Vincitore del Premio Ubu 2019 come miglior interprete under 35 per lo spettacolo Se questo è Levi, diretto da Luigi De Angelis che ne intuisce le potenzialità interpretative e la sua capacità di lasciare spazio al personaggio e diventare un tramite attraverso il quale la testimonianza del superstite ai lager nazisti possa arrivare nel modo più corretto ma anche intenso al pubblico di ascoltatori.
Ma anche lo psicologo imbonitore Guglielmo Bonora e il dottore senza scrupoli di Docile, portato in scena con la compagnia Menoventi e un inedito Amleto accanto a Chiara Francini nei panni di Ofelia, nella versione ironica e drammaturgicamente innovativa della tragedia shakespeariana riscritta da Chiara Lagani e diretta sempre da Luigi De Angelis su testo di Berkoff.
Tutto questo è Andrea Argentieri, attore e performer impegnato tanto nel teatro civile quanto in quello di ricerca, che sta per cimentarsi ora in un’altra esperienza interpretativa impegnativa quale quella del criminale statunitense Charles Manson, nato nel 1934 e morto nel 2017, a capo di una setta chiamata Manson Family, ritenuto il mandante degli omicidi dell’attrice Sharon Tate, in attesa di un figlio, oltre che dell’eccidio di Cielo Drive, sontuoso quartiere di Los Angeles, avvenuti tra l’8 e il 10 nell’agosto 1969.
In occasione del debutto dello spettacolo, sempre insieme a Fanny&Alexander, previsto per la fine di settembre a Milano, lo abbiamo intervistato.
Hai interpretato Se questo è Levi e I sommersi e i salvati sul nazifascismo, diretto da Luigi de Angelis di Fanny & Alexander. Qual è stato il tuo approccio alla figura di Primo Levi e verso il teatro civile in generale nel tuo percorso artistico?
Se questo è Levi è una performance che ha segnato in modo incisivo il mio percorso artistico. Il mio approccio si è basato principalmente sull’osservazione e l’ascolto profondo di Primo Levi. Essendo la drammaturgia composta dalle pure interviste dello scrittore, proprio queste sono state il fulcro del mio lavoro, oltre ovviamente ad essermi nutrito dei suoi scritti parallelamente.
Il lavoro di squadra è stato prezioso, i Fanny & Alexander, Luigi De Angelis e Chiara Lagani, sono stati due guide fondamentali, ed è proprio da questa prima collaborazione con loro che ho capito di aver avuto la fortuna di incontrare un cantiere d’arte che corrispondesse alla mia poetica sulla scena, in questo caso legata a doppio filo con il teatro civile. Proprio grazie a questo spettacolo ho appreso quanto sia importante intraprendere un percorso che vada oltre la semplice interpretazione di un personaggio, per abbracciare una vera e propria missione.
Ho capito quanto sia essenziale mettere a disposizione la mia voce e il mio corpo per storie che toccano la coscienza collettiva. Per usare un termine di Levi, cerco di essere come un’antenna che intercetta e riporta alla luce questioni che spesso vengono ignorate o dimenticate. È un vero e proprio viaggio fatto insieme al pubblico che mi mette in contatto con la mia vocazione in modo profondo e significativo, poiché esso permette a me e come ho potuto constatare anche al pubblico che assiste, di identificarsi e sentirsi parte di qualcosa di più grande.
Tu hai portato in scena Se questo è Levi, di recente, in Cina. Com’è il pubblico e che tipo di atteggiamento ha verso questo tipo di spettacolo? Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Il messaggio di Primo Levi è riuscito a raggiungere anche la Cina. I cinesi sono un popolo straordinario, molto curioso e molto attento. Abbiamo portato un’edizione speciale di Se questo è Levi ispirata ad una delle parti dell’intero progetto, dal titolo Il sistema Periodico. Attraverso il libro e la passione per la chimica di Primo Levi abbiamo raccontato la sua storia al Gran teatro della Cina di Shanghai.
Lo spettacolo ha avuto molto successo, specialmente con il pubblico dei più giovani. Abbiamo avuto un riscontro profondo su diverse questioni, sia rispetto al “Levi chimico”, e più nello specifico riguardo le tematiche politiche.
Questo viaggio è stato molto intenso per me, sia come persona che come interprete.
In Cina ci sono diversi rituali anche a teatro che fanno sì che sia il pubblico che l’interprete si calino da subito in una sorta di meditazione collettiva, come per esempio entrare in scena non un minuto prima né uno dopo il terzo gong.
Sentivo un’energia molto intensa da parte del pubblico, che leggeva i sottotitoli, ma che allo stesso tempo non voleva perdersi la corporeità dell’interpretazione.
Abbiamo collaborato con gli studenti dell’accademia teatrale di Shanghai, che comparivano nei video durante lo spettacolo per porre le domande a Primo Levi. Ho passato molto tempo con loro e ho potuto apprendere quanta passione e studio mettano in ogni cosa che fanno.
Questa esperienza è stata fondamentale. Esibirsi in Oriente aggiunge sicuramente qualcosa di importante e indelebile nella vita di un performer, io ho avuto l’occasione di aggiungere questo valore al mio percorso tramite uno dei progetti ai quali sono legato visceralmente.
Sempre per Fanny&Alexander hai interpretato L’amore segreto di Ofelia, insieme a Chiara Francini, su testo di Steven Berkoff, che è una riscrittura ironica. Com’è stato lavorare a un genere di spettacolo così diverso e com’è stato lavorare con Chiara Francini che è un’attrice brillante tra le più popolari in Italia?
Lavorare a L’amore segreto di Ofelia di Fanny & Alexander è stato commovente e divertente allo stesso tempo.
Questo lavoro è nato in periodo di lockdown Covid, quando ancora gli attori in scena dovevano stare a debita distanza l’uno dall’altra.Quindi s’interroga proprio sulla distanza, e sulla potenza dell’amore che aumenta attraverso una separazione forzata, in questo caso tramite l’epistolario erotico fra Amleto e Ofelia, immaginato da Berkoff.
Chiara Francini è un’interprete dalle mille sfaccettature, ognuna delle quali ha una caratteristica in comune: la genuinità.
Da quando prende in giro Amleto con la sua inimitabile verve a quando lo guarda con occhi intensamente lacrimanti nel momento in cui lui le dice che dovrà andarsene. La cosa sulla quale ci siamo trovati da subito penso sia stata la nostra esigenza comune di portare verità sulla scena.
Mi sono divertito e allo stesso tempo emozionato molto con lei, Chiara è un’interprete estremamente sensibile e ironica allo stesso tempo, attenta, e con una ammirevole dedizione al lavoro che al giorno d’oggi non è affatto scontata, ho imparato molto da lei e spero di rincontrarla presto sulla scena.
Altra opera di cui ti chiedo è Docile, che hai interpretato insieme a Consuelo Battiston di Menoventi, diretti da Gianni Farina. Qui si parla dei rapporti di potere e di manipolazione e tu interpreti appunto la parte del manipolatore, nella duplice veste dello psicologo e del dottore che cerca di sottrarre all’ingenua ragazza-gallina le sue uova d’oro. Come si è sviluppato questo vostro lavoro?
Docile costituisce un’altra tappa importante del mio percorso attoriale. Con la compagnia Menoventi è scattata fin dall’inizio del nostro incontro una brillante sintonia che ci ha permesso di esplorare liberamente le possibili vie di questo lavoro.
Siamo partiti da delle improvvisazioni e letture di diversi testi fino ad arrivare alla vera e propria drammaturgia dello spettacolo che Consuelo Battiston e Gianni Farina hanno scritto a quattro mani. È stato molto bello lavorare con loro perché hanno sempre accolto le mie opinioni o idee in fase di costruzione, facendomi quindi sentire sempre coinvolto nella creazione del progetto.
In questo spettacolo ho interpretato una figura manipolatrice dalle diverse forme: uno psicologo che tiene lezioni di empowerment Guglielmo Bonora, e un medico eccentrico molto attento ai propri interessi, Anselmo Malora, entrambi tentano subdolamente di impadronirsi del tesoro di Linda, la protagonista interpretata con estrema delicatezza da Consuelo Battiston.
Il mio primo approccio a queste due figure è stato molto pratico inizialmente, per quanto riguarda la figura di Guglielmo lo psicologo mi sono letto molti libri sull’empowerment oltre ad aver frequentato dei veri e propri corsi su questo tema, mentre per la figura del dottore ho fatto lunghe chiacchierate con i miei genitori medici, oltre che aver consultato i loro libri di medicina.
Dopodiché ho lavorato sulle fratture di questi personaggi. In più anche questa volta è stato fondamentale avere al mio fianco una partner d’eccezione come Consuelo Battiston oltre che un occhio attento come quello del regista Gianni Farina. Alcune scene le abbiamo provate moltissime volte di fila, e proprio da questa ripetitività sono venute fuori cose inaspettate.
Veniamo al tuo prossimo lavoro dedicato a Charles Manson. Perché la scelta di un personaggio così negativo e anche in questo caso ti chiedo che approccio hai scelto e cosa c’è da aspettarsi?
Per qualsiasi personaggio che approccio sulla scena in quanto attore/ performer la prima cosa fondamentale da attuare proprio per esserne puro tramite è sospendere il giudizio; ovviamente su una figura del genere non è così facile, ma pur sempre doveroso.
Anche in questo caso il materiale di studio e che compone buona parte della drammaturgia dello spettacolo sono state le interviste che Charles Manson ha rilasciato nei suoi anni in carcere. Perché non portare un personaggio come questo a teatro?
Al cinema è permesso tutto, vediamo di tutto e di più e sono proprio determinate figure che rappresentano il male ad attrarci di più a volte, e perché? Anche il teatro in fondo lo fa, pensiamo a Riccardo III per esempio. Ma perché attorno a figure come Charles Manson ci deve essere come una sorta di pudore se si parla di portarle a teatro?
Io credo che il teatro sia un riflesso di varie sfaccettature della natura umana, anche di quelle più oscure. Penso che grazie a figure complesse come Manson si possa guardare direttamente nell’abisso dell’animo umano e riflettere sulle cause che possono condurre al male. Ma che cos’è il male? E chi era effettivamente Charles Manson?
Dallo spettacolo Manson , che debutterà il 29 e 30 Settembre a Milano in un luogo che ho nel cuore e cioè Il Teatro La Cucina all’ex Paolo Pini, c’è da aspettarsi qualcosa che va oltre la semplice cronaca dei fatti, pur sempre inevitabilmente presente anche nel lavoro creato assieme a Fanny & Alexander, di cui si è tanto parlato negli anni e che ha dato vita al mito Charles Manson.
Insegnante di italiano come seconda lingua, formatasi all’Università per Stranieri di Siena, giornalista pubblicista iscritta all’Ordine laureata in Filosofia e Beni culturali all’Università degli Studi di Bologna, una grande passione per il teatro. Pirandello, De Filippo, Pasolini e le avanguardie del Novecento i preferiti di sempre.