura interamente in digitale ideata da Annette Dabs e allestita al Mar di Ravenna, dal titolo Puppets 4.0-Museo senza mura.
Il teatro di figura non è nato come teatro per ragazzi. Qual è la sua storia, con particolare riferimento alla famiglia Monticelli da cui è nata la compagnia del Teatro del Drago e quali sono state le innovazioni che hanno introdotto?
Il teatro di figura è un’arte come la prosa, la danza e la lirica. Non può essere definito un teatro per ragazzi benché quest’ultima sia una sua importantissima componente, che grazie alla riforma scolastica ispirata al metodo di Maria Montessori ne ha valorizzato le potenzialità educative e pedagogiche. Ci stiamo muovendo a livello internazionale con Unima e con Aps perché il suo status di arte venga riconosciuto anche a livello legislativo.
Il teatro di figura fin dalle origini ha profonde connessioni con la commedia dell’arte e con personaggi quali Arlecchino e Pulcinella che sono giunti fino a noi grazie al teatro popolare. Ecco, direi che sicuramente quella di arte popolare definisca molto meglio l’essenza del teatro di figura, dato che i suoi spettacoli si tenevano nelle piazze dove venivano rappresentate le opere di Shakespeare o Moliére nella versione con le marionette, prima che queste venissero portate in scena nei teatri delle città. In Italia ci sono quattro tradizioni: le marionette, i burattini, i pupi siciliani e le guarattelle napoletane, tutti presenti alla rassegna di questa edizione accanto a teatro d’ombre e teatro degli oggetti.
Tornando alla famiglia Monticelli, tra le più importanti dedite alla costruzione di marionette in Italia insieme alle famiglie dei Colla e dei Cuticchio solo per citarne alcune tra le più conosciute, è originaria di Cremona, città molto vivace culturalmente, soprattutto per la musica, grazie allo Stradivari. Ed è qui che Ariodante, nato nel 1822, inizia a costruire marionette e a rappresentare i suoi spettacoli. Dopo la restaurazione asburgica è costretto a trasferirsi in Piemonte, dove inizia una produzione molto interessante come testimonianza storica, per il suo legame con gli eventi risorgimentali che vengono narrati proprio attraverso l’arte della marionetta e che, come ho avuto io stessa modo di constatare leggendo i copioni del periodo, c’è una forte contaminazione con il linguaggio popolare.
Dopo un periodo a Fiorenzuola d’Adda i Monticelli si trasferiscono a Salsomaggiore, essendo artisti itineranti e senza fissa dimora, sempre alla ricerca di ingaggi per poter sbarcare il lunario. Dopo la seconda guerra mondiale arrivano in Romagna. La società italiana post bellica ha subito un mutamento radicale, come la produzione artistica del teatro di figura che adesso ha un nuovo target a cui rivolgersi: quello dei turisti e delle famiglie che vanno a trascorrere le vacanze al mare, che ammirano gli Stati Uniti e i nuovi personaggi come Topolino e Minnie.
All’epoca Enrico Novelli, giornalista, fondò il Corriere dei Piccoli, dove venivano disegnati i personaggi per ragazzi in voga all’epoca, che successivamente, grazie alla collaborazione con Zacconi e la Duse, venivano portati sul palco in versione marionetta. Comincia così a svilupparsi il filone del teatro di figura pensato per i ragazzi, dove si è orientato il mercato nei decenni successivi e che nell’immaginario collettivo è tuttora quello con cui viene identificato maggiormente. Anche la famiglia Monticelli si è adeguata a questo filone, ma ha introdotto importanti innovazioni.
La più importante avviene negli anni ’80 del secolo scorso, quando ad Otello, discendente della terza generazione, subentrano Andrea e Mauro che introducono la tecnica dell’animazione a vista di pupazzi che si muovono e occupano tutto il palcoscenico. Il primo spettacolo ad utilizzare questa novità è Nosferatu nel 1986. Ben presto inizia anche il rito dell’apertura del retro del palco al pubblico, altra novità impensabile per la tradizione burattinaia. Sono elementi che connotano sempre di più il teatro di figura come arte che accentua la sua capacità di parlare dell’uomo e della sua doppiezza, attraverso la coesistenza sul palco della marionetta e dell’attore che la anima, della semplicità con la quale si può entrare o uscire da un personaggio, di alternare luce e ombra, di interagire con il pubblico che guarda. Così come è notevole la sua capacità di entrare nel mondo contemporaneo e parlare di temi di attualità come la guerra, come si vedrà nella masterclass tenuta da Ariel Doron e della sua dedica al film Kill Bill, lui che, israeliano, nella guerra ci è cresciuto.
Che il teatro di figura sia straordinariamente versatile e adattabile alla realtà di oggi lo dimostra anche la sua capacità di integrarsi con le nuove tecnologie e con la dimensione virtuale, come si avrà la possibilità di vedere al festival. Accanto ad artisti storici come Sergio Diotti e la festa dedicata ai 30 anni del Fulesta e Bruno Leone e il suo Pulcinella fino al giovanissimo Collettivo Komorebi di Erika Salamone con lo spettacolo per le famiglie Happy B-Day to Me con proposte altamente innovative dal punto di vista tecnico. Così come ampio spazio sarà dato al tema dell’inclusività attraverso il progetto Sixth Sense Theatre dedicato a spettatori ipovedenti e curato dall’ artista e ricercatrice ucraina Kateryna Lukianenko.
Proprio a proposito di questo: le tecnologie hanno avuto un impatto positivo su questo tipo di teatro, che però all’inizio è nato come arte artigianale e tramandato grazie alle famiglie di burattinai e pupari. Come pensi si evolveranno le scuole negli anni a venire?
La parte materiale è fondamentale, per cui l’artigianalità non credo sarà mai superata del tutto, dato che l’intera filiera è all’interno della formazione artistica di quel particolare gruppo o compagnia teatrale o famiglia, dove chi costruisce è spesso vicino a chi anima. La costruzione delle marionette e burattini è uno step essenziale, per cui è improbabile un totale superamento della dimensione digitale rispetto a quella artigianale, ma certamente le nuove tecnologie e il progresso della chimica permetteranno l’utilizzo di nuovi materiali per costruire e apriranno nuove possibilità.
Che legame c’è secondo te tra il teatro delle marionette e la drammaturgia visuale portata avanti da artisti come Marzia Gambardella che si ispira a Philippe Genty e che peraltro è una tua grande ammiratrice?
Con Marzia ci siamo conosciute e abbiamo lavorato insieme ed è stata ospite al Festival anni fa. Genty è stato un maestro anche per me, nella sua poetica danza e figura di uniscono e vorrei davvero poter lavorare ancora su questo. C’è un gran bisogno di sinergia collettiva tra artisti per dare più dignità al nostro lavoro. Il teatro di figura ha uno dei linguaggi più completi che ci siano ma anche una grande fragilità. Penso al lavoro della nostra ospite Kateryna Lukianenko, in cui il sesto senso unisce gli altri cinque per un lavoro a 360 gradi sul corpo e, ne sono convinta, potrebbe essere uno di quei linguaggi in grado di riportare la gente a teatro. Soprattutto perché lo spettacolo teatrale aiuta le persone a stare concentrata sul presente.
A proposito della vostra collaborazione con Cantieri Danza invece cosa ci puoi dire?
Io e Selina Bassini siamo entrambe nel direttivo delle Artificerie Almagià, dove si tengono molti dei nostri spettacoli. Ci conosciamo da anni e condividiamo la stessa utopia, io nella figura lei nella danza, e speriamo entrambe in una futura maggiore unità di queste due discipline, ci piacerebbe affrontare questo discorso, magari proprio con Marzia Gambardella, perché qui in Italia le discipline artistiche sono ancora molto separate.
Ci saranno come hai detto, anche spettacoli in cui si parlerà della guerra. Che tipo di approccio ha il mondo della fiaba rispetto a questo tema?
Dipende dal target a cui ti riferisci. Sono forme di guerra anche la violenza assistita o il bullismo. Dopo il Covid la gente è diventata più nervosa, più tesa. Per questo, diciamo, c’è bisogno di ascolto, di cura. Dove c’è la cura non c’è la guerra. Riguardo la guerra in Ucraina, è vero, è un evento drammatico che avviene vicino a noi, ma era lo stesso anche con la guerra nei Balcani appena trent’anni fa e non dimentichiamo i tanti altri conflitti in corso di cui però non si parla. Noi lavoriamo con artisti iraniani, afghani, turchi, libanesi, russi e ucraini e posso testimoniare che nessuno di loro vuole la guerra, che viene sempre decisa dall’alto, anteponendo l’economia ad altri valori. Il teatro ne deve parlare, creare uno sguardo attento a ciò che sta succedendo senza giudicare in modo superficiale.

Insegnante di italiano come seconda lingua, formatasi all’Università per Stranieri di Siena, giornalista pubblicista iscritta all’Ordine laureata in Filosofia e Beni culturali all’Università degli Studi di Bologna, una grande passione per il teatro. Pirandello, De Filippo, Pasolini e le avanguardie del Novecento i preferiti di sempre.