Il nuovo spettacolo del collettivo bolognese arriva anche a Milano, presso i locali del Teatro La Cucina. Il contesto è quello del progetto Olinda, nato nel 1996 nell’ambito della chiusura e riconversione dell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini. Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi, membri del collettivo Ateliersi e ideatori dello spettacolo, portano in scena l’esperimento di un altro futuro possibile. In un presente attraversato da crisi radicali, We did it! affida, contro ogni previsione, l’ultima speranza all’arma gentile dell’immaginazione.
Il titolo recita “Ce l’abbiamo fatta!”; ma chi è che ce l’ha fatta e soprattutto cos’è che siamo riusciti a fare? In un futuro non troppo lontano, precisamente nel 2054, un uomo (Andrea Mochi Sismondi) siede al centro di uno spazio delimitato da sedie disposte a cerchio. Scruta dritto negli occhi, uno per uno, i membri del pubblico, racconta nei minimi dettagli piccole storie di cui all’inizio lo spettatore fatica a comprendere il senso generale.
Recuperare l’immaginazione
Questi aneddoti hanno per lo più a che fare con il mondo naturale e, più che il grado di accuratezza del racconto, a sorprendere è la prospettiva spesso non umana — ora vegetale, ora animale o, ancora, inorganica — a partire da cui vengono narrati gli episodi.
A poco a poco si viene a scoprire che il performer in scena appartiene ad una cerchia di individui accomunati dalla curiosa pratica di fare dell’immaginazione uno strumento di resistenza politica e sociale.
Nel momento storico che abitiamo il bombardamento di simboli, figure, icone corrode quotidianamente la nostra capacità di immaginare, che, al pari di qualsiasi altra facoltà, ha natura “muscolare” e, senza allenamento, si atrofizza.
Coscienti di questo rischio, il performer e i suoi seguaci si sfidano in esposizioni sempre più dettagliate di qualsiasi fatto o ambito del reale, noto o meno che sia. L’utilizzo dello strumento immaginativo non ha però un fine semplicemente ludico: il suo recupero ne permette l’applicazione in termini di soluzioni delle crisi (ecologiche, umanitarie, sociali…) che attraversano il presente.
Il diritto all’immaginazione: ri-pensare il futuro
Dietro le sembianze di un esperimento teatrale, Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi intercettano uno dei filoni più innovativi e audaci della sociologia contemporanea. Da un decennio a questa parte, studiosi come Riel Miller e Arjun Appadurai concentrano le proprie ricerche su quelli che vengono definiti “studi di futuro”.
Punto di partenza di questi studi è la difficoltà, trasversalmente diffusa nel pensiero contemporaneo (con un picco tra i più giovani), di guardare al futuro con ottimismo. Le conseguenze di questo assunto sono semplici quanto tragiche: se il futuro non rappresenta uno stimolo e non è visto con fiducia e speranza, come e soprattutto perché intervenire nel presente per migliorarlo?
Per contrastare questa tendenza è necessaria una alfabetizzazione al futuro, vale a dire la costruzione di un rapporto propositivo, di fiducia nel futuro. Nel testo Il futuro come fatto culturale, Arjun Appadurai introduce la triade dei diritti del cittadino moderno: diritto ad immaginare, diritto ad aspirare, diritto alla speranza. Come accade in We did it!, l’introduzione di questi diritti all’apparenza scontati rappresenta la condizione necessaria per immaginare scenari e soluzioni alternative.Per costruire un futuro migliore occorre prima essere capaci di immaginarselo.
Recuperando questa facoltà il performer in scena racconta un 2054 in cui l’asprezza delle tensioni militari ha ceduto il passo ad una risoluzione pacifica dei conflitti, in cui l’indifferenza della parte ricca del mondo e dei governi ha abdicato davanti ai rischi concreti della crisi climatica, in cui le disparità e le ingiustizie economiche, politiche e sociali non sono più tollerate. In questo modo cerca di costruire degli anticorpi alla tempesta di immagini di cui siamo al tempo stesso vittime e artefici, perché non sapere immaginare significa non saper pensare scenari diversi da quelli già noti. A seguito di un furgone elettrico e alla ricerca di un pubblico quanto più eterogeneo, il collettivo Ateliersi porta in giro per l’Italia dei teatri non istituzionali una riflessione profonda sull’essere cittadini oggi.
Nato a Siracusa nell’ormai lontano1997. Si laurea in filosofia a Bologna per proseguire gli studi tra Milano e Parigi. La passione per scrivere e raccontare storie apre a collaborazioni con le testate giornalistiche online Frammenti Rivista, Palomar e Theatron 2.0. L’interesse per il teatro e il mondo classico lo deve interamente al meraviglioso teatro greco della sua città.