Dal 19 settembre al 12 dicembre, Paesaggi del Corpo Festival porta la danza contemporanea internazionale a Velletri. Il programma che si estende per un lungo arco temporale, è volto alla fidelizzazione di nuovo pubblico e alla tessitura di una stretta relazione con il territorio che ospita gli eventi. Paesaggi del Corpo vuole ampliare l’offerta culturale ramificandola in luoghi solitamente esclusi dai circuiti ufficiali, mirando a una fruibilità universale della danza contemporanea.
Il Teatro Artemisio Gian Maria Volontè e la suggestiva location della Casa delle Culture e della Musica ospiteranno performance costruite in site specific, pensate ad hoc per gli spazi del festival. Accanto ai grandi nomi della danza contemporanea, tante proposte di artisti under 35 per dare una visione ampia e variegata, che vuole comprendere stili e percorsi di ricerca diversificati. Ne abbiamo parlato con Patrizia Cavola, direttrice artistica di Paesaggi del Corpo Festival.
Radici è il titolo evocativo di questa edizione di Paesaggi del corpo, avente per obiettivo la tessitura di una rete di relazioni con il territorio di Velletri e con la comunità che lo abita. Attraverso quali azioni avete costruito e state costruendo il rapporto con il territorio che ospita il festival?
Innanzitutto dalla collaborazione con i luoghi che abbiamo scelto per il festival, il Teatro e la Casa delle Culture e della Musica di Velletri, che sono gestiti dalla FONDARC nostro partner. Il nostro desiderio è quello di instaurare una relazione nonostante le tante difficoltà emerse in era Covid. Il progetto nasce da una serie di laboratori realizzati con la sede distaccata di Velletri dell’Accademia di Belle Arti e un comprensorio di scuole superiori, aventi lo scopo di coinvolgere studenti e ragazzi in attività che pongano in dialogo la danza, le arti visive, le tecnologie, la scrittura.
I partecipanti, attraverso il loro sguardo, documenteranno il festival. Abbiamo poi avviato dei laboratori con delle scuole di danza di Velletri, al termine dei quali sono previste delle restituzioni che verranno presentate in teatro. È importante che il festival si intrecci con la comunità, con la città tutta, oltre che con i luoghi deputati. Non vogliamo essere un’isola, ma puntare alla creazione di un contatto con i cittadini, attraverso la danza, superando il cliché della danza contemporanea come molto lontana dalle persone che non la praticano. Mai come in questo momento, tornare a incontrarsi attraverso il corpo, attraverso la danza è fondamentale per tutti.
La sfida di Paesaggi del corpo è proporre la danza internazionale fortificando l’offerta culturale di luoghi che, solitamente, vengono tenuti fuori dai circuiti ufficiali. Che valore ha per voi la delocalizzazione dei processi culturali che finalmente sposta l’offerta dalle grandi città?
È qualcosa cui personalmente mi sto dedicando da tantissimo tempo perché trovo necessario che la cultura, e quindi la danza, arrivino ovunque e non soltanto nelle grandi città dove già c’è molta offerta culturale. Paesaggi del Corpo è un progetto che avevo nel mio cuore da tantissimo tempo perché sono legata a questo territorio, che è il luogo in cui sono cresciuta. Nonostante abbia voluto sviluppare la mia storia stilistica e personale altrove, ho sempre avuto il desiderio recondito di portare qui la mia esperienza. Un ulteriore motivo che mi ha spinta a dare vita a questo progetto a Velletri è che in tutto il Lazio, al di fuori di Roma, esiste solo un altro festival dedicato alla danza oltre a Paesaggi del Corpo. Quindi c’è veramente bisogno di rafforzare l’offerta culturale e dislocare la danza dai grandi centri.
Al via il 19 settembre, Paesaggi del corpo si estenderà fino al mese di dicembre. Come si articola il calendario del Festival e secondo quali criteri è stata formulata la programmazione?
Il format risponde a due esigenze: da una parte quella di costruire il festival con una serie intensiva di appuntamenti che diano modo a varie compagnie di incontrarsi, instaurando un dialogo tra gli artisti; dall’altra quella di fidelizzare il pubblico nel tempo, estendendo la programmazione e non esaurendola in una settimana, come è più canonico per i festival. Vorremmo raggiungere gli spettatori attraverso differenti modalità di fruizione, sia con spettacoli in teatro, sia con show format, brevi opere realizzate in site specific, in dialogo con i beni culturali e col paesaggio. I primi quattro appuntamenti del festival, si terranno alla Casa delle Culture e della Musica, un meraviglioso ex convento del ‘600 che verrà abitato da spettacoli pensati per questo spazio.
La programmazione cerca di andare incontro a tutti con proposte per bambini e ragazzi, spettacoli più “canonici”, altri più sperimentali. Abbiamo poi voluto dare spazio sia ad autori giovani, emergenti, sia a coreografi con lunghe storie alle spalle come la Compagnia Zappalà, Adriana Borriello e molti altri. La prima giornata sarà dedicata al futuro, nel senso che i lavori che verranno presentati sono di tre giovani coreografi: Manolo Perazzi e Gruppo e-Motion, Davide Romeo con la compagnia Uscite di emergenza, Martina Gricoli e Compagnia Motus. Ci teniamo molto a dare visibilità a compagnie, autrici e autori che spesso hanno poche occasioni per emergere.
Raggiunto telefonicamente, Manolo Perazzi racconta Crossover la performance con musiche eseguite dal vivo, in scena questa sera alla Casa della Musica e delle Culture.
In occasione dell’inaugurazione del Festival Paesaggi del Corpo, porterai in scena Crossover, uno spettacolo di cui sei interprete e coreografo. Come si è avviato il tuo percorso professionale rispetto all’attività coreografica?
Prima di avviare la mia attività come coreografo ho lavorato a un solo, Pianterreno, che ho presentato al Festival Anticorpi e poi in diverse date. Successivamente, sono stato in Messico e in Belgio, oltre che in Italia con un altro spettacolo, anche in questo caso si trattava di un solo. Con Natalia Casorati e Andrea Gallorosso ho poi lavorato alla creazione di No abla, uno sharing tra due coreografi, un pezzo a quattro mani.
Dopo quest’esperienza ho messo in pausa per un po’ l’attività di coreografo e ho continuato quella di interprete per circa 4 anni, fino a quando ho partecipato al bando di CID Cantieri di Rovereto. Vincendo il bando, è stata avviata una coproduzione e sono stato ospitato in residenza dove ho lavorato allo spettacolo Crossover, con cui sono andato in scena a Oriente Occidente Dance Festival.
In occasione dell’inaugurazione di Paesaggi del Corpo, porterò Crossover a Velletri, nato come uno studio di 30 minuti, danzato da me e da Valeria Russo accompagnati da Flavia Massimo, una musicista che esegue musica dal vivo con violoncello, synt e loop station. La versione che porterò a Velletri ha una durata di circa 20 minuti ed è un solo con musica live. Crossover è stato un esperimento, dentro c’è così tanto materiale da darmi la possibilità di avere diversi approcci stilistici e vari approcci alla coreografia.
Con Fermo Immagine hai dato vita a una performance capace di raccontare, attraverso il corpo, la distruzione provocata dalla guerra. Come nasce questa performance?
Ho lavorato molto sulle immagini di guerra, fotografie in cui vengono immortalati corpi di persone colte in un atto straordinario che modifica l’organizzazione di questi corpi. Ho cercato quindi una qualità di movimento che rendesse quell’istantaneità, quell’urgenza. Non volevo essere quell’immagine ma raffigurarla, farne una trasposizione iconografica.
Nasce a Napoli nel 1993. Nel 2017 consegue la laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi in Antropologia Teatrale. Ha lavorato come redattrice per Biblioteca Teatrale – Rivista di Studi e Ricerche sullo Spettacolo edita da Bulzoni Editore. Nel 2019 prende parte al progetto di archiviazione di materiali museali presso SIAE – Società Italiana Autori Editori. Dal 2020 dirige la webzine di Theatron 2.0, portando avanti progetti di formazione e promozione della cultura teatrale, in collaborazione con numerose realtà italiane.