In occasione del Roma Fringe Festival 2019, la compagnia valdostana Palinodie, fondata nel 2012 ad Aosta e che, da allora, si impegna per creare una scena teatrale originale e matura tra le montagne della propria terra, porta in scena Apnea. La più giovane delle Parche. Apnea si contraddistingue fin da subito per la sua composizione completamente al femminile: dalla regia di Stefania Tagliaferri, il testo di Verdiana Vono, e le tre attrici/parche sul palco Alice Corni, Elisa Zanotto e Maria Chiara Caneparo.
Versilia, Souvenir e Narcisa sono le tre protagoniste che si incontrano in un bagno, girando intorno, giocando e condividendo una vasca da bagno. Tre giovani donne che nel bagno riflettono, affrontano loro stesse e si confrontano, trovando conforto nell’altra. Apnea è la serenità e la giovialità della convivenza e dell’amicizia.
Il numero tre non a caso ha una certa ricorrenza nel mondo femminile e nei secoli ha rappresentato una forza spesso vista come destabilizzante o pericolosa dalla cultura dei suoi tempi, esclusivamente maschile: oltre alle lugubri Parche basti pensare anche alle congreghe di streghe, le figlie di Re Lear e così via perdendoci nella tradizione e nel mito, appunto. Quasi come se tre donne sotto lo stesso tetto potessero sprigionare un potere ed un’energia soprannaturale. Hanno partecipato all’intervista riguardo la commedia le attrici Alice Corni, Elisa Zanotto e Maria Chiara Caneparo e la drammaturga Verdiana Vono.
Riguardo la vostra realtà, quella della vostra compagnia e della vostra regione, la Valle d’Aosta, che è innegabilmente particolare nella sua condizione di terra di confine, a contatto con due grosse realtà e tradizioni teatrali, quella italiana e quella francese. Si tratta di una regione piccola, con pochi abitanti e, conseguentemente purtroppo, con pochi teatri. Era interessante quindi approfondire la vostra esperienza in questa realtà e, se possibile, chiarire se Palinodie è una compagnia esclusivamente femminile, vista la natura di questo spettacolo in ogni suo aspetto?
Alice Corni: Noi arriviamo in realtà da formazioni molto diverse, e ci siamo ritrovate in Valle poiché la regista e la drammaturga, che sono il cuore di questa compagnia, sono valdostane, come d’altronde due terzi delle attrici dello spettacolo, a parte io che sono Piemontese. Siamo tornate alle nostre origini, dopo l’Accademia o i più generali periodi di formazione, e tornando a casa ci siamo incontrate e abbiamo deciso di lavorare insieme tentando, a partire dalla Val d’Aosta, di creare un teatro che possa essere contemporaneo e non così chiuso come di solito nelle valli accade; anche perché nella scena teatrale valdostana sono poche le compagnie che riescono ad avere un respiro più nazionale o addirittura internazionale. Il nostro intento è quello di aiutare queste compagnie.
Elisa Zanotto: Il nostro intento era anche quello un po’ di sfatare l’idea che si ha del teatro di provincia, tant’è che la compagnia Palinodie è stata già a Shangai, andrà in Quebec e noi con questo spettacolo siamo già uscite dalla Valle d’Aosta. Quindi l’idea è proprio di superare questo preconcetto che appunto nelle grandi città ci sia il gran teatro mentre nelle province quello di serie B.
Vorrei parlare del rapporto tra psicologia e mitologia, legati da sempre indissolubilmente, che da questo spettacolo emerge con forza, anche perché è stato portato in scena in occasione della Giornata della Psicologia. Dunque, perché questo mito, perché le Parche e perché Cloto, la più giovane tra queste?
Elisa Z.: Questo spettacolo è stato portato in scena in ben due Festival della Psicologia: l’edizione del 2017 presso l’Ordine degli psicologi di Aosta, e poi in quello di Trento l’anno scorso.
Alice C.: Praticamente noi volevamo fare uno spettacolo sull’ansia, perché ci siamo accorte che è un problema moderno, dei nostri giorni e che, apparentemente, pur non avendo guerre in casa, pur stando relativamente bene, la gente non respira più. Ad oggi è pieno di tutti questi centri sul rilassamento per dire, e questo ci ha fatto riflettere sull’utilità di portare in scena questo disagio contemporaneo.
Da tutta questa riflessione Verdiana Vono ha immaginato questo mito, che in realtà non esiste, proprio per cucire ad hoc la psicologia dei personaggi su una radice inventata ma assolutamente reale. Noi quindi siamo partite dalle ansie personali, abbiamo cominciato a lavorare su improvvisazioni fatte su cosa noi personalmente facciamo in particolare quando andiamo in ansia; poi naturalmente le cose personali se ne sono andate dalla scena e sono arrivate quelle dei personaggi nei loro stati d’ansia.
Elisa Z.: In particolare l’Apnea è perché la regista ha dei momenti di Apnea quando va in ansia, quindi questo principio è rimasto ed è una cosa che abbiamo in comune tutte e tre; il resto invece si è via via evoluto.
Sarebbe giusto quindi pensare che la commedia sia stata concepita man mano, modellando i personaggi in uno stretto rapporto tra le attrici e la drammaturga?
Maria Chiara Caneparo: Parlando per conto mio posso dire che sicuramente all’inizio sì. Io però sono anche l’ultima arrivata, perché sono stata il cambio dell’elemento maschile. Inizialmente Narcisa non doveva esserci e quindi, soprattutto grazie al lavoro di improvvisazione a contatto con Alice ed Elisa, sono nati i prototipi delle ansie di questi personaggi che rappresentano delle macro-ansie che si portano dietro fino ad un certo punto nel corso dello spettacolo. Narcisa è arrivata dopo e diciamo che io ho fatto mio un personaggio già collaudato quasi del tutto. Sicuramente ci sono stati ulteriori interventi personali, anche a livello collaborativo a mio avviso, ovvero di relazioni che si costruiscono e sempre con la costante guida della drammaturga e della regista con le quali abbiamo montato insieme lo spettacolo essendo al mio arrivo ancora solo uno studio.
Elisa Z.: Noi appunto facevamo delle improvvisazioni all’inizio, dopo di che il resto ci è stato consegnato da Verdiana successivamente. È vero che nel progetto iniziale l’attuale composizione esclusivamente femminile andava a perdersi.
Maria Chiara C.: Infatti il titolo iniziale era Apnea. Piccole interazioni quotidiane.
Elisa Z.: Ma era solo uno studio appunto, ai tempi quando era presente l’altro attore, che abbiamo portato a dei concorsi, poi in realtà quando è diventato uno spettacolo c’era già Maria Chiara.
Alice C.: Questo in particolare è proprio un metodo della compagnia: inizialmente si fa uno studio, in cui gli attori devono essere disponibili a improvvisare, a creare, a interessarsi già a quello che sarà la materia dello spettacolo. Poi tutto il materiale che viene fornito, viene elaborato dalla regista e drammaturga, dopo di che si incominciano le prove. Questo è un modus operandi della compagnia, diciamo.
Il bagno è un luogo associato spesso alla donna: il bagno che viene condiviso con l’amica, il bagno dove le donne passano ore, tra verità e luoghi comuni. Un posto quindi di eccellenza per la figura femminile, un rifugio prescelto e condiviso, rispetto all’uomo che ne ha un’ottica più solitaria e privata. È questa effettivamente un’analisi corretta che emerge dal testo dell’opera?
Verdiana Vono: Ti ringrazio per questo punto di vista maschile e per questo confronto fra i differenti approcci dei due sessi. Per noi il bagno rappresenta l’intimità, il luogo in cui nella casa ti metti a nudo veramente e poi legato alla vasca ancora altre simbologie, legate al grembo materno, la nascita, la crescita, immergersi all’interno di una profondità.
Elisa Z.: Se posso aggiungere una cosa, da donna: il bagno è anche il posto dove si cambia. Noi donne ci trucchiamo, ci facciamo belle ed è quindi anche il luogo del cambiamento.