Il primo luglio sarà presentato al Teatro Biblioteca Quarticciolo lo spettacolo After the party, nuova creazione di Thomas Noone, nell’ambito del festival Fuori Programma, giunto alla quarta edizione sotto la direzione artistica di Valentina Marini.
Noone inizia a ballare alla Rambert School di Londra. La sua carriera professionale come ballerino inizia con le compagnie olandesi Djazzex, Itzik Galili e Reflex Dance, prima di trasferirsi in Belgio per lavorare con Charleroi Dance. A Barcellona, dove lavora e vive, ha ballato con Rami Levi, con la compagnia Metros e con Gelabert-Azzopardi. Nel 2001 fonda la sua compagnia, Thomas Noone Dance, che ha la sua sede nella città catalana. Dal 2005 è un consulente di danza per la programmazione SAT! Sant Andreu Teatre de Barcelona e ha organizzato sette edizioni del festival DanSAT!
Vorrei iniziare chiedendoti di parlare un po ‘della tua storia personale, delle tue esperienze, delle difficoltà che si sono trasformate in opportunità, dei tuoi sentimenti contrastanti che hai provato come persona e artista.
È piuttosto divertente perché ho la fortuna di lavorare, per definizione, come artista. Sono solo io, Thomas, adoro ballare. La mia famiglia voleva che io facessi l’Accademia, c’era una certa aspettativa. Mi hanno detto “Ok, balla”. Così ho ballato. Ora voglio comunicare con la gente, attraverso la danza, perché trovo che sia importante per me e voglio portare la gente al teatro che è un posto molto importante dove le persone si incontrano. Facendo danza spero che molti possano parlare, pensare, considere, fermare un momento. A volte la Danza e il Teatro sono un po’ come un inganno che ritrae qualcosa che non è reale o che usano cose che non ci sono nella realtà. Questo è il motivo per cui forse faccio questo mio assolo (After the party, ndr) ed è un viaggio molto lungo.Circa le opportunità che ho avuto, sono finito a Barcellona; vivo lì a causa di mia moglie, lei è una ballerina catalana. È molto difficile lavorare e fare arte, suppongo perché i paesi latini e i finanziamenti strutturali non vanno d’accordo. Allo stesso tempo, la natura molto spontanea di Barcellona diventa un’opportunità. È meraviglioso come accadono le cose perché è un posto inalterato. Le difficoltà la rendono una città interessante anche se a volte diventano schiaccianti.
Quali persone hanno dato un contributo importante alla tua azione e alla tua evoluzione artistica?
Ci sono molte persone che mi hanno aiutato, ho avuto un’ottima formazione-training nella danza alla Rambert School of Ballet and Contemporary Dance, nel Regno Unito. Ho iniziato in ritardo, con un corpo insolito, diverso dai canoni. Alla fine sono diventato un danzatore, i miei insegnanti sono stati consapevoli di tutto quello che stavano facendo, di quello che sarei diventato. Come delle icone, i miei coreografi sono stati Jiri Kilian, Mats Ekj, il leggendario Llyod Newson con il teatro fisico. Sono stato attraversato da ogni danzatore e da ogni persona con cui ho lavorato, con cui ho diviso lo spazio, i movimenti, in una costruzione globale. Puoi vedere molte cose solo se hai occhi ben aperti. Molti possono influenzarti, anche quelle cose che pensi non sono buone abbastanza. Mia moglie Nurìa Martinez è stata molto importante per me. Lei è una persona molto calma e non ambiziosa. Ho ricevuto molto da Duda Paiva, un artista brasiliano che danza con i pupazzi; ci siamo conosciuti tanti anni fa. Lo stesso posso dire di André Mello, il creatore dei pupazzi che ha costruito quello che sarà in scena con me. Per un lungo periodo non ho danzato. Sono un coreografo. Da seduto riesco ad avere una buona prospettiva, osservando e curando i lavori che faccio. Ho trascorso tanti anni guardando i danzatori della mia compagnia ed anche questa è stata un’ottima lezione di autocritica. Se sei aperto, le influenze sono tutt’intorno e ti circondano.
Recentemente hai dichiarato che sei tornato a te stesso, riscoprendo l’importanza di essere se stessi. Che cosa hai conservato nel frattempo e che cosa invece hai lasciato andare?
È un processo in corso, ognuno di noi è un unicum. Penso che bisogna riconoscere tutte le parti, tutti gli elementi, ma anche tutte quelle cose che non ci piacciono, che sono inutili, irritanti, superflue. Per cercare di minimizzare il loro rilievo. Forse penso che sto invecchiando ma sono consapevole del fatto che le frustrazioni ti possono spingere e dirigere verso una strada sbagliata. Guardare la realtà, fare quello che si può e farlo al meglio, sapere quando non si possono cambiare le cose… Tutto questo è fondamentale. Ognuno di noi ha fatto delle cose che possono sembrare ridicole, progettando la persona che voleva essere. Le pratiche Yoga o del Buddismo possono dare uno slancio per trovare se stessi. Può essere molto semplice il concetto di accettare, pensare di lavorarci sopra. Farlo nella realtà diventa però qualcosa che è molto duro da mettere in atto. È meraviglioso guardare tutto ciò che emerge nell’essere assurdo, surreale, sciocco. clownesco. Realizza del buon teatro mostrare tutto questo in un modo gentile ed ironico. Tutti noi in fondo siamo delle persone che cercano qualcosa, che falliscono, ma non smettono mai e continuano la loro ricerca.
Torni in scena con After The Party, in anteprima Nazionale al teatro Quarticciolo di Roma. Che cosa significa questa opportunità/sfida in questo preciso momento della tua vita?
È strano. Ho scritto il testo in spagnolo e qui a Roma lo farò in inglese, con i sottotitoli in italiano. Tradurlo dallo spagnolo all’inglese è stato abbastanza difficile perché il pupazzo parlava solo spagnolo. Lo scambio, farlo in inglese, è una cosa buona e sono molto curioso di vedere la reazione del pubblico italiano, di persone diverse da quelle che già hanno visto la performance.Il pupazzo è affascinante, qualcosa di primitivo e universale. Per me non ha un nome, diventa anche una parte del mio corpo. Una volta che entra in scena lui, io scompaio quasi, ma se lo lascio lui muore. Danziamo insieme e lui possiede molta plasticità, ma è una metafora che si rivela solo alla fine, dopo aver assistito all’assolo. Era da tanto tempo che volevo fare qualcosa con i pupazzi, sul tema della fisicità con gli oggetti. Rispetto ad adesso 10 anni fa era un ottimo ballerino. Mi sono chiesto: cosa posso fare per il pubblico ancora? Quello che noi facciamo deve essere interessante, non farò mai niente a livello fisico per cui le persone non possono esclamare Wow, alla fine. Quello che viene fatto deve essere in qualche modo speciale,magico,diverso, interessante, stimolante per renderlo qualcosa di più di tutto questo. In scena ci sarò io, tre o quattro sedie e il pupazzo. Tutto qui. Lui canta molto meglio di me, insieme si possono fare cose che normalmente non sono concesse.Posso anche essere maleducato in un certo senso. All’inizio è molto rude con il pubblico. L’effetto che mi dà è come quello di una droga pericolosa. I pupazzi di Duda Paiva sono tosti. Uno di loro, Portia, un’anziana ballerina di cabaret, ha il suo spettacolo da tanti anni. Adesso ha la sua pagina Facebook con i suoi follower e due gruppi musicali.È strano come il pubblico chiede direttamente a lei di esibirsi, ad un pupazzo che si esibisce anche come attrice negli spettacoli di Duda.
Nelle tue creazioni artistiche sembrano essere fondamentali due elementi, la curiosità umana e la ricerca fatta sulla fisicità, la qualità dei movimenti, l’importanza dei gesti. È così?
Uso i gesti nel mio lavoro. Letteralmente amo il modo in cui le mani o la faccia possono parlare attraverso i gesti. Ho sempre avuto la possibilità di farlo perché mi diverte, è comunicativo ed abbastanza universale. Questo perchè non mi addentro mai nel tipico virtuosismo della danza. Penso che sia un altro livello del virtuosismo, come per le danze indiane o per il flamenco. Si può benissimo fare anche con la Urban Dance. È molto importante danzare con le mani, la faccia, i gesti, la struttura del corpo. Più specificamente intendo i differenti modi, all’interno di ogni frammento di un movimento. Le risposte che arrivano su come noi usiamo il corpo, sono sempre nuove. Ho avvisato di tutto questo nel mio assolo, After The Party, e mi piace così. Anche un piccolo movimento dipende, in qualche modo, da come viene fatto quel movimento ed al suo interno ha significati diversi.
Quanto sono importanti la colonna sonora e il disegno luci per lo sviluppo della storia nel tuo spettacolo?
Il suono è molto importante per la danza, più di quanto ci piaccia ammetterlo. La buona musica può salvare una coreografia. Il modo in cui vengono composte le colonne sonore e le atmosfere create tirano il pubblico dentro lo spettacolo. Quello che vedono, quello che ascoltano è quello che realizzano. Ho la fortuna che in questo senso ci intendiamo alla perfezione con Jim Pinchen, il nostro compositore. Quello di cui c’è bisogno sono tempi e scale diversi; i movimenti modulano anche la musica. La stessa importanza hanno le luci che dividono lo spazio. L’angolo di luce è importante per la visione. Per questo motivo È fondamentale avere ottimi designer di luci e del suono.
Come è la scena artistica spagnola vista con gli occhi di un inglese e qual è la tua personale percezione del mondo in cui viviamo?
Vivo a Barcellona da 22 anni e penso di non essere la persona inglese più qualificata per rispondere. Sono qualcuno che è nel mezzo, non potrò mai essere spagnolo o catalano e non sono più inglese. Mia madre è guyanese, vive in Inghilterra da 60 anni ma non è inglese. C’è una maggiore spontaneità in Spagna rispetto alla Gran Bretagna. Ovunque credo che ci siano degli argomenti culturali che dobbiamo comunque accettare. Io sono Thomas, ci sono alcune cose che mi piacciono e altre meno ma non giudico mai le persone dalla loro nazionalità dal colore della loro pelle o altro ancora. La mia è una famiglia di razza mista.Se iniziamo a giudicare ogni cosa si trasformerà in razzismo.Il mondo è in uno stato di confusione generale adesso. Penso che stiamo vivendo un momento di egoismo terribile, nel peggior senso della parola. Non riesco a capire alcuni leader della politica, mi allarmano e non sono sicuro di cosa posso fare come uomo.Sento che dovrei fare qualcosa e la danza probabilmente non è efficace abbastanza. Noi pensiamo che la situazione generale sia peggiorata ma in realtà tutto è sempre stato bizzarro, siamo soltanto più consapevoli adesso. Forse c’è una maggiore disuguaglianza,se pensiamo a tutte le cose che avrebbero dovuto svilupparsi e invece scivolano via dalle nostre dita: cultura, educazione, salute. Io penso che abbiamo una certa in consapevolezza oppure non vogliamo essere consapevoli di ciò che accade. Certo oggi non è meglio di 30, 40 anni fa. Il genere umano è sempre stato terribile. Che cosa ci trattiene allora, che cosa ci frena? Probabilmente la danza è la cosa meno efficace per cambiare il mondo ma io non voglio soltanto danzare. Quello che voglio è non smettere di pensare.
Redattore editoriale presso diverse testate giornalistiche. Dal 2018 scrive per Theatron 2.0 realizzando articoli, interviste e speciali su teatro e danza contemporanea. Formazione continua e costante nell’ambito della scrittura autoriale ed esperienze di drammaturgia teatrale. Partecipazione a laboratori, corsi, workshop, eventi. Lunga esperienza come docente di scuola Primaria nell’ambito linguistico espressivo con realizzazione di laboratori creativi e teatrali.