A cura di Sara Raia
Adriano Bolognino, giovane coreografo napoletano, è ormai ben noto nel panorama artistico italiano. Attualmente impegnato in una nuova creazione che debutterà nel mese di dicembre, abbiamo incontrato Adriano Bolognino in occasione di SKRIK, coreografia ideata per la MM Contemporary Dance Company, andata in scena il 29 Ottobre al Teatro Nuovo di Napoli, inserita all’interno della rassegna organizzata da Korper.
Verso che direzione si orienta la tua ricerca artistica?
La mia ricerca coreografica si basa prevalentemente su un uso ritmico. Ciò che mi interessa esplorare è proprio il ritmo. Ho visto che, creazione dopo creazione, era proprio su questo che volevo impostare i miei lavori: sia per il movimento che per la drammaturgia, ho sempre ricercato qualcosa che fosse il più possibile istintivo e portato a termine tramite una partitura ritmica costante, nonostante il mutamento di ispirazioni da scegliere, insieme alle tematiche da affrontare. A livello di spunti, sicuramente mi piace variegare: mi piace ispirarmi a momenti storici, quotidiani. Mi impegno per portare avanti anche lavori sul sociale affinché possano lasciare un messaggio e apportare un contributo rispetto a ciò che accade attorno. Mi piace ispirarmi e creare in maniera astratta. Essendo ancora giovane e avendo solo 5-6 anni di carriera coreografica alle spalle, cerco di non mettermi paletti e di rispondere a ciò che voglio, soprattutto se si tratta di creazioni a cui posso lavorare personalmente; quando mi vengono commissionate è diverso: le tematiche sono precise e a quel punto cerco di portarle il più possibile nel mio mondo. Ad esempio, mi è capitato di creare su figure storiche/ artistiche oppure, a Malta, ho creato una coreografia ispirata alla tradizione natalizia del posto.
Come cambia il tuo approccio coreografico nel lavorare con un ensamble o con un solo performer?
Non nego che ad oggi preferisco lavorare con più persone. All’inizio lavoravo con una performer o con duetti, anche perché economicamente non era possibile avere grandi organici. Tutt’ora, se si tratta di mie creazioni da freelance, il massimo è stato scegliere un sestetto, come nel caso di SAMIA. Preferisco lavorare con più soggetti per avere stimoli maggiori e per sfruttare al meglio gli spazi e le geometrie: più persone hai e più possibilità d’ispirazione ci sono. A me fa sicuramente più piacere lavorare con gli ensemble, per distribuire al meglio i ruoli. Cerco sempre di sfruttare queste occasioni al massimo delle mie possibilità. Pensiamo ad un sincro: fatto da 2-3 persone è diverso se fatto da 7-8, cambia anche l’effetto scenico. Avere una compagnia più numerosa per me è vantaggioso, com’è accaduto con SKRIK per la MM Contemporary Dance Company.
Quale potrebbe essere il filo che lega le tue performance?
Dipende, penso sia l’istinto. A parte questo, non c’è un vero fil rouge, almeno a livello tematico. In ogni mia creazione, però, c’è una costante: una grande ricerca sulla figura femminile, sulle particolarità e le sfaccettature della donna per un’analisi a tutto tondo: società, arte, ricerca del movimento. Prediligo sempre danzatrici donne. Solo quest’anno, per la prima volta, al fine di creare una coreografia ispirata al musicista Chopin, ho volutamente scelto anche un uomo. Ovviamente vi sono presenze maschili anche in altre occasioni, quando ad esempio creo per le compagnie, com’è capitato con la MMCDC. Inoltre, non mi piace etichettare l’uomo come uomo e la donna come donna: preferisco sempre un po’ trattare anche la tematica del gender, come avviene con Gli Amanti. Ad oggi mi viene detto che ciò che mi contraddistingue è la mia chiara cifra stilistica che si perfeziona negli anni. Per ogni lavoro vi è sicuramente un intento diverso, immaginari e costumi differenti. Sono molto legato anche alla moda e all’estetica e mi fa piacere che, in ogni performance, questo traspaia sempre.
Qual è la difficoltà nel tradurre in danza i temi che scegli di rappresentare?
La difficoltà risiede nel trasportare in danza tutte le storie e le ispirazioni attraverso il movimento. È complesso mantenere la propria cifra stilistica nell’intento di rappresentare ciò che ci si prefissa nell’atto compositivo, quando si immagina come dev’essere il progetto. Bisogna rimanere incentrati su questo e rendere il tutto più umano possibile, per farlo arrivare al pubblico tramite l’emotività che poi è la chiave attraverso cui si percepisce l’essenza di un lavoro
Come nasce SKRIK?
Io sono un amante di Munch. Ho da sempre pensato di ispirarmi ai suoi lavori, non sapevo se ad un’opera precisa o alla sua poetica. Mi sono soffermato su L’urlo perché è un quadro iconico e mi ha sempre affascinato. Tutto è nato da una prova d’autore ad Ater Balletto in cui, in tre giorni, ci fu la possibilità di scegliere una tematica con i danzatori di Agora Coaching Project (corso di perfezionamento diretto da Michele Merola). L’esperienza piacque e dopo ebbi l’opportunità d’essere associato alla compagnia di M. Merola, anche se io e Michele avevamo già in mente di iniziare una collaborazione. SKRIK nasce quindi dalla mia volontà di lavorare sul quadro di Munch. Ho visto l’opera dal vivo e mi sono molto ritrovato nel malessere e nell’inquietudine, perché fanno anche un po’ parte della mia personalità. La poetica dell’artista e la questione linguistica attorno alla terminologia originale sono molto suggestive per me. Sento una connessione anche con il paesaggio nordico, essendo un amante dell’inverno. Ho voluto approfondire la tematica naturale, l’impossibilità che ha l’uomo rispetto alla grandezza della natura che allo stesso tempo spaventa e affascina. La qualità coreografica che presento in SKRIK è ispirata al quadro: in secondo piano vi sono due amici che dialogano tra loro, come nella coreografia si alternano pause più rilassate ad altri momenti veloci, precisi, tecnici. Prendo spunto dall’opera anche per i costumi dei performer, pur se devo ammettere che il rosso è un colore che amo, quindi non vedevo l’ora di utilizzarlo. Qui associo il rosso ad un’esplosione, una lava, una potenza. Questo colore è comunque legato sempre a tante emozioni, soprattutto quelle forti, e Munch racconta di rumore e bagliore, dunque ho voluto rappresentare una forte passionalità, l’idea di fuoco che arde. Ho pensato ad uno squarcio, una visione profonda e netta che nessun altro colore, per me, avrebbe potuto rappresentare con altrettanta prepotenza. I danzatori, inoltre, hanno una forza incredibile- penso sia la compagnia migliore d’Italia insieme ad Ater Balletto- che il rosso ben riesce a rappresentare: la loro energia è emersa nel lavoro di creazione di soli 5 giorni.
Qual è la direzione della danza contemporanea oggi e che obiettivo ti poni per le tue prossime creazioni?
La danza contemporanea è molto vasta, oggi c’è maggiore possibilità rispetto a quando ho iniziato. Anni fa mi veniva criticato il troppo utilizzo di passi e di tecnica, si diceva che facevo balletto. Io ho preferito insistere e continuare per la mia strada e perseverando sono dove sono ora. Devo dire che oggi c’è spazio per tutto: danza più sperimentale, danza in rapporto con la tecnologia, danza urbana, site-specific, danza con reference al balletto. Tutto dà modo di vedere più colori e io spero che questo avvenga sempre di più, in modo da dare la possibilità ad ognuno di trovare la propria strada, anche ai danzatori che poi devono decidere con chi lavorare. Sarebbe bello avere più compagnie, maggiori possibilità in Italia così come in Europa, per aprire frontiere ai giovani: sia coreografi che danzatori, per creare uno scambio maggiore. Per le mie coreografie, sicuramente in questi anni ho creato tanto. Il 7 Dicembre debutterà a Padova il mio ultimo lavoro: LA DUSE. Insieme a Rosaria Di Maro (danzatrice AB Dance) ho vinto un bando in collaborazione con l’Opus Ballet aperto alle compagnie italiane per celebrare i 100 anni dalla morte di Eleonora Duse. Dopo questo lavoro vorrei fermarmi un attimo. Ho molto idee ma ho deciso di aspettare per proporre qualcosa di più grande, con una calendarizzazione maggiore e sento di dover ricaricare la mia creatività. Mi piacerebbe far girare SAMIA, RUA DE SAUDEDE, Gli Amanti, Your body is a battleground. C’è anche un lavoro che è andato in scena poche volte, debuttato a Trieste: Bruciare—into us/Chopin, attraverso il quale mi ispiro al musicista e ogni capitolo è dedicato ad un autore differente. Questo è il mio obiettivo: far girare i miei lavori fuori Italia. Vorrei creare connessioni estere (con l’Olanda o la Germania) portando il mio nome anche un po’ più fuori dai confini italiani.
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